L’attuale direttore del MIT Media Lab, Joichi Ito, uno dei prestigiosi relatori presenti al World Business Forum 2016 (WOBIMI), ha testimoniato come i nuovi approcci radicali alla scienza e alla tecnologia possano trasformare in modo sostanziale e positivo la società. Software, hardware e biologia sono le principali aree esplorate dal MIT Media Lab, grazie a un’organizzazione (composta da 26 gruppi di lavoro) basata sui principi dell’’antidiscipline’, cioè la capacità di persone di diverse discipline di lavorare insieme a un progetto che non è la somma delle differenti competenze, ma qualcosa di completamente nuovo. Per Ito è anche qualcosa di più: “Per me ‘antidiscipline’ significa qualcosa o qualcuno che non rientra in alcun campo di studio definito e regolato dalle istituzioni accademiche”, precisa, ricordando il mondo prima dell’avvento di Internet, quando le cose erano più lente e semplici, con un lavoro che durava tutta la vita.
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Perché si è ridotto il costo dell’innovazione…
L’instabilità portata da Internet ha però aspetti positivi: “Grazie al basso costo delle reti, al computing sempre più potente ed economico e al free software, il costo della collaborazione e della comunicazione si è avvicinato a zero. La conseguenza è stata la drastica riduzione del costo per l’innovazione [dato che esperti di diverse discipline, geograficamente collocati da parti opposte del mondo, possono confrontarsi con estrema facilità ndr]”, sostiene Ito. Questo ha reso possibile l’affermarsi di un nuovo modello di innovazione che Ito definisce engineering-driven (basato appunto sullo sviluppo collaborativo) in contrapposizione al modello tipico delle grandi imprese, MBA-driven (guidato cioè dai manager formatisi nelle Administration Business School), che impone ai gruppi di innovazione di fare proposte e presentazioni ai vertici aziendali per ottenere i fondi necessari.
“I progetti tradizionali comportano costi e rischi elevati e molti anni per il roll out; ma ricordo che le varie Google, Yahoo e Facebook avevano prodotto il software ancora prima di raccogliere i finanziamenti grazie all’utilizzo di prodotti free e di origine universitaria – ribadisce – Internet cambia il business model e la natura del rischio, grazie alla riduzione dei costi dell’innovazione, e rende oggi possibile ridefinire anche il paradigma della fabbrica: quanto è avvenuto nel software sta avvenendo oggi nell’hardware con una maggiore facilità nel passaggio dalla progettazione alla produzione”. È infatti possibile, anche per l’hardware, passare direttamente dall’idea, al progetto e alla sua realizzazione, cercando solo successivamente i finanziamenti per la produzione su larga scala.
E ancora… su questa scia, Ito porta ad esempio la cosiddetta “kitchen technology”, cioè la tecnologia capace di creare una fabbrica all’interno di un ambiente domestico: è quanto sta accadendo in Cina, nello Shenzen, dove piccoli imprenditori-produttori sono capaci di muoversi senza problemi dalla produzione tessile all'elettronica. “Un operaio ha sviluppato un telefono che vende al dettaglio a 8 dollari con molte delle caratteristiche, tra cui uno schermo OLED, batteria al litio, lettore MP3, che i consumatori si aspettano dai prodotti di fascia alta”, esemplifica. Mentre stanno nascendo esempi di “factory in a box”, sistemi che, integrando la stampa 3D e altre tecnologie, riescono, ad esempio, a produrre e montare con grande efficienza, i componenti di una scheda elettronica sulla base di un progetto.
Il nuovo tipo di innovazione che oggi nasce nello spazio dell’Internet consumer è destinato, secondo Ito, a spostarsi nei settori manifatturieri e dell’industrial Internet.
… e non riguarda solo le startup
A chi si chiede come mettere in pratica nelle organizzazioni strutturate, un modello che sembra più adatto a singoli innovatori, startup, hacker, il cui mestiere è l’innovazione, Ito ricorda che Intel ha creato una piattaforma It open utilizzando le startup e che aziende come Microsoft e Google, sono imprese aperte ai contributi degli innovatori. “La creazione della Play Station Sony e del Kindle ha seguito percorsi analoghi a quelli del MIT Media Lab”, sottolinea, suggerendo alle aziende strutturate che vogliono portare avanti innovazioni radicali di creare un’infrastruttura che abiliti l’ecosistema e uffici separati e protetti, a partire da un forte committment e dalla responsabilizzazione di executive con una mentalità imprenditoriale.
Ito manifesta una visione ottimista per il futuro. “L’intelligenza collettiva è superiore a quella di un singolo individuo anche grazie al ruolo svolto dalle macchine che fanno parte integrante dell’esperienza umana”, sottolinea, considerando sbagliata l’idea che le macchine possano sostituire le persone. “In realtà portano nuove sfide e stimolano la creatività – aggiunge – Ma nel momento in cui robot e intelligenza artificiale fanno parte della nostra esperienza quotidiana, cambia il modo in cui funziona il nostro cervello e serve un nuovo tipo di formazione”. La via indicata da Ito e praticata al MIT Media Lab è quella del creative learning basato sulle 4 P: project (learning by doing), peer (imparare da quelli con cui lavori e studi), passion (ingrediente indispensabile), play (giocando si impara e si crea meglio). E tutto questo riguarda non solo gli individui ma anche le imprese che devono imparare come continuare a imparare.