Prospettive

Le discontinuità necessarie per una PA più digitale nel 2021

Con circa 100 miliardi di euro in arrivo dall’Europa dedicati all’attuazione dell’Agenda Digitale la PA italiana ha l’occasione, unica, per attuare al meglio la propria trasformazione digitale. L’Osservatorio del Politecnico di Milano fotografa la difficile situazione con cui si presenta a questo appuntamento con il futuro ed evidenza le difficoltà nel mercato digitale per la PA su cui lavorare per avviare una disruptive innovation vincente.

Pubblicato il 14 Gen 2021

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Limitato e concentrato solo su pochi attori, con tempi di risposta inconcepibili per cavalcare l’innovazione, il mercato dei fornitori di soluzioni digitali alla PA si presta ad affrontare una tempesta perfetta con ancora parecchio margine di miglioramento. Per cogliere le opportunità in arrivo dall’Europa legate all’emergenza sanitaria è necessario segnare una discontinuità e innescare un processo di innovazione “disruptive” perché quello incrementale adottato finora non è sufficiente. È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano che quest’anno, nell’analizzare la trasformazione digitale nella Pubblica Amministrazione, ha concentrato la propria attenzione sulle sfide che la attendono nel 2021 e sul cambio di ruolo che essa deve compiere nei confronti delle imprese per aprire le porte ad una concreta e rapida innovazione del sistema.

Dall’emergenza Covid all’urgenza di utilizzare i fondi europei

Se nell’era pre Covid la PA nel 2019 ha destinato al digitale solo circa 5,5 miliardi di euro su una spesa totale di 170 miliardi, nei prossimi mesi ci si aspettano tutt’altre proporzioni nel mercato, non solo perché la pandemia ha fatto capire come le tecnologie digitali siano le infrastrutture portanti del Paese ma anche per via dei fondi stanziati dalla Commissione Europea che avremo a disposizione per la digitalizzazione. “Siamo in un momento unico nella storia, abbiamo un 1 miliardo e mezzo da spendere della passata programmazione, perché ne abbiamo utilizzati solo il 35%, e siamo all’inizio del nuovo ciclo di sette anni in cui sono previsti nuovi fondi con una somma aggiuntiva esplicitamente dedicata alla gestione della digitalizzazione. Secondo le nostre stime dal 2021 avremo a disposizione 100 miliardi da dedicare a iniziative per l’attuazione dell’Agenda Digitale – spiega Luca Gastaldi, direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale – Sono soldi che potremo avere solo creando piani progettuali dettagliati. Dobbiamo darci da fare subito per ottenere quelli che abbiamo ancora a disposizione dello scorso ciclo, entro il 2023, e quelli del prossimo, 2021-2027. Queste cifre mostrano molto chiaramente che la digitalizzazione della PA non è un problema di soldi ma di competenze e di capacità di progettazione”.

foto di luca gastaldi
Luca Gastaldi, direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale

Per non perdere questa possibilità unica e piuttosto immediata, la PA italiana, dopo aver fatto un poderoso passo in avanti obbligata dalla pandemia, ora deve fare un passo di lato lasciando spazio ai veri attori dell’innovazione: le imprese e i cittadini. “E’ il momento di sparire, di stare dietro le quinte come un bravo regista e nel frattempo creare mercato, opportunità e, soprattutto, un meccanismo per collaborare con le imprese trasferendo le proprie esigenze e stabilendo chiare e veloci procedure con cui premiare i migliori – spiega Gastaldi – un ottimo esempio di come il mercato delle soluzioni digitali dovrebbe funzionare è Immuni, una app che hanno sviluppato le imprese secondo le direttive della PA”.

PA alla regia, ma servono più imprese protagoniste

Per dare spazio a questo nuovo scenario collaborativo è necessario guardare all’attuale stato del mercato dei fornitori di soluzioni digitali alla PA italiana individuandone le possibili evoluzioni che abiliterebbero un modello in cui il pubblico “prepara il palco” e le imprese possono giocare da protagoniste. Oggi in Italia secondo Assinform il mercato digitale della PA vale 5,8 miliardi e ha un peso del solo l’8% sul totale ma, oltre ad essere di modeste dimensioni, si presenta aperto ad un numero molto limitato di attori. Di tutti i fornitori italiani di soluzioni digitali solo il 15% (15.368 su 112.339) utilizza gli strumenti del Consip per lavorare con la PA e il fabbisogno informatico del 75% dei comuni è coperto dai 13 principali fornitori. Un mercato così concentrato lascia ben poco spazio alle dinamiche competitive e non spinge certo le aziende ivi ammesse ad innovare la propria offerta in modo pro-attivo.

“Per cambiare la situazione sarebbe necessario spingere sull’utilizzo delle API che attualmente nella PA non esistono. Questo permetterebbe di sviluppare soluzioni non più monolitiche ma interoperabili dando l’occasione ad un maggior numero di aziende di creare dei servizi a valore aggiunto non ricominciando sempre da zero – spiega Gastaldi – anche dal punto di vista normativo serve un segnale chiaro: portare a termine il Codice dei Contratti Pubblici. Ad oggi dopo oltre 4 anni solo 24 dei 45 provvedimenti attuativi sono stati recepiti e ciò non fa che creare un alibi a chi pratica la burocrazia difensiva e, per non sbagliare, sta fermo”.

Il gare Consip vegliano e favoriscono l’innovazione

Un altro spunto per aprire il mercato delle soluzioni digitali arriva da Consip che da quest’anno ha iniziato a premiare il coinvolgimento di startup e piccole medie imprese quali veicolo di innovazione. Lo ha fatto nelle quattro gare bandite tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 su digital transformation, public cloud, servizi applicativi di data management e in ottica cloud che si vanno ad aggiungere alle precedenti, e non ancora concluse, riguardanti connettività, cloud e sistemi gestionali integrati. Consip ha introdotto anche un codice tecnologico con i criteri da rispettare nello sviluppare soluzioni digitali per la PA anche alla luce di una netta intensificazione della propria attività sul fronte digitale con 55 su 83 gare aggiudicate nell’anno relative a questo tipo di soluzioni per un valore complessivo a base d’asta di circa 2,7 miliardi di euro.

Questo organo aggregatore nel 2021 si conferma essere uno strumento chiave per la riqualificazione della spesa pubblica in chiave digitale perché da un lato guida gli enti nella direzione specificata nel Piano Triennale e dall’altro riduce al minimo gli oneri amministrativi che essi devono sostenere abbattendo notevolmente anche i tempi di approvvigionamento delle soluzioni digitali.

Digitalizzare il procurement pubblico per accorciare i tempi

Proprio la variabile tempo gioca un ruolo molto delicato in un mercato come questo, caratterizzato da una continua e sempre più veloce innovazione e, anche da questo punto di vista, alla PA italiana è richiesto di fare un balzo in avanti se vuole davvero cessare di essere sempre un passo indietro inseguendo i progressi fatti in altri settori. “I tempi di assegnazione delle gare pubbliche per le soluzioni digitali sono totalmente inadeguati ad un reale processo di digitalizzazione” commenta Gastaldi. Dalla ricerca emerge infatti che in media l’attesa è di 4 mesi e mezzo dopo la scadenza di consegna delle offerte, solo il 49% delle gare viene assegnata in meno di 100 giorni e nonostante tali periodi si stiano riducendo (da una media di 167 giorni nel 2012 ad una di 80 nel 2020) è necessario comprimere ulteriormente i tempi, nel rispetto della qualità e della legalità, perché diventino compatibili con l’innovazione digitale e si avvicinino a quelli registrati in contesti privati.

Una possibile soluzione sarebbe quella della digitalizzazione dei processi di procurement pubblico: “pensando che oggi un terzo delle gare pubbliche si svolge ancora su supporto cartaceo, questo sarebbe un passo necessario anche per non prestare il fianco a comportamenti collusivi” spiega Gastaldi commentando la ricerca che, da questo punto di vista, segnala una interessante sperimentazione in ambito sanitario ma isolata, non implementata su scala nazionale. Il mercato dell’e-procurement pubblico resta così fermo a 25 milioni di euro l’anno e concentrato su 15 fornitori tra cui i primi 4 per fatturato coprono il 75% delle spese complessive.

Startup & PA, una collaborazione ancora rara

Processi di procurement troppo complessi e tempi di risposta così lunghi non fanno che allontanare dal mondo pubblico una parte importante e dinamica del mercato delle soluzioni digitali, quella rappresentata dalle startup. Ad oggi le realtà finanziate che offrono soluzioni alle PA sono 228 in tutto il mondo secondo il censimento condotto dall’Osservatorio analizzando i dati estratti da crunchbase.com, di cui 55 in Europa. L’Italia ne ha solo una sola, di cybersecurity (Swascan), e si conferma fanalino di coda, anche allargando lo sguardo alle startup non finanziate si ha comunque la conferma che nel Paese la propensione delle startup a lavorare con la PA è scarsa: solo il 10% di quelle registrate nel database ALBA dell’Osservatorio Startup HiTech del Politecnico di Milano lo ha fatto per lo meno una volta.

Guardando al panorama dell’offerta per la PA delle startup a livello globale, spiccano i progetti di data analysis (66), i servizi legati alla trasparenza della comunicazione (49) e le soluzioni di cybersecurity (45) mentre tra le tecnologie più impiegate sono l’AI (63) e il cloud (36). Sul fronte dei finanziamenti, in media una startup che lavora con la PA raccoglie 19,8 miliardi di dollari ma l’80% dei capitali è concentrato nel Nord America e all’Europa resta il 5%. Nonostante si percepisca a livello globale una buona crescita del mercato, le startup digitali che lavorano per la PA per ora restano un fenomeno emergente. Serve del tempo, in generale, e anche condizioni più favorevoli, in Italia, affinché possano attivamente contribuire all’innovazione del mondo pubblico.

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