L’Osservatorio Agenda digitale 2018 del Politecnico di Milano ha dedicato uno spazio al tema dello switch-off dei servizi pubblici non digitali, ossia come ripensare in chiave digitale un servizio tradizionale cessandone l’erogazione. Un esempio noto è quello relativo all’emissione esclusivamente in digitale delle fatture da parte delle PA, nel 2015, e della più recente fatturazione elettronica per imprese e professionisti, a partire dal gennaio 2019.
Lo switch-off offre notevoli vantaggi rispetto a una gestione in parallelo, delle modalità tradizionali e digitali, che risulta più complessa e costosa oltre a ritardare il passaggio al digitale, come evidenzia un’analisi sul caso pagoPA, uno dei servizi che ha avuto la maggior adesione (78% dei Comuni).
Un monitoraggio effettuato a novembre 2018 evidenziava che, nonostante che il 60% delle amministrazioni aderenti fosse formalmente operativo, solo il 13% degli enti aveva ricevuto almeno un pagamento digitale. Il successo del servizio e i benefici conseguibili dalla singola amministrazione, evidenziati in figura 1, sono infatti strettamente correlati al completo switch-off del canale di erogazione del servizio. “La PA italiana può ambire all’ottenimento dei benefici stimati solo attraverso la dimissione dei canali tradizionali, sottolinea Michele Benedetti, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, insieme a Luca Gastaldi (vedi articolo Italia digitale: come evitare l’anno zero).
Un’indagine sulla diffusione del switch-off
Per evidenziare i benefici e gli ostacoli del switch-off dei servizi della PA, l’Osservatorio ha condotto un’indagine conoscitiva a cui hanno risposto 163 Comuni che, pur senza la pretesa di rappresentatività statistica, offre interessanti elementi di conoscenza e riflessione.
Solo il 12% dei Comuni interpellati ha effettuato lo switch-off di almeno un servizio, mentre un ulteriore 21% lo prevede per il 2019; oltre il 65% dei Comuni non ha invece attivato iniziative di switch-off e non intende farlo a breve. Le principali motivazioni che hanno spinto 20 Comuni italiani a effettuare lo switch-off sono la volontà di migliorare l’erogazione dei servizi (punteggio medio di 7,71 su 10), l’interesse politico (7,14 su 10), la semplificazione interna (7,08/10).
Particolarmente interessante risulta la differente valutazione sulle difficoltà e gli ostacoli fra coloro che hanno realizzato lo switch-off e quelli che non l’hanno fatto. Per esempio, le difficoltà tecnologiche raggiungono un punteggio medio di 6,57/10 per chi non ha effettuato lo switch-off a fronte di un 4,42/10 per chi l’ha effettuato. Diversi i punti di vista anche sul ruolo delle resistenze interne fra chi non ha avviato progetti di switch-off (4,90/10) e chi ha effettivamente sviluppato i progetti, più consapevole delle resistenze al cambiamento (6,38/10) che emergono spesso a progetto avviato (figura 2).
Il punto di vista dei protagonisti
Sulle possibilità di un passaggio rapido al digitale, evitando il più possibile costose fasi di affiancamento si confrontano gli attori della PA. “Basta con le leggi, avanti con i manuali”, esorta Carlo Mochi Sismondi, Presidente FPA (gruppo Digital 360) in apertura della tavola rotonda “Accelerare lo switch-off di servizi pubblici”, in occasione del convegno “Italia digitale: come evitare l’anno zero”.
Si dichiara vicino a quanto sostenuto da Mochi Sismondi e all’approccio presentato dal vademecum prodotto dall’Osservatorio Simone Piunno, Chief Technology Officer, Team per la trasformazione digitale: “Per andare nella direzione dello switch-off è necessario creare le condizioni affinché la trasformazione si realizzi e le persone siano convinte di quello che fanno – sostiene – In questi due anni di vita del Team abbiamo puntato a creare strumenti per ridurre la barriera di ingresso, fornendo linee guida, manuali, strumenti di integrazione rapida, processi di condivisione delle informazioni”. Il Team ha anche fornito supporto attraverso forum on line e affiancamento di alcune amministrazioni scelte per alcuni progetti pilota, il coinvolgimento CDP per i finanziamenti, pacchetti bonus per i Comuni che entrano nell’anagrafe digitale entro una certa data: “Solo quando il meccanismo si è avviato e si è dimostrato che lo strumento funziona è il momento di immaginare sanzioni, per superare le resistenze che comunque ci sono”.
Sulla linea dell’affiancamento alle amministrazioni concorda anche Adriana Agrimi, Dirigente responsabile d’area trasformazione digitale di AgID, che sottolinea la necessità di puntare su strumenti capaci di sostenere i processi di digitalizzazione, a partire dall’individuazione dei soggetti aggregatori (Regioni, città capoluogo e metropolitane, Comuni): “AgID sta cambiando pelle trasformandosi da autorithy a soggetto di affiancamento agli aggregatori per aiutarli nella transizione, evitare sovrapposizioni e agire sul capitale umano, dove non servono solo competenze digitali ma anche capacità organizzativa”, sottolinea. Nel 2018 AgID ha iniziato a proporre un nuovo modello di affiancamento, aiutando nella programmazione delle attività e con iniziative che mettono a disposizione team con competenze specialistiche e organizzative, tenendo conto delle differenze locali.
Dalla sua esperienza a livello regionale, Dimitri Tartari, Coordinatore Agenda Digitale regionale e Smart Cities della Regione Emilia Romagna, conferma la necessità di tenere conto delle differenze territoriali. “A causa dell’assenza a livello centrale sui temi della trasformazione digitale, per lunghe fasi, le Regioni sono state indotte a sviluppare propri modelli, diventando soggetti aggregatori di fatto e per necessità – spiega – Ora è indispensabile la capacità di ascoltare e individuare diversi modelli messi in campo dalle Regioni, unici soggetti che, con l’accompagnamento del Team e di AgID, possono aiutare e accompagnare i diversi soggetti pubblici, grazie alla loro conoscenza e legame forte con il territorio”.
Il punto di vista dei Comuni è portato da Alessandro Delli Noci, vicesindaco di Lecce e coordinatore del gruppo di lavoro Agenda Digitale di Anci, che mette in guardia dal rischio che l’agenda digitale possa diventare l’ennesimo adempimento, in assenza di incentivi e risorse adeguati. È esemplare, a suo parere, il fatto che ad oggi solo 1200 Comuni su 8000 abbiano aderito all’ANPR (Anagrafe nazionale Popolazione Residente), non riscontrando, soprattutto i più piccoli, particolari benefici. “È necessario affiancare, al lavoro dall’alto che riesce a coinvolgere solo le città metropolitane, un lavoro dal basso che coinvolga anche i piccoli Comuni che spesso neppure sanno cosa sia SPID e a cosa serva”, sottolinea. Per farlo servono nei Comuni persone che conoscano il digitale e non si limitino a tradurre in digitale il “burocratese”. “Non è sufficiente formare i singoli dipendenti, serve la creazione di unità capaci di dialogare con il Team digitale”, aggiunge, indicando anche la necessità di normare e rigenerare l’approccio pubblico-privato, dove il secondo può essere incentivato anche grazie ai guadagni nell’erogazione dei servizi digitali come nel caso dei pagamenti.
Per la collaborazione pubblico privato può essere utile uno strumento come Assinter (Associazione delle Società per l’Innovazione Tecnologica nelle Regioni) che aggrega 21 soggetti in-house, per provincie autonome e regioni, oltre a enti di alcune di caratura nazionale come Cineca e Infocamere, come evidenzia il Presidente dell’Associazione Simone Puksid, ricordando il ruolo di semplificazione della distribuzione delle informazioni al servizio degli enti controllori per integrare il privato in una logica di collaborazione con il pubblico. Un esempio significativo è la collaborazione fra tre territori, Friuli-Venezia Giulia, provincia autonoma di Trento ed Emilia Romagna, per mettere a sistema le infrastrutture, razionalizzare i data center, attivare servizi condivisi.
Un vademecum per lo switch-off
A partire dalle incertezze che rischiano di vanificare le opportunità fin qui evidenziate, l’Osservatorio ha analizzato dieci casi di successo di Comuni che hanno effettuato il switch-off di almeno un servizio e, individuando fattori di successo e leve a disposizione, ha realizzato una guida operativa con 12 regole da osservare per gestire le diverse fasi.
Prima dello switch-off:
- iniziare da un servizio la cui digitalizzazione e l’eventuale riorganizzazione del processo generino benefici per tutti gli stakeholder, selezionandone uno non troppo complesso e diretto a un target più digitalmente alfabetizzato;
- individuare gli sponsor che possano accelerare o frenare il progetto di cambiamento all’interno dell’organizzazione e agire di conseguenza;
- valutare la qualità del rapporto con il fornitore del servizio o individuare chi sul mercato sia capace di supportare adeguatamente l’amministrazione;
- progettare lo switch-off tenendo conto della stagionalità e della distribuzione temporale del lavoro per tutti i servizi coinvolti.
Durante lo switch-off:
- mappare tutti gli stakeholder del servizio, identificandone il potenziale contributo e le eventuali difficoltà al cambiamento; coinvolgerli nel progetto attraverso azioni mirate di informazione e formazione;
- curare la comunicazione del cambiamento al cittadino;
- supportare il personale nella riqualificazione;
- trasformare lo sportello da luogo di erogazione del servizio a luogo di assistenza alla sua fruizione;
- sfruttare sinergie con altri progetti, anche di altri enti pubblici e privati, per migliorare l’efficacia e l’efficienza con l’inserimento in un più ampio ecosistema di innovazione;
- valutare l’immediatezza o la progressività della chiusura del canale digitale per ogni fase dell’erogazione del servizio.
Dopo lo switch-off:
- monitorare l’adeguatezza del servizio rispetto alle esigenze del cittadino;
- supportare la diffusione della conoscenza acquisita nell’esperienza a favore di altre PA.