Le mie riflessioni partono inevitabilmente dal mio vissuto in Rai e dall’analisi di come la digitalizzazione abbia inciso e stia incidendo in questi ambiti. La logica della Tv, fino a pochi anni fa, prevedeva una comunicazione “uno a molti” (nel nostro caso, a milioni di persone) con scarsa possibilità tecnica di gestire i feed-back dei telespettatori/utenti del mezzo televisivo. L’arrivo della digitalizzazione è stato considerato, nei primi anni, alla stregua di un abilitatore tecnologico per comunicare su più piattaforme, mantenendo tuttavia la filosofia broadcasting.
Leggi tutti i contributi dei CIO allo Speciale Elezioni 2018
- Tecnologia, innovazione, imprese: cosa chiedere alla politica che verrà
Solo successivamente abbiamo percepito la differenza fra una semplice presenza su web e la possibilità di utilizzare Internet per comunicare. Mentre iniziavano queste valutazioni, si è sviluppata enormemente l’internet “umana” e i telespettatori/utenti si sono dotati di device digitali (PC, smartphone, tablet, …); in questo modo abbiamo potuto iniziare a correlare i nostri dati strutturati con le conversazioni su Internet, sviluppando nuove analitiche, facendo così evolvere il concetto di audience verso quello di social listening. Questo percorso porta inevitabilmente a riflettere su cosa stia accadendo nella società digitale e reale.
Abbiamo a disposizione diversi strumenti tecnologici per permettere a chi li utilizza di comprendere maggiormente la realtà e di agire di conseguenza su di essa. I sensori, i social e i mobile media aumentano la capacità di “sentire la realtà”; i nuovi database e logiche di elaborazione aumentano la capacità di “processare la realtà”; l’intelligenza artificiale e la data visualization aumentano la capacità di “comprendere la realtà”; i sistemi di attuazione e reazione in tempo reale aumentano la capacità di “attuare la realtà”. Il salto non è indifferente: si passa dalla capacità di previsione sociale all’anticipazione sociale. È quanto hanno fatto all’inizio gli OTT che necessitavano di più dati sui loro clienti/utenti per migliorare il target dei loro annunci o per promuovere nuovi prodotti. L’estrazione, l’elaborazione, la correlazione e l’integrazione spinta della maggior quantità possibile di dati (c.d. estrattivismo) hanno dato grandi vantaggi ai cittadini, alle aziende e ai Governi. In Rai, ad esempio, ci ha permesso di comprendere quando gli utenti/telespettatori erano stanchi di certi format o quali temi erano divenuti di interesse generale. Ma accanto ai vantaggi, come la (apparente) gratuità, vi è un interesse delle aziende che necessitano dei dati personali, con uno scambio però quasi mai alla pari. Il sociologo Morozov ha posto l’attenzione sui rischi dell’estrattivismo. Con l’arrivo dell’intelligenza artificiale e del deep learning, basati sul data intensive, è diventato chiaro che più dati si inseriscono nel sistema più il meccanismo è efficace, con la conseguenza che chi ha accumulato molti dati ha un nuovo petrolio da fruttare: le grandi quantità di dati raccolti consentono infatti ai sistemi, che “imparano” a conoscere e sfruttare il nostro comportamento, di orientare le nostre scelte non solo economiche ma anche sociali e politiche, intaccando, in ultima analisi, la nostra stessa libertà di autodeterminazione. Eppure su temi importanti come le fake news e la sicurezza, ci si mette nelle mani dei grandi colossi, chiedendo paradossalmente proprio ai giganti del web di vigilare sulle fake e di gestire la sicurezza. I problemi andrebbero invece affrontati alla radice, visto che le fake e i rischi cyber non sono le cause, ma effetti che derivano dalla scarsa conoscenza dei rischi da parte dei cittadini che andrebbero invece informati e formati. La politica ha la grande responsabilità (anche utilizzando gli strumenti tecnologici a disposizione) di aiutare i cittadini a scegliere in modo consapevole. La prima opportunità che vedo è l’attuazione della normativa europea GDPR, che riguarda il tema della protezione dei dati personali e la democratizzazione dell’accesso ai dati.
Come sostiene il sociologo Derrick de Kerckhove, con il concetto di “inconscio digitale”, oggi rischiamo di essere sconosciuti a noi stessi, mentre altri possono estrarre frammenti di noi dalla galassia delle nostre tracce on line. Il digitale è diventato la trama delle nostre vite ed è un agente potente di trasformazione sociale grazie all’impatto sull’esistenza individuale e collettiva. La normativa di protezione dei dati è dunque un fondamentale presidio di garanzia, tanto in termini di diritti esercitabili dai cittadini/consumatori quanto di complessiva responsabilità dei titolari. Va vista come uno strumento per minimizzare il rischio – inaccettabile da un punto di vista culturale – di considerare la cessione dei nostri dati come un prezzo da pagare in cambio dei vantaggi offerti dal mondo connesso. Gli algoritmi, basandosi sul comportamento passato, rafforzano le nostre convinzioni e indeboliscono l’etica del dubbio. Il tema della neutralità dell’algoritmo, dell’equità delle sue soluzioni e della sostenibilità etica e giuridica della tecnologia è una questione democratica cruciale, come ha sostenuto il garante della Privacy, Antonello Soro. In questo contesto, il diritto alla protezione dei dati non solo è una straordinaria risorsa per garantire la libertà della persona nella società digitale, ma può divenire per le stesse imprese un’opportunità di “business etico”. Non tutto quello che è tecnicamente possibile è eticamente consentito. Per definire il limite, vale il vecchio principio che la sfera di libertà di ciascuno finisce laddove inizia la libertà dell’altro individuo. Citando Soro: “in questo scenario, se il diritto in generale svolge oggi sempre più il compito di salvaguardia e ‘umanizzazione’ della tecnica, il diritto alla protezione dei dati, in particolare, è una risorsa straordinaria per mantenere la persona nella sua dignità, libertà e responsabilità, al centro della società digitale”.
In conclusione ritengo che si debba portare l’attenzione su temi fondamentali come la necessità di ricomporre la frattura tra umano e tecnologico, ripensando la relazione complessa tra naturale e artificiale. Sarà necessario avviare un percorso per fondere le culture (umanistica e scientifica) a livello di educazione e formazione. In ultima analisi dovremo promuovere un’educazione critica alla complessità e responsabilità e, in questo scenario, la politica ha una grande opportunità per fare la sua parte.