Il nodo della riduzione del digital divide rappresenta uno dei capitoli più corposi del Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) varato dal governo italiano. La centralità del tema non deve stupire, visto che il punto di partenza sintetizzato dal Digital Economy and Society Index (DESI) colloca il nostro paese nella parte bassa (bassissima) della classifica.
Con un accenno di ottimismo: dopo anni in cui l’Italia si è posizionata ultima, l’ultimo rilevamento la posiziona al 25esimo posto su 27 per quanto riguarda la valutazione in merito alle “digital skill”. Gli investimenti previsti nel PNRR in questo ambito, quantificati in 200 milioni di euro, avranno di conseguenza l’obiettivo di dare impulso al processo di recupero del digital divide a tutti i livelli.
“Il capitolo specifico dedicato alla riduzione del digital divide si colloca nel punto 1.7 delle missioni previste nel PNRR” conferma Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano. “Il tema, però, è decisamente complesso e articolato. L’orizzonte complessivo comprende infatti anche altri interventi che impattano, direttamente o indirettamente, su tutte le missioni del piano”.
Calare il digital divide all’interno del contesto complessivo
La vera novità rispetto al passato è rappresentata dall’accelerazione impressa nel settore digitale nel 2020. La definizione di una strategia e di un piano operativo sul digitale, infatti, è un elemento nuovo, che pone le basi per un reale sviluppo anche a livello delle competenze. Sarebbe fuorviante, infatti, considerare le competenze digitali come qualcosa di “isolato” dagli altri aspetti della digitalizzazione.
L’accesso a Internet, declinato a livello infrastrutturale con l’obiettivo di fornire banda ultra larga sul territorio, è uno dei fattori abilitanti al processo, ma non l’unico. Anche la disponibilità di servizi (per esempio nella Pubblica Amministrazione) ha un ruolo di primo piano. “La relazione tra i vari aspetti crea una sorta di circolo vizioso” conferma Luca Gastaldi. “Ogni vettore di innovazione influenza gli altri”.
In altre parole, è impossibile pensare di aumentare le competenze digitali fino a quando cittadini e imprese non avranno infrastrutture in grado di permetterne la fruizione di servizi che vengono considerati importanti e, allo stesso modo, se quei servizi non vengono resi disponibili. L’immagine, anche se un po’ logora, del “cane che si mangia la coda” è in definitiva quella che rende meglio la situazione davanti alla quale si trovano i decisori.
Partendo da questa prospettiva, il vero punto di riferimento per valutare la situazione dovrebbe essere basato sulla valutazione DESI complessiva, che vede il nostro paese posizionarsi al 20esimo posto, perdendo una posizione rispetto al 2020. Allo stesso modo, la quantificazione degli investimenti ascrivibili alla riduzione del digital divide comprende, per lo meno indirettamente, buona parte dei complessivi 60 miliardi di euro che il PNRR stanzia per il digitale in Italia. Partendo, per esempio, da quei 2 miliardi destinati ai servizi digitali nella PA e alla “cittadinanza digitale”.
Teoria e pratica: come non “sprecare” l’occasione del PNRR
La complessità della situazione non ha impatti solo a livello quantitativo, ma anche qualitativo: per poter “mettere a terra” in maniera efficace gli interventi del PNRR serve infatti un’attenta pianificazione e una strategia efficace. “Il rischio è che il tutto si traduca in interventi a pioggia” spiega Luca Gastaldi. “Un’ipotesi simile porta con se il rischio che gli sforzi messi in essere si rivelino controproducenti e finiscano per aumentare i divari – tra territori, tra centro e periferia, tra generi, ecc. – al posto che ridurli”.
Il tema sottolineato dal direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano è tutt’altro che banale. La predisposizione di incentivi e iniziative per l’incentivazione delle competenze digitali rischiano infatti di essere intercettate soltanto da chi ha già un livello di consapevolezza più elevato. Insomma: il rischio è che a beneficiarne sia solo chi è già più “avanti” nel percorso.
“La strategia individuata nel PNRR punta sostanzialmente ad affiancare le realtà più svantaggiate (dal cittadino all’ente locale) e accompagnarlo verso un’evoluzione” sottolinea Luca Gastaldi. “Nella pratica, viene previsto un helpdesk distribuito per supportare gli enti locali e un progetto di servizio civile digitale che coinvolgerà giovani e soggetti del terzo settore per affiancare le realtà che necessitano di aiuto per affrontare questa fase di evoluzione”.
Tra gli approcci metodologici individuati per rendere efficace la strategia, c’è per esempio il processo di standardizzazione nell’applicazione degli investimenti (per esempio nella migrazione verso piattaforme cloud nella PA) che consentano di semplificare il processo e consentire, anche sotto il profilo economico, una gestione più semplice della digitalizzazione.
Dalla dimensione europea a quella nazionale: l’ampiezza del gap
Per mettere a fuoco il problema, è utile considerare come le diseguaglianze a livello di competenze digitali abbiano una ricaduta anche a livello regionale. Lo studio del Politecnico di Milano non riserva particolari sorprese rispetto a quanto si possa immaginare: il divario tra le regioni del centro-nord e quelle del sud, infatti, è particolarmente ampio. Il tutto, però, deve sempre rimanere in una prospettiva più allargata.
“Se compariamo il livello di digitalizzazione delle regioni italiane più avanzate con le equivalenti di altri paesi europei, permane un ampio gap” sottolinea Luca Gastaldi. “Già i nostri migliori della classe scontano ritardi. Figuriamoci la situazione degli ultimi…”.
Guardando all’evoluzione del processo di digitalizzazione, gli ultimi mesi hanno segnato un vero cambio di passo. “Paradossalmente, la pandemia da Covid 19 ha smosso le acque, innescando un cambiamento che ha portato una buona fetta di utenti ad accedere a servizi digitali prima ignorati” spiega Gastaldi. “L’uso di SPID e altri strumenti per interfacciarsi con le pubbliche amministrazioni ne è un esempio”. L’impatto ha riguardato forse in misura minore il settore privato, ma la vera scommessa è fare in modo che i servizi (e la domanda) si moltiplichino per favorire l’attitudine alla fruizione di servizi digitali.
Il PNRR? Una scintilla per accendere il fuoco della ripartenza
Tra gli aspetti fondamentali per inquadrare gli investimenti del PNRR nell’ambito della riduzione del digital divide, è fondamentale non considerare l’intervento come un “percorso compiuto” fine a sé stesso. Nei prossimi anni, per esempio, agli investimenti del piano si aggiungeranno quelli del Fondo Repubblica Digitale, che coinvolge fondazioni bancarie e mette a disposizione altri 350 milioni di euro per la creazione di nuove competenze digitali.
Parallelamente, una funzione simile può essere individuata anche in quel percorso di alfabetizzazione digitale degli impiegati pubblici su cui il PNRR prevede, ancora una volta, corposi investimenti. Prima di tutto perché essi stessi, oltre che soggetti inseriti nella PA, sono cittadini. In secondo luogo, perché possono funzionare da “volano” per creare quella consapevolezza sull’utilità del digitale che è necessaria per innescare un circolo virtuoso tra domanda e offerta.
“Le iniziative che prevedono investimenti in questo ambito devono essere considerate come un impulso per avviare un processo più lungo e ampio” sottolinea Gastaldi. “Per usare una metafora, è come la paglia che permette di accendere un falò. La vera sfida è che questi investimenti possano innescare un fuoco che sia in grado di crescere autonomamente e in modo sostenibile” conclude.