Negli articoli precedenti abbiamo visto come sta cambiando il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione e quali sono gli strumenti tecnologici che possono supportare questo cambiamento. Il rapporto di cui parliamo è però quello tra cittadino-utente e Pa-ente erogante di un servizio; ci troviamo, quindi, nella sfera puramente amministrativa della gestione della “cosa pubblica”. Certo questi servizi rappresentano l’esercizio di un diritto, ma usufruirne in un modo più agevole o semplice riguarda solo un aspetto del più complesso e ampio tema della partecipazione del cittadino (e qui sì, il termine cittadino deve essere considerato nella sua accezione più ampia ossia di appartenente, a tutti gli effetti, a una comunità, a uno stato) alla vita pubblica; in questo caso il termine stesso “pubblica amministrazione” è limitante ed è più corretto parlare di istituzioni pubbliche.
Si tratta infatti di esercitare il diritto di partecipare in modo attivo alla vita delle istituzioni, un diritto che i cittadini non vedono più, o non solo, adeguatamente garantito dalla democrazia “delegata”, ma che, soprattutto per i temi che impattano direttamente e quotidianamente sulla propria vita, i cittadini vogliono esercitare con u na partecipazione diretta alle decisioni delle istituzioni.
È quindi questa la sfera che andiamo a indagare quando parliamo di e-democracy: “Nella società dell’informazione è necessario ripensare il diritto di cittadinanza che non significa semplicmente creare determinate condizioni tecnologiche (servizi online, connessione ecc.), ma, anche attraverso queste (e sottolineo l’”anche”), abilitare una maggiore partecipazione dei cittadini alle decisioni. Bisogna superare l’idea che partecipazione sia solo espressione di un voto, si tratta di un processo complesso e molto più coinvolgente: vuol dire fare in modo che i cittadini possano esprimere la loro posizione su determinate decisioni e prendere in considerazione questa posizione”, dice Fiorella De Cindio, professore associato presso il Dipartimento di informatica e comunicazione dell’Università di Milano e componente del gruppo di ricercatori che ha contribuito a stilare le “Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale: e-democracy” (scaricabili dal sito , nel canale e-democracy) che hanno rappresentato la base sulla quale è stato redatto l’”Avviso per la selezione di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale” (vedi riquadro).
La dichiarazione di De Cindio ci offre l’occasione per liberare il campo da un equivoco che spesso emerge quando si affrontano questi temi: l’e-democracy non è l’e-voting. “Per e-democracy – specifica anche Elena Tabet, responsabile della linea dell’e-democracy del Cnipa – si intende l’introduzione e poi il rafforzamento della partecipazione alle decisioni della vita pubblica attraverso nuove tecnologie. Il voto elettronico è un’altra cosa”. Potremmo dire che il voto elettronico rientra in quell’ambito di “facilitazione” dell’esercizio di un diritto, come per gli altri servizi esaminati negli articoli precedenti.
Rischio di “marketing politico”?
Nel dare risposta alle nuove istanze di una partecipazione più attiva da parte dei cittadini si nasconde però il rischio che le istituzioni si limitino a operazioni di “marketing politico” orientate più a favorire l’illusione di una partecipazione diretta che non un reale esercizio della stessa. “Questo rischio ci può essere, ma quello che abbiamo rilevato dai progetti presentati è stata proprio l’attenzione della componente politica delle amministrazioni a sentire l’opinione dei cittadini. E quello che è importante è che, in molti casi, questi progetti nascono da esperienze di discussione con i cittadini su alcune tematiche con l’uso di strumenti tradizionali (e penso, per esempio, alle assemblee di circoscrizione del Comune di Roma per la definizione di un bilancio condiviso)”, precisa Tabet. “E poi – aggiunge De Cindio – attivare una partecipazione diretta del cittadino non significa solo raccogliere le sue opinioni, ma farsene carico e inserirle nel processo decisionale. Se questo non avviene, si viene scoperti molto facilmente. Il semplice marketing alla lunga non paga”.
Digital divide: tema complesso
Parlando di utilizzo di strumenti tecnologici per favorire la partecipazione attiva dei cittadini, è indispensabile affrontare il tema del digital divide. Ma nel farlo, bisogna fare molta attenzione perché si tratta di un tema molto complesso che non può essere esclusivamente, e semplicisticamente, affrontato nei termini di una maggiore diffusione e penetrazioni di personal computer, banda larga o formazione per l’utilizzo degli applicativi. Certo, questa è la base, ma da sola non basta. Uno strumento si utilizza se c’è, se è semplice da usare, ma soprattutto se se ne sente il bisogno: “Un immigrato, la cui famiglia vive in un altro continente, potrà non sapere utilizzare Word o Excel, ma sicuramente percepisce immediatamente il valore dell’utilizzo di Internet per effettuare telefonate; il pensionato che vive in un paese isolato delle montagne calabresi e che può effettuare la prenotazione di una visita specialistica via Internet andando semplicemente nella farmacia sotto casa ha un immediato vantaggio dall’utilizzo delle nuove tecnologie”, dice De Cindio. Ecco quindi che il superamento del digital devide significa rendere disponibili in rete (ma non solo perché la multicanalità è uno degli elementi del successo di una strategia di e-government) servizi realmente utili e, nel contempo, utilizzare reti di intermediazione (come abbiamo visto nell’articolo precedente) come le farmacie, le associazioni, i tabaccai, ecc.
E per quanto riguarda la diffusione dei personal computer De Cindio ricorda che si potrebbe fare molto solo semplificando le procedure di donazione di apparati informatici: “Sono moltissimi i Pc dismessi ogni anno dalle aziende, computer perfettamente efficienti, ma che non rispondono più alle esigenze delle imprese e che potrebbero invece essere utilissimi per una scuola o un pensionato o un’associazione. Ecco che basterebbe agevolare le pratiche di donazione (che oggi sono un iter burocratico quasi imperseguibile) per limitare di molto il digital divide”.
Definire il percorso partecipativo
Vediamo ora i progetti co-finanziati dal Mit con l’Avviso sull’e-democracy. “Le Linee guida sulle quali l’Avviso si è basato hanno rappresentato un po’ un monito a non affezionarsi troppo agli aspetti tecnologici e a non scambiare un soggetto tecnologico per un soggetto di democrazia – precisa Tabet – dando dei contorni abbastanza definiti a quello che si deve intendere per progetto di e-democracy. L’importante è la politica, il percorso partecipativo dei cittadini. La parte importante era dunque definire quali sono le politiche sulle quali l’istituzione vuole interagire con il cittadino, quale il percorso da percorrere e quale il processo da implementare”.
La progettazione del percorso partecipativo dei cittadini parte quindi dall’analisi del ciclo di vita di una politica (che va dall’individuazione di una problematica su cui intervenire fino alla valutazione degli esiti) considerandone tutti gli aspetti, da quelli politici a quelli tecnico-istituzionali e normativi e prevedendo modalità di raccordo tra questi aspetti e la partecipazione del cittadino. Solo a questo punto interviene l’aspetto tecnologico con l’individuazione degli strumenti più adeguati alle diverse fasi del percorso.
“Gli ambiti di applicazione possono essere svariati, però ci sono degli ambiti privilegiati che sono quelli dove gli effetti sulla vita dei cittadini sono più immediati e dove, quindi, maggiore è la richiesta di intervento”, spiega Tabet.
Come si vede nella figura 1 del riquadro, infatti, ambiente e territorio, interventi sociali e urbanistica sono gli ambiti privilegiati nei progetti co-finanziati, anche se molti progetti finanziati si sono candidati ad attivare dinamiche di partecipazione su ambiti nuovi come tributi, tasse locali e sanità.
Molti progetti hanno poi utilizzato l’Avviso di e-democracy come occasione per valorizzare e consolidare rapporti di partenariato con attori locali e contesti di confronto già esistenti e funzionanti: è il caso delle Agende 21 (Agenda 21 è il Piano d’Azione dell’Onu per lo Sviluppo Sostenibile nato durante la Conferenza su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, le Agende 21 Locali italiane sono organizzazioni che comprendono vari soggetti che si riconoscono nelle finalità del Piano dell’Onu, maggiori informazioni si trovano nel sito dell’organismo che le riunisce http://www.a21italy.it/), che prevedono già forum con associazioni e consulte locali o comitati di quartiere. In questi casi l’e-democracy è stata interpretata come opportunità per dare qualità tecnologica a dinamiche di partecipazione che già esistevano, con l’obiettivo di valorizzarle e diffonderle.
Le tecnologie utilizzate
La maggior parte dei progetti finanziati non implementa soluzioni tecnologiche innovative, ma utilizza strumenti già in uso da tempo, come i forum e le mailing list. Si tratta di una scelta coerente con gli obiettivi dell’Avviso che, come abbiamo detto, metteva l’accento sui processi partecipativi che le tecnologie Ict abilitano piuttosto che sulle tecnologie stesse. Alcuni progetti, però hanno proposto soluzioni innovative e sperimentali, ecco alcuni esempi:: Easy Vocal System (Evs), ossia strumenti di navigazione vocale dei siti, per rendere maggiormente accessibili e usabili i portali delle pubbliche amministrazioni; Ppgis (Public Participation Gis), ovvero strumenti che utilizzano metodi come la tecnologia Gis (Geografic Information Systems) per il partecipative decision making; strumenti di Knowledge Management per raccogliere, organizzare e distribuire le conoscenze a chi ne ha bisogno, nel momento e nel contesto in cui servono; Tv digitale terrestre; soluzioni di supporto alle decisioni.
I NUMERI DEI PROGETTI
Dopo il lavoro del gruppo di ricerca che ha tracciato le linee guida sulle quali basare un progetto di e-democracy, nell’aprile 2004 è stato emesso l’”Avviso per la selezione di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale” che ha messo a disposizione 9,5 milioni di euro di co-finanziamento da parte del Mit (che poteva raggiungere al massimo il 50% dell’investimento previsto). I 129 progetti presentati sono quindi stati valutati da un’opposita commissione che, nell’aprile di quest’anno, ha stilato l’elenco dei 57 ammessi. Il valore complessivo dei progetti presentati è risultato pari a 73 milioni di euro con un costo medio per progetto di 0,6 milioni (definito tra un costo minimo di 20 mila euro e un costo massimo di 7,5 milioni di euro). Questi dati avevano portato a un’ipotesi di co-finanziamento di 36 progetti (si veda a questo proposito il documento del Cnipa del 19 luglio 2004, disponibile sul sito www.crcitalia.it); la decisione successiva di arrivare a ben 57 progetti, a fronte delle limitate risorse disponibili, può suscitare qualche perplessità sui rischi di un finanziamento “a pioggia”. Quindi se un aspetto positivo di questa scelta può essere rappresentato dal fatto che l’estensione a un maggior numero di progetti, rispetto alle previsioni, può ingenerare un effetto “volano” di più ampia portata, diventa essenziale che il monitoraggio sull’avanzamento dei lavori sia rigoroso affinché vengano finanziati i progetti che realmente vengono portati a conclusione. Osservando i dati relativi ai progetti presentati si nota che i comuni sotto i 5.000 abitanti rappresentano oltre la metà dei proponenti e che il 75% dei progetti coinvolge associazioni; inoltre 50 progetti ricorrono a risorse economiche messe a disposizione da sponsor privati. Riguardo alle azioni politiche inserite nei progetti si nota che solo 28 si sono concentrati su un’unica politica locale, mentre la maggioranza ha deciso di implementare più azioni (si veda figura 1). Per quanto riguarda le tecnologie, i progetti potevano scegliere tra un insieme di tecnologie standard e, tra queste, la distribuzione è quella che emerge dalla figura 2. Infine un dato territoriale riguardante i 57 progetti finanziati: la suddivisione per regioni assegna il maggior numero di progetti approvati a Lazio e Lombardia (7). Al Lazio anche il co-finanziamento totale più alto (1.440.000 euro), mentre la Lombardia ottiene 1.275.000 euro. A seguire Piemonte (5 progetti, 960.000 euro), Sicilia (5 progetti, 645.000 euro), Toscana (4 progetti, 960.000 euro) e Veneto (4 progetti, 555.000 euro).
figura 1 – la distribuzione dei progetti in base alle azioni politiche
figura 2 – la distribuzione delle tecnologie
Fonte: Cnipa, luglio 2004
Il tema proposto oggi fa parte della seconda puntata del progetto “L’innovazione della PAL” (la prima è disponibile nell’area Progetti Speciali), e va ad arricchire la precedente illustrazione dello stato dei progetti della 1° fase dell’e-democracy (vedi articoli correlati)
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