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Codici di servizi pubblici open source: l’India lancia un archivio globale

Dopo il lancio della sua infrastruttura pubblica digitale (DPI), il governo indiano pensa in grande e crea il Global Digital Public Infrastructure Repository (GDPIR). Tutti sono invitati a contribuire condividendo i propri servizi. I Paesi più in difficoltà possono riutilizzarli per fornire servizi digitali ai propri cittadini più rapidamente

Pubblicato il 28 Dic 2023

Immagine di metamorworks su Shutterstock

Se la digitalizzazione spinta avvenuta negli ultimi anni a livello globale qualcosa ci sta insegnando, è che collaborare e condividere premia. Soprattutto perché spesso diventa quasi inevitabile farlo e, quando anche i più refrattari ci provano, si accorgono dei vantaggi.

Non accade sempre così, nel mondo ci sono ancora tanti muri alzati, numerose diffidenze e alcuni antipatici atteggiamenti protezionistici, ma la mossa dell’India fa sperare. Potrebbe essere contagiosa, anche perché arriva da un Paese che ha un considerevole peso a livello di numeri di mercato e un crescente fascino anche dal punto di vista delle tecnologie.

Un Global Digital Public Infrastructure Repository aperto a tutti

L’idea sostenuta dal governo indiano è che chiunque sia a capo di un Paese con anche un minimo livello di digitalizzazione sia tenuto a rendere open source le proprie applicazioni. Non si tratta di una tesi socio-filosofica, non solo per lo meno: il suo Ministero dell’Elettronica e delle Tecnologie dell’Informazione (MeitY) ha ora creato il Global Digital Public Infrastructure Repository (GDPIR) per raccogliere i codici creati dai governi e metterli così liberamente a disposizione delle altre nazioni. L’obiettivo è quello di supportare e facilitare gli altri Paesi nella realizzazione più rapida di servizi digitali proprio riutilizzando codici esistenti.

Un esempio fra tutti dei vantaggi potenziali di questa iniziativa è rappresentato dal caso della infrastruttura pubblica digitale (DPI) creata e condivisa dal governo indiano stesso. Si tratta di un insieme di piattaforme come l’identificazione digitale, l’infrastruttura di pagamento e le soluzioni per lo scambio di dati che migliorano la vita dei cittadini. Gli altri Paesi, replicandola tramite codice condiviso su GDPIR, possono facilmente offrire gli stessi servizi ai propri cittadini, evolvendo rapidamente, nel caso non l’avessero già fatto.

Convinto a spingere sempre di più il proprio DPI a livello internazionale, il governo indiano ha promesso la creazione di un framework dedicato e di una guida alla governance. Per renderlo accessibile anche dal punto di vista economico, ha deciso di contribuire al “Fondo per l’impatto sociale” con 25 milioni di dollari, proprio per accelerare l’attuazione della DPI nel Sud globale. È determinato a far circolare la propria piattaforma in tutto il mondo, nessun paese escluso, per “contribuire ad accelerare il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile nei Paesi a basso e medio reddito attraverso le DPI”. Per essere credibile, ha dovuto anche offrire un sostegno finanziario, rendendo così realmente possibile lo sviluppo e all’attuazione delle DPI ovunque.

Apertura e digitalizzazione per distinguersi dalla Cina

Chi accede al GDPIR, già ora non trova solo il DPI indiano. Vi sono altri framework per l’identità digitale e schemi di pagamento, oltre a strumenti di tutt’altra tipologia come quelli per la gestione del COVID-19 che continuano ad avere un considerevole successo.

Negli “scaffali digitali” di questo archivio ci sono 54 DPI provenienti da 15 nazioni e dall’Unione Europea e centinaia di codici con diverso scopo. Dopo l’India, che con 12 progetti conquista per ora il titolo di maggior contributore, particolarmente attivo si sta dimostrando l’Oman, con nove progetti, seguito dalla Francia, primo europeo a comparire in questa classifica di condivisione con cinque progetti.

Colpisce poi la partecipazione di altri Paesi strategicamente importanti, anche se per diverse ragioni. Il Giappone perché ha scelto di condividere una sua tecnologia decisamente sperimentale e attuale, il Trusted Web, mirato a eliminare le fake news. E poi la Russia, con la sua Piattaforma digitale unificata e il Portale unificato dei servizi pubblici e municipali discutibile, ma liberamente disponibile per chi sceglie di farsi ispirare dalla sua idea di digitalizzazione.

La Cina, per ora, non compare tra i contributori. L’iniziativa indiana, secondo molti esperti, sarebbe in forte contraddizione con il suo “stile”. Il Regno di Mezzo preferisce occuparsi di infrastrutture fisiche, sopportandone e finanziandone la realizzazione, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Non sembra propensa a partecipare ad alcun piano di sviluppo digitale globale aperto e basato sulla condivisione e sullo scambio di asset tecnologici nazionali. L’India avrebbe scelto di puntare proprio su questo tipo di approccio, forse non solo per altruismo ma anche per differenziarsi da una potente ma sempre più raggiungibile rivale.

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