Idee e proposte pratiche per uscire dalla crisi

Pubblicato il 20 Dic 2011

bevilacqua70

Iniziamo a parlare di Agenda Digitale, un impegno che anche il nuovo governo Monti ha messo all’ordine del giorno. Dall’inizio del 2011 nel mondo degli innovatori, che in Italia sono tanti, c’è parecchio movimento. Riportiamo le proposte di alcuni dei più attivi e concreti che propongono banda larga, ma non solo.

“L’agenda digitale dovrà essere sviluppata. Occorre operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea e promuovere la diffusione della banda larga“. È la dichiarazione del presidente del consiglio Mario Monti nel suo primo discorso al Senato. A trasformare la dichiarazione di intenti in misure concrete provvederà, si spera, Corrado Passera, ministro per lo sviluppo economico e le infrastrutture.
Possono considerarsi per ora soddisfatti i cento innovatori che avevano, all’inizio dell’anno, pubblicato una pagina a pagamento sul Corriere della Sera con un appello alla politica, perché cominciasse a mettere in agenda il tema del digitale. L’appello ha ottenuto oltre 22mila adesioni. Sembra dunque si stia affermando l’idea ben sintetizzata da Alfonso Fuggetta, Ceo di Cefriel, fra i promotori dell’appello: “L’economia digitale non è un settore da tutelare ma una delle leve per uscire dalla crisi come dimostrano molte esperienze a livello internazionale”. Non è un caso che vadano meglio le imprese che esportano, in parte perché non subiscono la contrazione del mercato domestico, ma anche perché, per rispondere alla competizione internazionale, sono state costrette da tempo ad adottare più intensamente le tecnologie digitali. Per favorire la digitalizzazione di quella parte del paese che ancora arranca, Fuggetta suggerisce tre cose da fare subito: 1 – banda larga, con il reintegro degli 800 milioni di euro che vi erano stati dedicati, mettendo attorno a un tavolo gli operatori; 2 – supporto a ricerca e innovazione attraverso un meccanismo automatico come il credito d’imposta, che riconosce bonus fiscali (in percentuale da definire) alle aziende private e ai centri pubblici che svolgono attività di ricerca; 3 – qualificazione (anche se richiede un po’ più di tempo) degli acquisiti della Pubblica amministrazione e adozione al tempo stesso in modo più intenso dell’e-procurement.
Fa ben sperare il fatto che negli ultimi mesi si siano moltiplicate le iniziative spontanee degli innovatori, come ricorda Peter Kruger, Ceo di EZecute, startup consulting boutique, primo promotore dell’appello per un’Agenda Digitale. Fra queste, “Gli stati generali dell’innovazione”, a fine novembre, e Digital Advisory Group (Dag), promosso da imprese di vari settori e singoli innovatori. Il gruppo, presentando un’analisi dell’economia digitale italiana e degli ostacoli che si frappongono a un suo più ampio sviluppo, propone 12 interventi prioritari per un futuro digitale. Secondo il report Dag, l’economia digitale ha contribuito direttamente per il 2% al Pil italiano con 30 miliardi nel 2010 e per il 14%, in modo indiretto, negli ultimi 4 anni; 700.000 nuovi posti di lavoro sono inoltre stati generati solo da Internet. Ma, come emerge da una ricerca condotta dal McKinsey Global Institute nel maggio 2011, si può fare di più: in Svezia e Regno Unito il contributo di Internet al PIL supera il 5% mentre in Francia è pari al 3% Il principale ostacolo non è di tipo infrastrutturale, secondo Andrea Di Benedetto, imprenditore digitale e presidente nazionale dei giovani imprenditori di Cna: “Il digital divide derivante da scarsità di banda o disponibilità di wi-fi impatta relativamente sulle aziende. Per queste c’è soprattutto un problema culturale, su cui come associazione stiamo lavorando”. Non parliamo dei giovani imprenditori per i quali la voglia di connessione è palese, ma soprattutto di Pmi e imprese artigiane tradizionali verso le quali è necessaria un’azione per aumentare la fiducia nella moneta elettronica e promuovere l’impiego dell’It e del web per migliorare gli aspetti organizzativi. “Molte delle nostre imprese, concentrate sulle capacità professionali, trascurano l’impiego di workflow informativi, di sistemi per il controllo di gestione, dell’uso di web e dei social network”, dice di Benedetto. È importante portare l’esempio di tante piccole imprese che con prodotti di qualità in settori come food, moda, tecnologia, creatività associati alla forte adozione di sistemi It evoluti hanno avuto risulti eccellenti, riuscendo ad affermarsi sui mercati internazionali. “Vogliamo far capire alle nostre imprese che potrebbero realizzare almeno il 3-4% di crescita in più grazie a una spinta più decisa all’informatizzazione dei processi”, promette Di Benedetto. Per accentuare il ruolo originario, di formazione e accompagnamento alle crescita che le associazioni imprenditoriali dovrebbero avere, Cna sta mettendo a punto un accordo con Google e altri partner tecnologici.

Cultura di impresa + Venture capital = Startup digitali

Gianluca Dettori, fondatore di Vitaminic (pioniere del download musicale), oggi Ceo di dPixel, iniziativa di seed capital (che investe importi relativamente modesti in startup innovative fin dalle prime fasi di attività), e fra i promotori del manifesto Agenda Digitale e di Dag vede nell’economia digitale un potente generatore di occupazione, oltre che di crescita economica: “Oggi abbiamo la generazione più formata in ambito digitale, peccato che siano tutti disoccupati e precari”, dice. La quadratura del cerchio è puntare sulla nuova imprenditorialità favorita da finanziamenti privati ma con il supporto pubblico. “Senza la leva del venture capital non si riescono a creare nuove imprese digitali”, sottolinea. La soluzione più volte suggerita è la creazione di fondi hi-tech. Un cosiddetto fondo di fondi è già stato sperimento, con il vincolo di investimento nel Sud Italia, e ha messo in campo nuovi operatori di venture capital, che ora sono attivi e hanno effettuato i primi investimenti.

Kruger, sulla stessa lunghezza d’onda, suggerisce che “risorse pubbliche fino a oggi mal utilizzate a causa di un approccio dirigistico, abbandonata la logica dell’assegnazione diretta, alimentino fondi pubblici-privati”. Si tratta in pratica di sviluppare la logica del co-founding, prendendo spunto da esempi virtuosi come quelli di Israele, in passato, e ora della Turchia. Dovrebbero completare il quadro misure fiscali che favoriscano chi investe in fondi dedicati alle startup innovative e che tengano conto del percorso specifico delle imprese innovative. Le realtà realmente innovative, per esempio, nei primi due-tre anni di attività sono in perdita e sarebbe dunque assurdo sottoporle agli stessi obblighi fiscali e previdenziali delle imprese tradizionali.
Last but not least, affinché si diffonda la cultura dell’innovazione digitale è importante parlarne. La Bbc, ad esempio, ha assunto l’informazione sull’innovazione fra i propri impegni istituzionali.

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