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Formare le persone, motivare all’utilizzo del digitale in tutti i campi. Per colmare il gap del nostro Paese

Competenze digitali diffuse, con una scuola capace di attrarre gli studenti verso una formazione di carattere tecnologico, e stimolazione della domanda digitale, con un ruolo di traino da parte dello Stato, attraverso la definizione di regole e norme. Sono i due fattori fondamentali che il sistema paese deve sviluppare. Le riflessioni e i suggerimenti di Mario Martinelli, CIO di Sisal, al “governo che verrà”.

Pubblicato il 20 Feb 2018

Mario Martinelli, CIO di Sisal

La rivoluzione digitale è sotto gli occhi di tutti e soprattutto è oggetto di discussione nei più svariati contesti. Da questa enfasi comunicativa a una reale e diffusa attuazione, il gap è ancora purtroppo rilevante, in particolare nel nostro Paese. Dai dati forniti dalla Commissione Ue nel 2017, giusto per citare due esempi, in Italia i cittadini con competenze digitali di base sono solo il 44% (56% la media Ue) e chi usa frequentemente l’internet banking è solo il 43% rispetto alla media Ue pari 59%. Ancor più negativo il dato di interazione tra cittadino e PA on line: pari a solo il 16% (contro la media Ue del 34%), e, incredibile a dirsi, in diminuzione di due punti rispetto al 2016.

Il vero salto verso un ecosistema in cui le tecnologie e i servizi digitali siano patrimonio di tutti, necessita, a mio avviso, di due fattori fondamentali che il sistema paese deve sviluppare:

  • competenze digitali diffuse, in primis fondate su una Scuola che formi davvero al meglio le nuove generazioni;
  • stimolazione della domanda digitale, unica leva reale per far si che le esigenze dei singoli traggano davvero vantaggi e creino il circolo virtuoso su cui si fonda l’espansione digitale.

Sul primo punto, la Scuola deve formare le nuove generazioni negli skill più utili al mondo del lavoro; quelle tecnologie digitali che oggi sono così difficili da trovare sul mercato. Nuovi programmi e percorsi didattici devono attrarre e motivare gli studenti ad intraprendere scuole secondarie e università a carattere tecnologico, in grado di prepararli al mondo del lavoro con le competenze che davvero servono alle aziende ed alla PA per cambiare pelle. Ancora poco si è fatto in questo senso e i dati su diplomati e laureati in ambiti tecnologici sono ancora decisamente poco soddisfacenti sia in termini di preparazione sia di numero. Una reale collaborazione e un dialogo sistematico e strutturato tra Stato ed Aziende per definire cosa e come migliorare il sistema scolastico sarebbe unazione utile e concreta per dare energia fresca al sistema-paese. Ancor di più, serve una visione comune e una strategia sinergica che includa tutti gli attori: la scuola; le famiglie e i giovani che devono sapere quali sono e quali saranno i mestieri vincenti nei prossimi anni e aver ben chiaro quali competenze saranno necessarie; le imprese e la pubblica amministrazione, che hanno estremo bisogno di professionalità digitali all’altezza; e, per ultimo, lo Stato che deve attuare politiche di sviluppo delle competenze all’altezza.

Il secondo aspetto riguarda la convinzione che il digitale si possa diffondere naturalmente senza adeguati stimoli. Niente di più sbagliato: un ecosistema digitale evoluto si ottiene in tempi ragionevolmente rapidi solo se si crea nel quotidiano la giusta motivazione all’uso di tecnologie e servizi innovativi.

Su questo lo Stato, con i suoi organi legislativi, deve assumere un ruolo di traino, definendo regole e norme che spingano il digitale nell’uso comune nei più svariati campi.

Prendiamo un esempio tra tutti, la diffusione dei pagamenti cashless (web, POS, mobile, etc.) ancora così poco diffusi in Italia e che invece rappresentano una priorità per la competitività e la crescita del Paese. Anche qui i dati sono poco incoraggianti: il contante è usato per l’83% delle transazioni vs. la media UE del 67% e i tassi di crescita sui pagamenti cashless sono troppo bassi (Italia sestultima in EU-28 sul TEH-A Cashless Society Speedometer ) con un gap destinato ad aumentare.

Un’economia più cashless permetterebbe di abbattere il costo “diretto” del contante (oltre 10 mld €/anno) e di aumentare la trasparenza nelle transazioni con un conseguente considerevole aumento della raccolta fiscale.

Su questo fronte, senza un forte e deciso intervento di stimolo da parte del Governo, il risultato di una diffusione più rapida del cashless è illusoria. Gli interventi possibili sono molteplici, ad esempio: la razionalizzazione normativa, anche sul fronte della sicurezza, la sensibilizzazione, educazione e stimolo degli utilizzatori nella fruizione dei servizi digitali, l’agevolazione di innovazione e ricerca nell’industria dei pagamenti, etc..

In particolare i fattori di accelerazione si possono sviluppare a livello sia nazionale che locale, vedi ad esempio la diffusione di sistemi di accettazione cashless per parcheggi, trasporti, servizi turistici, etc. sconti fiscali per le transazioni cashless, etc.. Tutto questo abilitato da piattaforme interoperabili e standard comuni. Questi stimoli, di cui il cashless è solo uno dei tanti esempi, possono essere davvero il propulsore alla diffusione del digitale nel nostro Paese e su questi il nuovo governo dovrebbe concentrarsi con azioni concrete ed efficaci.


Commenti all’articolo

  1. Mariano ha detto:

    Tutte le persone oneste vorrebbero lui a capo dell’Agid e per questo non lo nomineranno mai.


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