Può sembrare la “semplice” promessa di far alzare i numeri di pagoPA, appIO, CIE, SPID facendo qualche passo avanti sulle varie piattaforme e i diversi servizi digitali che da qualche anno costituiscono l’alternativa alle code negli uffici pubblici, più che mai in un contesto pandemico. Ed invece dietro all’elenco di voci approvato nel progetto del PNRR che va sotto la voce “Servizi Digitali per Cittadini” si nasconde la strategia per creare il “sistema operativo” del Paese rivoluzionando i rapporti che persone e aziende hanno con la PA e il suo ruolo nella ripresa. Oggi appaiono interventi spot, sono puntini da unire e, da cittadini, serve tanta fiduciosa immaginazione per vedere ciò che è stato pianificato ma procedendo con la roadmap emergeranno esponenzialmente sempre più vantaggi e il disegno complessivo.
Il puzzle del PNRR per la PA: tanti servizi accessibili e diffusi
Con un investimento di 2,01 miliardi di euro dedicati, il Piano del Governo ha l’ambizione di rendere tutti i servizi digitali più semplici, accessibili ed efficienti. Dietro a questo slogan c’è la volontà concreta di sviluppare un’offerta integrata e armonizzata, tecnologicamente all’avanguardia ma facilmente fruibile, e la sfida di garantirne un’adozione diffusa tra le amministrazioni centrali e locali. Di volta in volta il numero di servizi verranno integrati potrà cambiare a seconda dell’ente ma l’obiettivo finale di ogni milestone è avere una media di 50 servizi per i Comuni, 20 servizi per le Regioni, 20 servizi per le aziende sanitarie, 15 servizi per scuole e università, per raggiungerlo sono stati aggiunti ulteriori 350 milioni di euro finanziati dal Piano Complementare.
Oltre ad un’accelerazione significativa nell’adozione di servizi che soprattutto nell’ultimo biennio, più o meno forzatamente, sono entrati a far parte della quotidianità di molti – PagoPA, appIO, SPID, CIE e ANPR – le misure inserite nel piano mirano a migliorare la user experience ma in chiave di maggiore accessibilità per garantire non solo comfort e semplicità di utilizzo ma anche inclusione. A questo impegno di accelerazione e miglioramento si affiancano due nuovi progetti, una piattaforma unica per le segnalazioni, per la digitalizzazione degli avvisi pubblici, e la sperimentazione della Mobility as a Service (MaaS) nelle città metropolitane, per digitalizzare il trasporto locale.
Entro giugno 2026 il PNRR vuole punta a 42,3 milioni di cittadini con identità digitali valide sulla piattaforma nazionale e almeno 6.400 pubbliche amministrazioni centrali e comuni, e promette di realizzare la piattaforma di notifica digitale ma già entro dicembre 2023 si dovrebbe assistere ad un incremento di almeno il 20% del numero di servizi integrati in pagoPA ed entro dicembre 2024 ad un miglioramento della qualità e dell’utilizzabilità dei servizi pubblici digitali, non solo dei comuni, ma anche degli istituti di istruzione ed enti di assistenza sanitaria e di patrimonio culturale, con ulteriori progressi da monitorare entro il 2025 grazie al supporto di AgID.
Di fronte ad un elenco di misure che possono sparpagliate, chi conosce la strategia di digitalizzazione spiegata nel Piano triennale per l’informatica nella PA come Luca Gastaldi, direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano e anche membro della regia tecnica che coordina le spese del PNRR presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, può assicurare che sono “tessere di un puzzle, tutte ben collegate, componenti di un sistema unico per cambiare il modo in cui il Paese e il governo interagirà con cittadini e imprese”. Viene richiesto loro un atto di fiducia, per ora, perché “il disegno chiaro ed efficace a cui si sta lavorando dietro le quinte ha un potenziale enorme ma solo con l’avanzare contemporaneo delle diverse piattaforme se ne vedranno i reali benefici – spiega – con il PNRR si prendono le tessere del puzzle e singolarmente le si porta avanti, per un po’ di tempo nonostante si stiano facendo passi avanti molto importanti, non si vedranno grandi benefici e questo rischia di farci perdere energia ma la direzione è quella giusta e appena arriveremo al superamento di un certo livello critico di avanzamenti fatti, la dinamica sarà esponenziale”.
Soluzioni innovative e formazione per rimediare a frammentazione e mancanza di competenze
Dal punto di vista dei Comuni, in veste di soggetti attuatori, la principale preoccupazione è però un’altra, quella di “avere enormi investimenti e non riuscire a gestirli perché non si hanno le competenze necessarie all’interno dei comuni”. Non è una novità, spiega Egidio Longoni, vice segretario di ANCI Lombardia, è già accaduto anche per altri bandi europei a cui si è tardato a rispondere, poi in parte recuperando, “ma questa volta non ci sono margini di tempo, l’occasione è irripetibile e molti Comuni non sono pronti”.
Secondo Longoni la mancanza di skill interne è strettamente legata all’età media dei dipendenti, oggi tra i 53 e i 56 anni, “quindi tendenzialmente poco portati all’innovazione e con poche competenze specifiche – spiega – e così l’implementazione di servizi tecnologici innovativi dipende dalla sensibilità e dall’interesse dei singoli”. C’è anche l’importante tema della frammentazione: il 70% dei Comuni avendo meno di 5000 abitanti conta circa 5-10 dipendenti in cui è raro trovare competenze e tempo per mettere a terra quanto previsto dal PNRR. “Serve una riforma sostanziale che obblighi i comuni ad aggregarsi rispetto a questo tipo di sfide e investimenti con lo sviluppo di competenze aggregate. Questo vale anche per altri temi cruciali come cybersecurity e cloud pubblico” secondo Longoni che sottolinea come “questo tema finora trascurato possa impattare fortemente sulla messa in atto di quanto previsto dal piano per la digitalizzazione dei Comuni”.
Tenendo conto di questa situazione, non risanabile nei tempi dettati dall’Europa, “il PNRR non ha certo la pretesa che enti così piccoli trainino l’innovazione digitale e li affianca concretamente mettendo a disposizione delle soluzioni tecnologiche innovative per una serie di processi complessi ma sostanziali per erogare servizi pubblici, lasciando ai singoli il compito di adottarle e farle funzionare al meglio, promuovendole verso i cittadini” spiega Gastaldi.
A questa strategia pragmatica e sperabilmente di immediata efficacia, anche per stare nei tempi indicati, si affianca un importante impegno per migliorare le competenze della PA. Sarà fondamentale per garantire una digitalizzazione duratura e in continua evoluzione, individuare o creare figure competenti interne che possano essere da riferimento per lo sviluppo di queste ed altre innovazioni, “con uno sforzo di upskill oppure iniziando a richiedere anche competenze digitali alle nuove leve selezionate” suggerisce Longoni. Questa mission nel PNRR è affidata ad AgID che mette in campo un programma di formazione a 360 gradi sui temi dell’accessibilità dei servizi digitali, rivolto a tutti coloro che saranno coinvolti, dai dirigenti apicali al redattore web, di volta in volta con un approccio adeguato al ruolo.
Lezioni, tecnologie assistive e kit ad hoc per servizi più inclusivi subito
Questa iniziativa di sensibilizzazione e diffusione di competenze adatte a migliorare la user experience e l’inclusività delle piattaforme digitali della PA è uno dei tre interventi di cui l’Agenzia per l’Italia Digitale si fa carico, c’è anche l’attività di monitoraggio che entro il 2026 permetterà di controllare il livello di accessibilità di tutti i siti presenti in indice PA e di visualizzarlo su una dashboard pubblica e condivisibile. “L’attività più corposa e con più finanziamenti è però quella dedicata alle maggiori amministrazioni pubbliche locali: Regioni, Province Autonome, città metropolitane e comuni collegati, più altri comuni per un totale di 55” afferma Claudio Celeghin, Responsabile Servizio “Sviluppo web e communities” di AgID spiegando che saranno forniti loro finanziamenti per:
- formazione interna, anche in aula, mirata alla risoluzione di problemi rilevati in ciascun ente
- acquisizione di tecnologie assistive, come screen reader, tastiere braille, visori per lo schermo
- riduzione del numero di errori del 50% su almeno 2 servizi digitali
Da parte sua AgID si occuperà, fra le altre cose, di diffondere almeno 3 strumenti per riprogettare e sviluppare i servizi digitali e di assicurarsi che almeno il 50% delle soluzioni sia accessibile tramite ICT a tutti i lavoratori con disabilità.
A questo intervento si affianca il supporto più trasversale e ampio fornito da Designers Italia e Developers Italia, due iniziative lanciate dal Dipartimento per la trasformazione digitale, con la collaborazione di AgID, che avranno un ruolo cardine nel prossimo futuro nell’affrontare le sfide contenute nel PNRR e rendere la UX delle piattaforme digitali pubbliche in linea con le migliori pratiche nazionali ed internazionali. La prima mira a diffondere una cultura della progettazione per realizzare servizi digitali sempre più semplici, accessibili, equi e inclusivi mentre i developers si impegnano a promuovere un approccio open source allo sviluppo e al riutilizzo di soluzioni già realizzate per evitare moltiplicazione di codice sorgente, costi ed errori.
La loro strategia è duplice: da un lato si propongono come un punto di riferimento tecnico (con manuali, modelli, schemi, e risorse concrete), dall’altro promuovono un cambiamento culturale anche tra i decision maker e personale della PA, i suoi fornitori e le società in-house con l’obiettivo dichiarato di “favorire la crescita professionale di funzionari, dipendenti, collaboratori della PA, il coinvolgimento delle PMI e degli innovatori del territorio, l’aumento dell’attrattività della PA per i talenti che si occupano di IT, la condivisione di soluzioni a problemi comuni, ma soprattutto la semplificazione della fase di progettazione, sviluppo e realizzazione dei servizi pubblici”. Con il PNRR sanno di dover contribuire alla completa revisione del design system del Paese e hanno già preparato due kit di progettazione e sviluppo interfaccia per siti web di Comuni e scuole.
PagoPA, appIO, SPID, CIE più diffusi per comporre il disegno del PNRR
Passando alle singole “tessere del puzzle” che un domani rivoluzionerà le relazioni tra PA, cittadini e imprese, per ciascuna di esse esistono sfide e criticità, benefici intuibili e obiettivi ambiziosi ufficialmente dichiarati.
Per PagoPA ad esempio l’obiettivo finale è l’adozione da parte dell’80% delle PA che utilizzano questa piattaforma digitale per effettuare pagamenti verso la PA, e non solo, in maniera trasparente e intuitiva. Per come è iniziato il 2022, sembra raggiungibile, dato il tasso di crescita delle transazioni del 108% rispetto allo stesso periodo del 2021 per un tale di quasi 5 milioni di euro. Tra i Comuni il livello di adesione secondo ANCI, varia molto da Nord a Sud, ma il problema principale non ha connotazioni geografiche ed è legato alla dimensione degli enti: “Comuni piccoli o piccolissimi non sono abituati, non hanno competenze e la stessa pagoPA non riesce a metterli nelle condizioni di avere le infrastrutture adeguate per poter aderire al servizio” spiega Longoni.
Per l’appIO, candidata a diventare l’interfaccia unica di tutti i servizi digitali offerti dalla PA, con tanto di notifiche per scadenze e servizi di pagamento, l’obiettivo finale è sempre l’80%: oggi sono oltre 25 milioni i download conteggiati real time sul sito ufficiale, entro il quarto trimestre del 2023 si vogliono già contare 2.700 nuove PA che l’hanno adottata per raggiungere un aumento pari a 7.100 entro il secondo trimestre 2026, stavolta assicurando un incremento del 20% dei loro servizi integrati. 2
Per ora, come fa notare Gastaldi, è stata infatti utilizzata per green pass e cashback e “sia la sua adozione che il suo successo sono strettamente legati alla diffusione delle altre piattaforme come CIE e SPID, entrambi legati all’identità digitale di cui, secondo i piani, nel quarto trimestre del 2025 dovranno disporre 42,3 milioni di cittadini.
Per CIE oggi si sforano i 26 milioni di attivazioni ma secondo Longoni la vera svolta c’è già stata, quando il Ministero degli Interni ne ha preso in carico la realizzazione e i relativi costi, facendo risparmiare spesa di 20-25mila euro per i macchinari necessari per la produzione ai singoli Comuni oggi incaricati solo di acquisire attraverso un applicativo dati e immagini. Per lo SPID, invece, la svolta c’è stata con la pandemia e il green pass, oltre che con il cashback e la lotteria degli scontrini. Ad oggi sono oltre 27 milioni i cittadini che hanno SPID ma resta “un passe partout in uno scenario in cui mancano le porte” ovvero i servizi. Le PA, per cui sarebbe gratuita, latitano per la mancanza di competenze se non dei servizi digitali stessi e lo stesso vale per molte PMI, mentre le grandi aziende, che dovrebbero pagare per usarla, non hanno alcuna intenzione né convenienza nell’abbandonare i sistemi di gestione dell’identità digitale dei propri clienti su cui hanno investito, anche per poter ricavare il massimo dai dati senza dover stare nei limiti legati alla privacy imposti da SPID. I fornitori di gas e luce come le banche sarebbero una presenza gradita e funzionale ma tuttora sussiste secondo Gastaldi “il forte rischio che SPID serva solo ad accedere a green pass, appIO, fascicolo sanitario e poco altro quando potrebbe essere la chiave universale per accedere a tutti i servizi, pubblici e privati. Abbiamo tra le mani una soluzione sofisticata – aggiunge – ma non sfruttiamo tutto il suo potenziale e si conserva un’ossessione per la sua diffusione trascurando l’aspetto fondamentale della presenza dei servizi”.
Anche sull’Anagrafe Nazionale Popolazione Residente c’è già un alto tasso di adesione, quasi il 100%, ma questo è il classico esempio di “tessera” che senza le altre ha poco significato. Immortalando un Presidente della Repubblica che scarica il primo certificato lo scorso Novembre, per annunciarne il lancio ufficiale, si è perso di vista il vero significato, quello di collegare tutte le PA smettendo di interpellare il cittadino per scambi di informazioni e documenti perché messi in comune grazie ad un’interoperabilità tra enti che oggi non è ancora stata raggiunta.
“La PA dovrebbe iniziare a far comunicare le diverse anime al suo interno e comparire per il cittadino solo per offrire servizi di valore” specifica Gastaldi aggiungendo al puzzle un ultimo pezzo, quello tutto ancora da costruire e fortemente vincolato alla diffusione dell’identità digitale: la piattaforma unica delle segnalazioni per inviare notifiche con valore legale in modo interamente digitale riducendo sensibilmente i tempi di comunicazione, eliminando le spese di spedizione per le PA e abbattendo i casi di mancato recapito
Contesto e future sfide di un PNRR per la PA che non può fallire
Le sfide elencate nel PNRR e gli investimenti previsti, si inseriscono in un piano di digitalizzazione della PA già avviato da cui possono dipendere fortemente, come nel caso del digital divide infrastrutturale. A puntare l’attenzione sul tema è ANCI che raccoglie le voci di quei comuni, non pochi, privi di banda larga e a volte anche di ADSL, prendendo atto che parlare a chi vive in queste zone d’ombra del Paese di servizi digitali sia ad oggi assurdo. Esiste un gap che va colmato, impattante e significativo quanto quello digitale presente tra alcune fasce di cittadini: secondo Longoni ci soo ben oltre 2 milioni di persone” che rischia di restare esclusa, per il suo basso livello di digitalizzazione ma anche per un “attaccamento culturale e generazionale” alla carta e alla relazione personale che fa loro ignorare gli sforzi di digital transformation della PA. Nessuno deve restare indietro, neanche tra le imprese, ed è per questo che nel PNRR sono stati previsti dei miglioramenti per far sì che il mercato del digitale per la PA in Italia sia più inclusivo soprattutto nei confronti di startup e PMI. “Piccolo, da 6,5 miliardi di euro rispetto ai 70 di quello dell’intero digitale italiano, concentrato e privo di dinamiche concorrenziali, in mano quasi completamente ad una decina di player esperti nel rispondere alle gare più che a innovare”, questo mercato così descritto da Gastaldi subirà presto una rivoluzione copernicana, “per lo meno sulla carta – specifica – poi dipende dalla volontà di chi deve implementare queste riforme”. Nel frattempo però, sempre sulla carta, sono stati previsti interventi per costringere i provider a offrire soluzioni in cloud sicure e interoperabili, per rendere il mercato più innovativo, e che rispondano ai requisiti di dettati dalla cybersecurity, ma c’è anche l’obbligo di interoperabilità per tutte le soluzioni, per evitare lock-in.
“Con il PNRR si vuole cambiare anche il codice dei contratti pubblici per favorire la partecipazione alle gare pubbliche di startup e imprese innovative: chi in cordata ne include una viene valutata meglio – spiega Gastaldi – questo si aggiunge ad altri precedenti interventi con cui cerchiamo di risolvere i problemi endemici del mercato e aprirlo alle startup. Oggi solo il 10% di esse lavora con la PA perché è molto difficile, per via di gare onerose economicamente e che richiedono garanzie fuori dalla loro portata. Ci sono forti resistenze da parte degli incumbent ma si sta andando nella giusta direzione”.
Questo vale anche più in generale, guardando alla mission “digitalizzazione della PA” in cui l’Italia anticipa al 2026 scadenze che la Commissione Europea per tutti gli Stati membri ha fissato nel 2030: “visto che finora siamo stati molto miopi, ora ci servono obiettivi sfidanti se non vogliamo perdere quest’unica occasione di eliminare il gap che ci separa dall’Europa”. Gastaldi, di fronte all’abbondanza di fondi e di interventi di digitalizzazione da fare, vede il rischio di “procedere in modo disarticolato e disomogeneo, effettuando investimenti corretti ma non sinergici e senza una chiara una strategia per spendere bene”. Non è l’unico ed è per questo che è da poco stata lanciata PA Digitale 2026 la piattaforma unica con misure, aggiornamenti, consigli, guide, procedure e roadmap che il governo userà per dialogare con chi deve usare soldi affinché lo faccia e nel migliore dei modi.