“Un uso sostenibile delle risorse naturali non è compatibile con una economia basata sulla crescita infinita del Pil”. Lo ha detto, in occasione del recente “Sap Sustainability Forum”, Federico Butera, professore di Fisica Tecnica Ambientale e coordinatore dell'unità di ricerca "Energia e ambiente costruito" del dipartimento Best, Politecnico di Milano, portando a supporto della sua tesi tre fattori: il riscaldamento globale, l’esaurimento delle risorse e del capitale naturale del pianeta, la crisi economica.
“Stiamo prosciugando il capitale naturale – fa notare Butera – nonostante il fatto che qualche miliardo di persone vivono con meno di 1,5 $ al giorno, 1,5 miliardi non possono disporre dell’elettricità e 2,5 miliardi usano legna e sterco per cucinare”.
Come sostengono illustri economisti e premi Nobel, da Joseph E. Stigliz ad Amartya Sen, il Pil risulta un parametro inadeguato sotto l’aspetto economico, ambientale e sociale; Butera evidenzia che l’indice di sviluppo umano (basato su parametri quali aspettativa di vita, scolarizzazione, standard di vita) cresce con il crescere del Pil, ma che oltre un certo livello di Pil procapite (figura 1), non si assiste a miglioramenti significativi; la crescita del Pil comporta invece un significativo spreco energetico senza che aumenti il livello di soddisfazione delle persone.
È questo il contesto nel quale le imprese si troveranno a operare, dove risulterà vincente il modello di disaccoppiamento fra crescita economica e uso delle risorse naturali e dell’energia, che si traduce in una decrescita del Pil per i paesi ricchi e in un incremento per quelli poveri. “Si parla in pratica della necessità di ridurre la quantità di risorse primarie per unità di attività economica – precisa Butera –, il che si può ottenere anche riorientando l’oggetto dell’innovazione verso prodotti e servizi che minimizzano l’uso di risorse e di rifiuti”.
I campioni della sostenibilità
Quello che Butera prospetta non è un modello pauperistico, ma una strategia economica che società di analisi e consulenza internazionali come il Boston Consulting Group (Bcg) considerano competitiva, misurandone le ricadute in termini di ritorni per le aziende e le economie. Bcg, in collaborazione con il World Economic Forum, ha ad esempio identificato 16 “new sustainability champions”, un gruppo di aziende basate in mercati emergenti, nei più diversi settori, che hanno ottenuto performance eccellenti sia in termini finanziari sia di impatto sociale, grazie ad una ben chiara strategia di sostenibilità.
Le implicazioni di questo approccio riguardano anche le imprese dei paesi economicamente maturi: dal momento che i vecchi modi di produzione e di distribuzione sono destinati a diventare sempre più costosi, le aziende cominceranno a competere anche sulla base del nuovo paradigma basato su un uso più efficiente delle risorse e della riduzione dei rifiuti/scorie.
Secondo una survey globale condotta dalla stessa Bcg in collaborazione con Mit Sloan Management Review, dei 4700 business executives intervistati, i due terzi hanno concordato che la sostenibilità è essenziale per la competitività, pur non essendoci accordo sul significato di sostenibilità e su come possa essere messa in pratica in termini di strategie aziendali. Molti intervistati si focalizzano sugli aspetti ambientali, altri sulle problematiche legate alla responsabilità sociale, altri ancora sulla sostenibilità economica. Secondo gli analisti che hanno condotto l’indagine, ci sarebbe la necessità di un una visione unificata, che andasse a integrare gli aspetti sociali, ecologici ed economici della strategia aziendale usando un unico framework concettuale e operativo. Come abbiamo approfondito nell’articolo “La sostenibilità conviene se si vede”, sarebbe necessaria un’analisi approfondita degli strumenti utilizzati e di quelli offerti dal mercato per realizzare dei veri e propri bilanci di sostenibilità, con l’obiettivo di monitorare i progressi e indicare in modo trasparente e pubblico gli impegni per il futuro.
Sostenibilità è competitività: ne sono convinte anche le imprese italiane
L’approccio delle aziende italiane alla sostenibilità è meno integrato con il core business rispetto a quello delle aziende estere. Lo sostiene Carlo Cici, partner di Rga (società di consulenza attiva in tutti gli ambiti di sostenibilità), che ha realizzato il report su sostenibilità e competitività “Tempi insostenibili?”, un’iniziativa di Rga in partnership con Sap e Green Business, sviluppata a partire da interviste effettuate tra marzo e luglio 2012 ai vertici di più di 50 imprese italiane. Il report evidenzia come anche le aziende italiane siano allineate con le imprese straniere nel considerare la sostenibilità un fattore di successo sul mercato: “l’adozione di un modello di competitività responsabile contribuisce alla creazione di un vantaggio competitivo, favorendo l’attrazione di talenti e la creazione del consenso”, specifica Cici. Tuttavia, secondo l’analisi, la crisi risulta un acceleratore dei processi decisionali delle imprese in tema di responsabilità sociale, con il rischio di accentuare il gap tra le aziende con alta e bassa cultura della sostenibilità, gap che si riflette inevitabilmente nelle prestazioni economiche e finanziarie. “Le aziende che hanno già iniziato a integrare la sostenibilità nel loro business – precisa Cici – raccolgono risultati e continuano a investire, mentre le imprese attratte dalla sostenibilità per un ‘effetto moda’ si sono rese conto che parlarne senza attuarla è più un costo che un’opportunità”.
Sia per le aziende italiane sia per quelle straniere, la sostenibilità quale fattore di successo viene al primo posto, seguita dall’attenzione per i dipendenti. Nell’indagine del 2009 i manager intervistati riconducevano i benefici della sostenibilità principalmente alla reputazione aziendale; nel corso degli ultimi anni questa opinione si è modificata notevolmente. La reputazione, che si trovava al quarto posto come fattore di successo d’impresa e al primo posto come beneficio della sostenibilità, si trova invece al sesto e terzo posto rispettivamente, mentre il principale beneficio connesso all’adozione di pratiche di sostenibilità è riconducibile al mercato. “La sostenibilità fa bene anche al business, perché è un plus che siamo in grado di offrire ai nostri clienti e che ci differenzia da altri operatori sul mercato”, ha sostenuto uno degli intervistati. E’ al tempo stesso notevolmente aumentata l’attenzione alla comunità intesa come relazioni con i territori e creazione di valore. Sono state in particolare incrementate le iniziative a contenuto sociale, di beneficenza, la promozione di rapporti e di tutela sociale con le comunità locali, il coinvolgimento degli impiegati in attività sociali al di fuori del luogo di lavoro e si prevede che continueranno ad aumentare.
Gli interventi più significativi che le aziende considerate nell’indagine prevedono per il futuro saranno dedicati principalmente all’ambiente (tutela dell’ambiente, riduzione dei consumi energetici, riduzione delle emissioni, aumento dell’utilizzo di energie rinnovabili); seguono: le persone con i temi formazione e sviluppo, salute e sicurezza, attenzione verso i dipendenti e piano e azioni sulla diversità; la comunità, con iniziative a contenuto sociale, beneficenza, azioni di engagement con le istituzioni locali e il volontariato professionale; il mercato, inteso come attenzione al rapporto con i clienti e con tutti gli stakeholder e come ricerca e innovazione.