L’aumento del numero di Corporate Social Responsibility (Csr) manager è un importante segnale dell’attenzione che anche le aziende italiane dedicano ai temi della sostenibilità e della responsabilità sociale: il primo rapporto dedicato a monitorare l’andamento di questa figura professionale, realizzato dal Csr Manager Network (l’associazione italiana che riunisce i manager della responsabilità sociale d’impresa), evidenzia infatti che il loro numero in Italia è quadruplicato in pochi anni e che il 40% delle aziende quotate in Borsa sono dotate di un Csr manager.
Le aziende italiane si stanno muovendo all’interno dei trend individuati in una recente survey promossa da Ernst & Young che ha analizzato le tendenze di grandi imprese soprattutto statunitensi (la survey è stata realizzata analizzando le risposte di 272 interviste online operanti in 24 settori industriali con fatturati superiori a un miliardo di dollari). Il report evidenzia che il 66% delle aziende intervistate ha registrato, nell’ultimo anno, un incremento di interesse sui temi della responsabilità sociale e ambientale da parte degli azionisti e degli investitori che, nella maggior parte dei casi, hanno esercitato pressioni per la pubblicazione di report sul tema.
Queste tendenze sono confermate anche da una recentissima survey di Idc “Global Corporate Citizens – the State of Corporate Social Responsibility,” basata su 409 interviste telefoniche effettuate a rappresentanti di aziende europee e Usa appartenenti a diversi settori. La survey sottolinea come la disponibilità di dati aziendali precisi e affidabili relativi alla responsabilità sociale diventerà sempre più importante come fattore competitivo per le aziende globali. Secondo lo studio, ben il 63% delle aziende ha cercato di quantificare il contributo finanziario attraverso il monitoraggio della Csr, rispetto al 23% evidenziato da uno studio analogo del 2010. In Italia, a conferma di questa crescente sensibilità, Csr Manager Network ha firmato lo scorso anno un protocollo d’intesa con l’Istat per individuare gli indicatori di corporate social responsibility. Le aziende infatti si stanno attrezzando per stilare bilanci economici integrati con i bilanci sociali e ambientali, e in particolare si stanno attivando le società quotate che hanno sempre più obblighi e richieste da parte di analisti e investitori nel campo della sostenibilità.
Adesione alla Global Reporting Initiative
La maggior parte delle aziende italiane aderiscono allo standard Gri (Global Reporting Initiative), nato per favorire la redazione di report in cui vengano integrate le tre dimensioni – economica, ambientale e sociale – dell’attività di un’impresa, e pensato affinché, grazie alla capacità di quantificare e monitorare le relative prestazioni, sappia dialogare con gli stakeholder rispondendo alle loro aspettative.
Lo standard Gri identifica diversi indicatori: di governance (legati sostanzialmente alla composizione degli organi di governo dell’azienda), sociali (relativi a turnover in uscita, ai tassi d’infortunio, alle ore di formazione pro-capite, alla percentuale di dipendenti valutati per le performance, all’incidenza delle donne sulla forza lavoro totale e alla variazione retributiva per genere), ambientali (legati al consumo di energia, al consumo di acqua, ai rifiuti prodotti – analizzati anche per tipologia e per metodi di smaltimento – e alle emissioni di CO2), di compliance (relativi a multe, sanzioni antitrust, sanzioni per mancata fornitura).
L’impegno delle aziende italiane
La maggior parte delle imprese ha definito politiche di sostenibilità e responsabilità sociale e si è impegnata a stilare regolarmente un bilancio di sostenibilità (figura 1), focalizzando l’attenzione sugli aspetti maggiormente in sintonia con il proprio business: per un’azienda alimentare come Barilla, ad esempio, le priorità riguardano la filiera e la qualità della materia prima, mentre un’azienda del settore moda come Gucci, che utilizza materie prime e tessuti che provengono non solo dall’Italia, ma da tutto il mondo, si concentra sulla catena di fornitura. All’“appello sostenibilità” rispondono anche, con diverse performance, le principali multiutility locali come A2A, Iren, Acea, Hera, che forniscono nei propri bilanci di sostenibilità un elevato volume di informazioni, sia in relazione alle politiche adottate nei confronti dei dipendenti, sia in termini di impegno ambientale. Anche molte amministrazioni locali si stanno attrezzando per realizzare un bilancio ambientale e di sostenibilità rivolto a cittadini e imprese.
Sono particolarmente attive le aziende del settore finanziario. Per Assicurazioni Generali, considerata una delle aziende più “sostenibili” al mondo, la sostenibilità è un modo di agire responsabile verso la società e l’ambiente e rappresenta un valore agli occhi degli investitori, come ha testimoniato Marina Donati, Csr manager e responsabile bilancio di sostenibilità, in occasione del recente Sap Sustainability Forum, e in particolare durante una tavola rotonda fra rappresentanti di aziende che ha fornito un interessante spaccato dei diversi approcci: Fulvio Rossi, Csr Manager di Terna e presidente del Csr Manager Network, ha evidenziato, in particolare, l’approccio sostenibile di un operatore di reti per la trasmissione dell’energia, che certamente consiste nel pianificare e costruire reti, ma allo stesso tempo nel razionalizzarne l’utilizzo; Guido Abbadessa, Presidente del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza Inps, ha ricordato che la disponibilità dei certificati online non solo ha fatto bene all’ambiente, ma ha anche consentito all’azienda di ridurre la spesa, per la sola carta, da 1 milione e 700 mila euro a 500 mila euro.
La maggior parte delle aziende ha di fatto preso atto del fatto che la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale possono avere interessanti ritorni che è necessario tenere monitorati.
La sostenibilità si ripaga
In molti casi i miglioramenti nel campo dell’efficienza energetica creano rapidamente ritorni, come pure l’adesione ai principi dell’edilizia sostenibile che consente alle aziende di ottenere i crediti d’imposta previsti per gli edifici certificati, mentre la riduzione delle emissioni di Co2 consente di ottenere gli incentivi previsti nel piano nazionale per ridurre le emissioni di gas serra e incentivare l’innovazione tecnologica. Come ricorda l’analisi E&Y ci sono anche benefici immateriali più difficili da quantificare come il miglioramento dell’immagine aziendale o la retention dei dipendenti. I due terzi (67%) degli intervistati da E&Y dichiara che i progetti di sostenibilità devono soddisfare gli stessi requisiti in termini di ritorno di investimenti degli altri progetti, mentre il 20% dichiara che ritorno dell’investimento può avere tempi più lunghi e solo per il 13% dovrebbero avere ritorni in tempi più brevi. In sostanza le aziende riconoscono che le iniziative di sostenibilità devono essere in grado di fornire Roi analoghi agli investimenti in altre attività. Come uno degli intervistati da E&Y ha osservato: “Vediamo come principale ritorno la trasformazione in un’organizzazione gestita meglio. Valutando le nostre attività interne, possiamo ridurre alcuni costi, ma soprattutto siamo in grado di guadagnare credibilità agli occhi dei nostri clienti; inoltre, concentrandoci sulle loro necessità di sostenibilità, vediamo evidenti opportunità per noi di aumentare i ricavi collaborando con loro in questo percorso di adeguamento.
Gli strumenti sono adeguati?
Le tendenze fin qui emerse stanno guidando l'interesse delle aziende per strumenti di monitoraggio in materia di responsabilità e sostenibilità incorporati nel software aziendale: il 61% delle aziende intervistate da Idc indica un forte interesse per il software aziendale integrato per il monitoraggio dell'impatto aziendale sull'ambiente, tuttavia, sempre secondo Idc, solo il 21% dispone di fatto di funzionalità di monitoraggio e di misurazione ambientale integrate direttamente nel proprio sistema aziendale; degli altri, alcuni per l'integrazione dei prodotti si affidano a terze parti, mentre il 38% non affatto è in grado di monitorare l'impatto della Csr.
Ma l’integrazione è solo una delle esigenze. Le aziende si rendono conto che per assicurarsi i vantaggi che provengono dall’adesione a programmi di Csr, è necessaria anche una crescita di tipo qualitativo dei report, in termini di numero di misure riportate, di consistenza dei dati, di verifiche dei dati da parte di terzi indipendenti e di altri fattori ancora. Mentre in passato i report si concentravano soprattutto sulla gestione, ora le aziende vorrebbero considerare i prodotti dal punto di vista del ciclo di vita, dalle materie prime impiegate fino alla loro destinazione finale in termini di smaltimento.
Tuttavia questa evoluzione del reporting, secondo l’analisi E&Y, è limitata, se non compromessa, dagli strumenti che le aziende utilizzano per produrli: sono stati indicati principalmente spreadsheet (76%), database centralizzati (66%), e-mail (63%) e telefonate (44%), mentre solo uno su quattro impiega software dedicati (figura 2). Gli intervistati hanno anche riferito la difficoltà di trovare i dati corretti, valutarne la credibilità e determinare quali siano rilevanti ai fini della dichiarazione.
"Negli ultimi dieci anni la Csr è passata dall’essere un imperativo meramente morale o un’imposizione legislativa a diventare un problema business-critical: un numero crescente di aziende stanno abbracciando la Csr come una componente fondamentale dell’organizzazione", è la conclusione di Anders Munk Ebbesen, Research Manager di Idc, che prosegue: "Guardando i risultati dello studio, possiamo vedere chiaramente che la Csr continuerà ad aumentare di importanza, evidenziando l'esigenza di una tecnologia in grado di trasformare i non-financial reporting da una sfida in un'opportunità di business."