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Trasferimento tecnologico: il piano nel PNRR e le sfide da affrontare

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è previsto un processo per favorire l’innovazione attraverso la creazione di “ecosistemi” sul territorio nazionale. Ecco quali sono i finanziamenti e le criticità che dovranno essere affrontate per garantirne l’efficacia. ZeroUno ne ha parlato con Alfonso Fuggetta, CEO di Cefriel

Pubblicato il 30 Mar 2022

PNRR per le imprese Trasferimento tecnologico

Il titolo è chiaro: “dalla ricerca all’impresa”. Il capitolo del PNRR (missione 4, componente 2) stanzia la considerevole somma di 11,44 miliardi di euro per favorire un processo di maturazione delle imprese che consenta di migliorare il passaggio di competenze e conoscenze dal mondo della ricerca a quello produttivo. Un tema, questo, che comprende una sorta di ristrutturazione del settore della ricerca nell’ottica di creare una più stretta relazione tra i due ambiti. A questo specifico obiettivo sono assegnati 2 miliardi di finanziamento, con 350 milioni destinati al “potenziamento ed estensione tematica e territoriale dei centri di trasferimento tecnologico per segmenti di industria”. Ma di cosa si tratta nella pratica e quali sono le strategie sottese?

Fare rete sul territorio

Il primo passo registrato in questo senso è un bando pubblicato sul sito Internet del Ministero dell’Università e della Ricerca per la creazione di “12 ecosistemi dell’innovazione a livello territoriale, regionale o sovraregionale”. L’investimento rientra in un progetto più ampio per le imprese (nel capitolo relativo del PNRR si parla di 60 centri) specifica meglio la connotazione degli “ecosistemi” citati. Si tratta di “reti di Università statali e non statali, Enti Pubblici di Ricerca, Enti pubblici territoriali, altri soggetti pubblici e privati altamente qualificati e internazionalmente riconosciuti” distribuiti in tutta la penisola.

Insomma: l’idea è quella di creare una sorta di infrastruttura che possa favorire il trasferimento tecnologico dal mondo della ricerca a quello dell’impresa sfruttando, a questo scopo, un sistema strutturato secondo la logica “Hub & Spoke”, in cui vengono individuati dei “nodi” che fungono da connessione tra i vari soggetti. Se la struttura è chiara, è invece possibile reperire meno dettagli su come funzionerà la struttura nella pratica. Un tema, però, che avrà necessariamente un impatto decisivo sull’efficacia del progetto. Potenzialmente, anche superiore a quello derivante dall’entità del finanziamento. In altre parole: stanziare miliardi di euro rischia di non essere sufficiente. Accanto all’investimento economico, è necessaria una riflessione che consenta di mettere gli ecosistemi nelle condizioni di raggiungere gli obiettivi fissati.

Dalla teoria alla pratica

Nel testo pubblicato dal MUR si legge che le risorse a disposizione andranno a finanziare “attività di ricerca applicata, di formazione per ridurre il disallineamento tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dalle università, la valorizzazione dei risultati della ricerca con il loro trasferimento all’impresa, il supporto alla nascita e sviluppo di start-up e spin off da ricerca, promuovendo le attività e i servizi di incubazione e di fondi venture capital”.

Se la creazione di ecosistemi di questo tipo rappresenta certamente un fattore abilitante per il trasferimento tecnologico, il vero nodo da sciogliere è quindi quello relativo alle modalità con cui questi opereranno. “Ricerca e innovazione sono processi che hanno tempi e modalità di messa a terra molto diversi” spiega Alfonso Fuggetta, CEO di Cefriel – Politecnico di Milano. “Nella messa a terra del progetto, è auspicabile che queste differenza siano tenute da conto per evitare una dispersione degli investimenti”.

Alfonso Fuggetta, CEO di Cefriel
Alfonso Fuggetta, CEO di Cefriel

In altre parole, oltre ai finanziamenti per la ricerca, è necessario approntare modelli che consentano un effettivo trasferimento tecnologico. Per quanto riguarda la ricerca, Fuggetta identifica il modello ERC come uno dei più efficaci. “Il modus operandi che definisce un progetto specifico e lo affida a un team definito con obiettivi chiari permette di ottenere i migliori risultati” spiega.

Stiamo parlando, in ogni caso, di tempi piuttosto lunghi. Quando si affronta una ricerca, per quanto sia ben definita negli obiettivi, normalmente ci si muove in un orizzonte di 5 o 6 anni. Si tratta di un ordine di grandezza normale, che prende in considerazione la necessità di raccogliere ed elaborare i dati, verificarli e seguire il percorso che garantisca anche la verifica dei risultati. Di qui il problema: come connettere il mondo della ricerca con un settore produttivo in cui la velocità è un elemento fondante?

Innovazione: servono velocità e agilità

Quando si parla di innovazione le strutture sono certamente utili, ma è indispensabile tenere conto delle esigenze del mercato. “Una struttura indispensabile è il Digital Innovation Hub, cui è necessario affidare il servizio di brokering, cioè mettere in contatto chi ha un problema con chi ha una soluzione”.

Servono poi soggetti (centri di innovazione) che siano in grado di costruire progetti in cui integrare gli elementi di ricerca, seguendo però i tempi di mercato. “Più che finanziare l’offerta di innovazione, sarebbe necessario finanziarne la domanda” puntualizza Fuggetta. “È necessario, di conseguenza, prevedere sistemi che agevolino l’innovazione. Adottando strumenti automatici come il credito d’imposta, per esempio, è possibile evitare dispersioni e lungaggini che rischiano di frustrare l’obiettivo”.

Insomma: al di là della disponibilità degli investimenti per creare le infrastrutture, il vero lavoro riguarderà la definizione delle modalità di funzionamento degli ecosistemi. L’importante, come spiega Alfonso Fuggetta, è evitare di “appesantire” troppo la struttura. “Quello che serve è una rete agile e veloce che consenta di mettere a terra i progetti in tempi brevi” spiega. “Avere un progetto ben definito su cui focalizzarsi permette di ottenere i migliori risultati, concentrarsi solo sulla creazione dell’infrastruttura espone al rischio di disperdere i finanziamenti senza raggiungere l’obiettivo”.

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