Ho comprato pochi giorni fa, durante un viaggio a San Francisco, un libro che probabilmente alcuni di voi conosceranno ma che voglio comunque portare all’attenzione perché credo sia, soprattutto di questi tempi, di estrema attualità e di indicazione prospettica. Ma prima di darvi il titolo, voglio parlarvi di un film. Chi ha visto quel capolavoro di computer grafica/animation che è Ratatouille, saprà chi è Remy, il topolino con un unico desiderio nella vita, diventare chef. La sua passione per la cucina la spiega così: “Prova questo, senti come è buono? Adesso prova quest’altro, ti piace, vero? Ma soltanto quando, osando, sperimentando, li metti insieme potrai trovare la combinazione vincente, il gusto nuovo, la cucina che diventa arte!”. Un capolavoro!
Il titolo del libro è “The Medici Effect”, scritto da Frans Johansson, edito da Harvard Business Review Press, e la cosa che colpisce è che, a parte questa edizione aggiornata, è stato scritto nel 2004. Un’epoca preistorica, se pensiamo all’evoluzione che ha avuto da allora la tecnologia. Qual è dunque la tesi di questo libro, formulata all’epoca da un giovane sconosciuto universitario, convinto della propria visione e in grado di immaginare un futuro che oggi noi stiamo vivendo, capiamo bene e stiamo disperatamente cercando di applicare? Che è dall’intersezione di idee e modelli tipici dei diversi campi, medicina, tecnologia, scienza, arte, cucina, dall’intersectional creativity di settori, persone e idee che può nascere la vera innovazione. E l’ ”Effetto Medici” è il titolo che rimanda alla potente famiglia fiorentina che tanto merito ha avuto nella crescita di arti, finanza, scienze e tecnologia nel Rinascimento, proprio per aver raccolto attorno a sé, in Firenze, poeti, filosofi, finanzieri, scienziati, pittori, scultori e architetti che dal confronto/scontro di idee hanno contribuito a definire nuove linee guida, rompendo barriere e canoni consolidati in diversi campi, una vera e propria “Rinascita”, partita da quell’epicentro di innovazione e creatività, che ancora oggi ricordiamo aver connotato il periodo tra i più fecondi e importanti nello sviluppo umano.
Forse oggi “l’intersezione creativa” può apparire un pensiero un po’ scontato, ma tredici anni fa, quando le tecnologie che possono supportare e accelerare l’innovazione e il confronto come quelle di Google, Amazon, Facebook, WhatsApp, gli Insight analytics real time, il cloud, l’Intelligenza Artificiale e la mobile revolution mancavano, oppure esistevano ma non erano attuabili o erano nelle loro prime fasi di sviluppo, già indicava la possibilità di una forte trasformazione.
L’articolazione del concetto di intersezione creativa si sviluppa nel libro attraverso esempi che concretizzano l’aumento esponenziale di innovazione dovuto alla mescolanza di criteri provenienti dalle differenti discipline, generando, in una catena quasi di reazione atomica, lo sviluppo di nuove idee. Quelle idee che un mercato, come è oggi il nostro, affamato di nuovi prodotti e servizi a base digitale, potrebbe accogliere. E in questo editoriale vogliamo sottolineare la stretta relazione e la potenzialità virtuosa che si crea tra un approccio e una cultura tesi all’innovazione e la grande disponibilità tecnologica attuale.
Mentre scrivo questo editoriale sono sul volo di ritorno dalla California. Negli ultimi tre giorni abbiamo approfondito, grazie all’invito di CA Technologies, i profondi cambiamenti in atto oggi nel comparto del software grazie a tecnologie di sviluppo, testing e in genere relative a tutte le fasi del ciclo di vita del software, unitamente a efficaci soluzioni di Api management e cloud. Rappresentano il cuore, insieme ad altre tecnologie, di quella trasformazione digitale di cui tanto oggi si parla. Ma tutta questa disponibilità di tecnologia evoluta non avrebbe futuro se non la si calasse in un modello culturale di contaminazione e di interazione continua (Agile, nello specifico dello sviluppo software), in cui lo scambio, la condivisione, interna all’azienda e tra questa e il mercato, guidano l’innovazione. Sono i continui Insights, analisi di dati e feed back provenienti da oggetti (IoT) e persone (user experience), che possono indirizzare nuovi servizi e prodotti, allineandoli sempre di più ai gusti e alle esigenze esplicitati dai clienti attraverso i diversi canali digitali (omnicanalità). Questo devono saper fare oggi le aziende nella digital economy. Ma ancora di più: collocare questa disponibilità digitale in un pensiero creativo frutto della contaminazione tra diversità, culturali, settoriali, organizzative, esperienziali, ecc. Serve, insomma, un altro livello di approccio e di ideazione.
Ma torniamo a Remy, al topolino di Ratatouille: è buono il formaggio? È buono il miele? Vuoi continuare a mangiare solo l’uno e l’altro o vuoi provare a metterli insieme (innovazione) e scoprire un nuovo, insospettato gusto (mercato)?
Il topolino Remy – fonte: Pixar Animation Studios
Johansson, nel suo libro non poteva prefigurare la potenza delle tecnologie oggi disponibili e la velocità con cui evolvono. Ma è una potenza comunque spuntata se non accompagnata da una forte volontà all’innovazione e allo sviluppo creativo che generano aziende leader e disruption per tutte le altre.
Nel libro si cita, giusto per far sentire un po’ in colpa chi dice che, per mille motivi, non può cambiare rispetto ai modelli abituali (comfort zone), un fatto accaduto al nostro giovane universitario: fresco di laurea, riceve una telefonata dal vice president, diversity and inclusion (notare la qualifica) della Nike; la manager voleva approfondire il concetto dell’intersezione creativa e innovativa, per fare di queste teorie il framework di riorientamento dell’azienda nel suo percorso di innovazione sia dei propri modelli organizzativi sia del portfolio prodotti. L’incontro venne aperto (notare) dal CEO…Era il 2004 e tutta la tecnologia disponibile non era certo quella di oggi…
Le teorie economiche sono piene di concetti di contaminazione, ma il modello prefigurato da Johansson vede proprio nei criteri di accelerazione e moltiplicazione tra le diversità il momento di intersezione creativa. Esiste, all’interno di ogni settore, una linearità di innovazione a cui, tra mille difficoltà, persone ed aziende possono tendere, ma in questo caso si opera sempre all’interno del conosciuto, con schemi di sviluppo e di indagine tradizionali, per quanto essi siano orientati ad innovare. Esiste poi un territorio “contaminato” dalle diversità in cui mancano gli schemi di riferimento, e questi vengono disegnati ex-novo dal confronto e dalla ricerca di armonizzazione tra il diverso, generando, quasi in una modalità di autoarticolazione, nuovi criteri, nuovi modelli e in pratica, innovazione “disruptive”.
The Medici Effect è ormai considerato un testo base del pensiero creativo e innovativo; oggi è utilizzato da moltissime aziende per ridefinire il loro approccio allo sviluppo e ridisegnare in questa direzione le proprie organizzazioni, nonché è applicato anche da numerose istituzioni, tra cui l’Unione Europea, il World Economic Forum, le Nazioni Unite e la Federal Reserve come base per strutturare la creazione di nuovi ecosistemi di innovazione distribuiti e collaborativi, allo scopo di alimentare l’evoluzione e la crescita sociale.
Siamo in una evidente fase di trasformazione, veloce e complessa, in tutti i settori e anche nella nostra vita quotidiana. È una fase in cui sarebbe essenziale vedere la diversità sotto una luce positiva, una risorsa da cui far scaturire un’innovazione e un cambiamento che potrà pervadere tutti i campi: arte, scienza, cultura, tecnologia, economia… Se stiamo provando ad abbattere i silos organizzativi e tecnologici che strutturano le nostre imprese, possiamo anche provare ad abbattere i muri, normativi, culturali, legislativi, che frenano la nostra crescita sociale. Perché è proprio dall’intersezione creativa delle diversità che può nascere una nostra nuova fase evolutiva di sviluppo e di benessere. Miele e formaggio sono buoni, ma dal loro insieme nasce il nuovo e il sublime. Grazie Remy, ora sei un vero chef.