Ragionare sul grado di digitalizzazione raggiunto dall’Italia è indispensabile per capire cosa ha funzionato e cosa va migliorato. Lo facciamo attraverso l’interpretazione dell’Osservatorio Agenda Digitale in merito ai risultati ottenuti nell’ultimo anno. Si tratta di uno sforzo indispensabile per cogliere l’occasione, unica e irripetibile, di agganciare la digitalizzazione dei Paesi europei di riferimento. Stiamo parlando ancora una volta della capacità di spendere bene le risorse del PNRR, oltre 191, 5 miliardi di euro, circa un quarto dedicati alla trasformazione digitale, 9,62 miliardi per iniziative di eGov. Queste risorse dovrebbero avere un ruolo chiave nella realizzazione della visione di una PA come Government as a Platform (GaaP). Questa prevede data set condivisi e gestiti a livello centrale, piattaforme modulari per i servizi, modelli di interoperabilità, ricorso diffuso al cloud, la realizzazione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) per la condivisione dei dati strategici.
Nella corsa alla digitalizzazione partiamo 18esimi
È questa la posizione dell’Italia nell’indice europeo DESI 2022, con un punteggio 49,3, sotto la media dei 27 e molto indietro rispetto a paesi simili come Spagna (in settima posizione con 60,8), Francia e Germania, nonostante l’avanzamento di 2 punti rispetto 2021.
Va evidenziato un miglioramento su alcuni fronti come la connettività (dove siamo settimi con un salto di 16 posizioni) e l’integrazione delle tecnologie digitali, soprattutto per quanto riguarda l’ebusiness, all’ottavo posto con un miglioramento di 2 posizioni. Si assiste invece al peggioramento nel campo del capitale umano (in 25esima posizione), per le scarse competenze digitali dei cittadini e specialistiche in campo ICT (1,4% dei laureati ICT sul totale, contro una media europea del 3,9%). Male anche per la digitalizzazione dei servizi pubblici digitali (19-esimi, retrocedendo di una posizione), sia in termini di disponibilità di applicazioni, sotto della media europea sia, soprattutto, per la modesta interazione digitale dei cittadini con la PA (40% contro il 65% a della media europea).
La bassa propensione degli italiani a fruire dei servizi digitali della PA è in parte motivata da un’analisi dell’Osservatorio, in collaborazione con Unguess, che conferma la scarsa conoscenza di alcuni servizi tipo e la difficolta ad utilizzarli. Il 57% del campione non conosce l’esistenza del servizio on line di pagamento della TARI, il 60% del pagamento delle multe, il 61% del download da ANPR, mentre circa un quarto del campione che pure li conosce non li ha mai usati. La maggior parte degli utenti considera inoltre i servizi online più difficili da usare dei corrispondenti tradizionali.
Successi e insuccessi nella digitalizzazione: tutti i perché
Per cogliere le opportunità favorevoli offerte dal PNRR e trarre vantaggio da alcuni segnali positivi che lo stesso DESI evidenzia, è indispensabile comprendere dove concentrare le energie e le risorse per la realizzazione concreta degli obiettivi condivisi.
Particolarmente utile risulta dunque il contributo al dibattito, portato da Alfonso Fuggetta, Direttore Scientifico, Osservatorio Agenda Digitale e Ceo di Cefriel, attraverso l’analisi dei risultati conseguiti e degli insuccessi. “Sulla connettività, dove è stato fatto qualcosa, se pur con limiti ed errori, abbiamo realizzato dei miglioramenti. Anche sulla digitalizzazione delle aziende e sui servizi alle imprese dove abbiamo agito, complice la pandemia, abbiamo ottenuto risultati” è il suo commento. “Mentre è stato fatto poco o nulla per migliorare le competenze e i servizi della PA. Ci comportiamo anzi come Penelope, nella creazione e nella cancellazione di dipartimenti e servizi dedicati alla digitalizzazione”.
Un caso emblematico è quello della discussione in corso sugli strumenti di identità digitale del cittadino, posseduta oggi da circa metà degli italiani. SPID che ha registrato più di un miliardo di accessi nel 2022 e ha avuto un impatto reale rischia di essere eliminato a favore di CIE che ha di poco superato i 20 milioni di accessi. La nuova task force di esperti, creata dal Governo per la digital transformation, ha avuto come primo tavolo di lavoro proprio la messa a punto della nuova identità digitale. È davvero questa la priorità? O si rischia in impantanarsi in una discussione che non fa fare passi in avanti?
“In questi anni non ci siamo preoccupati delle cose che servono davvero ai cittadini” denuncia Fuggetta, portando l’esempio della certificazione, non un servizio per i cittadini ma un modo per rimediare alla mancanza di interoperabilità fra amministrazioni sulla cui necessità tutti concordano da almeno un decennio. “Semplificazione vuol dire de-certificazione non digitalizzazione dei certificati”, precisa ancora. Ne consegue che il successo dei servizi digitali non si misura con il numero dei certificati digitali emessi ma piuttosto con quanti certificati in meno sono stati costretti a richiedere i cittadini.
Il fascicolo sanitario elettronico (FSE) che potrebbe essere di grande interesse per le persone stenta invece a decollare, non certo per problemi tecnici, ma a causa delle difficoltà a definire i processi di governo e di interazione con le autonomie locali che devono essere tenute in considerazione. La stessa PNDP, destinata a garantire l’interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi, ha come presupposto una governance adeguata e un accordo istituzionale tra le amministrazioni e tra soggetti pubblici e privati.
Di fatto ci si è illusi di occuparsi dei cittadini lavorando sul front end ma trascurando il back end, indispensabile, per fornire quei servizi digitali di cui davvero hanno bisogno.
Per non commettere gli stessi errori e per rispondere alla sfida della digitalizzazione due sono, in conclusione, i suggerimenti:
- Capire perché, come paese, in alcuni ambiti siamo progrediti mentre in altri segniamo il passo.
- Concentrarci sugli strumenti in grado di avere reale impatto, per riuscire scaricare a terra il potenziale dell’enorme quantità di risorse disponibili.
Se scegliamo gli strumenti sbagliati o non capiamo bene le azioni di fondo, rischiamo, come paese, di ritrovarci al punto di partenza e sprecare una grande opportunità.