Agilità, cultura e mission aziendale per convivere in un VUCA world

Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity dominano il mondo in cui viviamo e che la tecnologia ha contribuito a creare. Come reagire allora alla crisi dei modelli manageriali consolidati basati sull’idea di controllo e sulla capacità di previsione del contesto esterno e interno all’azienda? A questa domanda hanno risposto, spesso ponendo nuove domande, i relatori intervenuti a World Business Forum2016. Sarebbe troppo facile sostenere che in un mondo VUCA la strategia e la pianificazione aziendale siano inutili; si deve invece lavorare all’interno soprattutto su cultura e mission, creando nuovi approcci e strumenti per comprendere un mondo esterno difficilmente prevedibile

Pubblicato il 24 Nov 2016

Le difficoltà di un mondo VUCA (caratterizzato da Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity), dove servono nuovi standard per una nuova normalità, sono state evocate nel suo intervento al World Business Forum2016, da Oscar di Montigny Direttore Marketing, Comunicazione e Innovazione di Banca Mediolanum. “State calmi e utilizzate le vostre risorse: l’intelligenza innanzi tutto, non solo razionale ma soprattutto emotiva, indispensabile per innovare”, suggerisce il manager. Alle aziende servono nuove figure professionali: architetti, mentori, designer dell’innovazione, data scientist, story teller, user experience designer, behavioral psycologist, creatori di comunità. E per orientarsi nel nuovo mondo serve anche la bussola dell’etica che porta a “offrire il giusto prodotto capace di generare un giusto profitto”, sostiene di Montigny, che invita le persone e le aziende a dedicare tempo e risorse per creare cultura.

Oscar di Montigny Direttore Marketing, Comunicazione e Innovazione di Banca Mediolanum

Anche Nicola Mendelsohn, Vice President Emea di Facebook, portando l’esperienza della sua azienda, sostiene: “Creare cultura all’interno dell’impresa non è un lusso”. Per convivere con l’incertezza serve innanzi tutto la chiarezza della mission aziendale che per Facebook è “connettere le persone”. “All’inizio l’abbiamo fatto con il pc, ora con il mobile, visto che l’84% che va su Internet lo fa via mobile, domani useremo la realtà virtuale o altri dispositivi magici”. Per riuscire a gestire una mission che deve inevitabilmente evolvere è necessaria un’organizzazione fluida, dove “non è vero che un manager è potente se ha molte persone sotto di sé”, sottolinea Mendelsohn, suggerendo ai manager di porsi domande come: qual è l’ultima volta che ho fallito? Chi non fallisce non rischia. Cosa farei se non avessi paura?

Nicola Mendelsohn, Vice President Emea di Facebook

Per cambiare la propria organizzazione è indispensabile cambiare sé stessi. Come farlo lo indica Herminia Ibarra, esperta di sviluppo professionale e leadership, considerata uno dei 10 pensatori di business più influenti al mondo. Il cambiamento non può basarsi solo sulla conoscenza interna e sull’esperienza passata, ma servono conoscenza esterna, nuova esperienza e azione. “Per ridefinire sé stessi e il proprio lavoro è fondamentale il ruolo delle reti di relazione che devono portare aria nuova, essere aperte e dinamiche – sostiene – La qualità delle reti differenzia i leader forti dai buoni manager”. Ma come creare reti efficaci? “Aderendo ad associazioni professionali, gruppi on line e legati al proprio settore, iniziative di social innovation – è la risposta- Possono servire anche organizzazioni non profit o sportive, mentre è sbagliato pensare che bastino solo gli influencer e gli opinion leader”.

Herminia Ibarra, esperta di sviluppo professionale e leadership,

Ma al di là delle iniziative individuali, il miglior enabler per pensare in modo differente è, secondo Ibarra, permettere alle persone di fare diverse esperienze all’interno dell’organizzazione e incoraggiarle ad attività extra curriculari, assegnando budget specifici.

Nuovi strumenti per uno scenario esterno turbolento

I soli dati non bastano per comprende un mondo VUCA. E così Martin Lindstrom, futurologo dei brand e pioniere della psicologia del consumatore, ha insistito sulla necessità di affiancare alle analisi provenienti dai big data (componente logica) quelle basate sugli small data (intuizione) per ottenere previsioni accurate. “Le persone di marketing dovrebbero trascorrere del tempo con le persone reali nei loro ambienti. Questo, combinato con l'osservazione attenta, può portare a intuizioni di marketing potenti”, sostiene, aggiungendo che i maggiori brand sono capaci di combinare dati e istinto.

Martin Lindstrom, futurologo dei brand e pioniere della psicologia del consumatore

Per Francesco Morace, sociologo e saggista Presidente di Future Concept Lab, ci sono alcune categorie di consumatori da guardare con attenzione perché, grazie all’uso innovativo delle tecnologie, svolgono un ruolo trainante sui nuovi stili di consumo. Si tratta dei “ConsumAutori”: i bambini che decidono istintivamente e controllano gli adulti; i ragazzi che si esibiscono e si raccontano per essere accettati; giovani che diventano creativi perché costretti ad inventarsi; gli adulti per i quali la priorità è piacere e piacersi; i longevi che cercano di costruirsi una seconda vita.

Creare un ecosistema favorevole all’innovazione

Francesco Morace, sociologo e saggista Presidente di Future Concept Lab

“Ci sono discussioni a livello politico nel mondo che non avranno successo se anche le imprese non parteciperanno al processo di innovazione”, è l’opinione di Mariana Mazzucato, Docente di Economia dell’Innovazione presso Spru Sussex University. Il fattore trainante per l’innovazione è un rapporto stretto fra pubblico e privato per il quale va definito un nuovo ruolo dello Stato “che non deve servire solo per garantire le infrastrutture, la formazione e per intervenire nelle aree di fallimento di mercato. Se deve investire assumendosi i rischi, deve avere anche i giusti ritorni”, sostiene.

Mariana Mazzucato, Docente di Economia dell’Innovazione presso Spru Sussex University

Mazzucato invita a guardare al modello della Germania basato sulle medie imprese (piccolo non è bello), sulla “finanza paziente” di lungo periodo (come KfW Development Bank che investe in progetti mission oriented senza puntare sul ritorno a breve), sul legame stretto e ben finanziato fra scienza e industria (Fraunhofer Institute), sull’alto rapporto fra ricerca e Pil e una R&D mission oriented (Energiewende, il piano per l’evoluzione nel settore energetico). “Il problema dell’Italia non è il deficit ma la mancanza di investimenti per 20 anni e la conseguente caduta di produttività”, è la diagnosi finale.

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