Nel primo giorno di lavoro dopo il suo insediamento, il presidente Obama firmò il Memorandum on Transparency and Open Government, dove affermava: “Lavoreremo insieme per garantire la fiducia dell’opinione pubblica e istituire un sistema di trasparenza, partecipazione dei cittadini e collaborazione. L’apertura renderà la nostra democrazia più forte e favorirà un Governo efficiente e incisivo”. Lo ha ricordato l’Ambasciatore Usa David H. Thorne, nel suo intervento alla conferenza sull’Open Government del Forum PA, una vera ‘lezione’ su open government e open data.
L’operazione trasparenza negli Usa non si è fermata alla dichiarazione di intenti. “Abbiamo creato un livello di apertura delle amministrazioni pubbliche che non ha precedenti”, ha aggiunto Thorne ricordando che tutte le agenzie federali hanno appena pubblicato gli Agency Open Government Plans 2.0, dettagliati piani d’azione che spiegano come le diverse componenti dello Stato stiano lavorando per rendere i cittadini più partecipi e in grado di fornire contributi al processo decisionale e per rendere i dati più accessibili e trasparenti. Anche a livello locale, numerose città negli Stati Uniti stanno facendo cose interessanti. A Chicago, per esempio, hanno lanciato un progetto di open data che mette a disposizione su Internet tutti i dati del Comune, per accrescere la trasparenza e migliorare la vita urbana.
“Strumenti innovativi, come gli scorecard e i barometri, sono fondamentali per vincolare un’amministrazione pubblica a tenere fede ai propri impegni e per misurare i progressi realizzati”, ha sottolineato Thorne, ricordando che negli Stati Uniti una delle iniziative più popolari è il Citizen’s Tax Receipt, un servizio online che, una volta inserite le imposte sul reddito versate e i contributi previdenziali, indica al cittadino quale percentuale delle sue tasse è andata alle diverse voci di spesa del bilancio nazionale, dalla difesa all’istruzione, al welfare e all’assistenza per i veterani di guerra. Ma ci sono anche siti come www.ipaidabribe.com che forniscono ai cittadini e alle amministrazioni locali strumenti per combattere quel tipo di corruzione di piccola entità (bribe, ossia la classica bustarella) che costa all’economia di un paese milioni di dollari.
Alla scoperta degli open data
“La PA da sempre raccoglie e archivia informazioni sui temi più diversi: dati demografici, cartografici, economici, ambientali, catastali, sanitari, metereologici ecc. Oggi ha la possibilità di ridefinire il concetto di trasparenza dei dati governativi restituendo il patrimonio informativo accumulato e aggiornato alla comunità e agli operatori economici”, ha ricordato nel suo intervento Gianfranco Andriola di Formez.
Gli open data possono essere utilizzati dai singoli cittadini, da aziende e organizzazioni a scopo di conoscenza e controllo democratico ma anche per fare business realizzando applicazioni che li utilizzano e forniscono servizi nei settori più disparati.
Sempre negli Usa Brightscope, che consente di scegliere il miglior piano pensionistico, utilizza i dati messi a disposizione da enti pubblici che rilasciano i dati in formato aperto e ci guadagna (10 milioni di dollari nel 2011). Ma anche gli utenti e il Paese guadagnano da un servizio a basso costo che comunque genera business. Le possibili applicazioni per sfruttare gli open data sono molteplici: turismo, mobilità urbana, analisi statistiche e di mercato, analisi dei consumi energetici, sanità ecc. Sta anche nascendo in Italia un’industria di app principalmente per smart phone che il premio Appsforitaly ha cercato di stimolare.
Un altro effetto positivo del rilascio di dati aperti è l’impulso al cambiamento del modello culturale e organizzativo della PA. I dati per essere resi pubblici devono essere standardizzati, certificati, confrontabili e coerenti. L’amministrazione che apre i dati deve essere di conseguenza più attenta, responsabile ed efficiente.
Come ha ricordato Flavia Marzano, presidente degli Stati Generali dell’Innovazione, sul suo blog a proposito delle difficoltà della spending review: “Se i dati di spesa fossero open basterebbe un po’ di software mischiato con un po’ di open service et voilà tanto bel materiale per prendere decisioni come si deve”. L’associazione di cui è presidente ha proposto alla cabina di regia per l’Agenda digitale di definire che tutti i dati siano open di default ovvero che tutti i dati che la pubblica amministrazione genera da ora in avanti siano per definizione aperti salvo quelli che ovviamente avranno dei motivi seri per essere chiusi.
I dati aperti possono essere elaborati da applicazioni libere o proprietarie per essere fruiti, ma devono essere resi disponibili in formati aperti e standardizzati (Cvs, Xml, Linked Data) e rilasciati attraverso licenze libere che non ne impediscano la diffusione e il riutilizzo creativo (come Creative commons).
Sono previste anche licenze libere progettate ad hoc per i dati aperti governativi come per Iodl (Italian open data licence) i cui dettagli si trovano con molte altre informazioni su www.dati.gov.it; il sito è anche il principale datastore italiano che segnala anche altri fornitori di open data. I più attivi sono, fra le amministrazioni locali, Regioni come il Piemonte, Emilia-Romagna e comuni di Udine e Firenze, oltre a grandi enti come Istat, Cnr, Inps (vedi figura).
Open non basta, serve fiducia e conoscenza
Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, che di dati se ne intende, nella sua lectio magistralis in occasione del Forum Pa ci ha però ricordato che le condizioni affinché i dati (open o non open) siano utili sono che l’utilizzatore si fidi del produttore e che sia in grado di trasformare quell’informazione in conoscenza. “Basta che uno di questi elementi sia zero e la partita è finita – ha detto – Questa regola si applica al produttore ufficiale e al produttore non ufficiale, alla Regione Piemonte che pubblica i dati in formato open come al Comune di Firenze. Ma se i cittadini non si fidano delle amministrazioni non li utilizzeranno”. E dunque, avanti con gli open data, ma anche con la cultura (e le applicazioni) per trasformarli in conoscenza e l’aumento della fiducia che i fornitori di dati devono sapersi conquistare.