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PA: continuità, governance, competenze, i valori per la trasformazione

Continuità sui grandi progetti avviati di trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione e allo stesso tempo un nuovo impegno, grazie a una governance politica più forte e a un’iniezione di competenze. Sono i tre valori che possono davvero cambiare la pubblica amministrazione grazie al digitale.

Pubblicato il 06 Ago 2018

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La conferma che continuità, governance e competenze sono i punti necessari a un vero cambiamento nella pubblica amministrazione italiana è arrivata da moltissimi esperti e addetti ai lavori che in questi giorni stanno spendendo la propria voce: agli eventi che ci sono stati a fine maggio a ForumPA e sulle pagine di Agendadigitale.eu, tra gli altri luoghi. Tra i quali, per esempio, Antonio Samaritani, ex direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale; i tanti esponenti del Team Digitale di Diego Piacentini (commissario all’Agenda digitale presso la presidenza del Consiglio); rappresentanti delle Regioni (come Laura Castellani della Toscana e Dimitri Tartari dell’Emilia-Romagna che rappresentano anche le Regioni a livello nazionale per il digitale). Ma ne hanno parlato anche Elio Catania (Confindustria Digitale) e Giuliano Noci (Politecnico di Milano).

Lo stato della PA digitale

Il quadro è afflitto da una situazione oggettiva, di fondo: l’Italia è in ritardo nella trasformazione digitale e in quella della PA in primis, che di quella trasformazione avrebbe dovuto essere volano (secondo gli intendimenti dichiarati dall’Agenda digitale, nata nel 2012 sotto il Governo Monti, e poi confermati dai Governi successivi). La conferma è nell’indice Desi 2018, della Commissione Europea, uscito a maggio: l’Italia rimane indietro, ferma al suo 25esimo posto su 28 Paesi. Pochi i progressi fatti (il maggiore sul fronte degli Open Data) e diversi passi indietro rispetto agli altri Stati. Complessivamente arretriamo nelle aree della Connettività (da 25esimi dello scorso anno a 26esimi), del Capitale Umano (da 24esimi a 25esimi) e dell’Integrazione delle tecnologie digitali (da 19esimi a 20esimi). Conserviamo il penultimo posto nell’area dell’Uso di Internet e il 19esimo in quella dei Servizi pubblici digitali. Secondo il rapporto della Commissione sull’Italia, “come negli anni precedenti, la sfida principale è rappresentata dalla carenza di competenze digitali. Benché il governo italiano abbia adottato alcuni provvedimenti al riguardo, si tratta di misure che appaiono ancora insufficienti. Le conseguenze risultano penalizzanti per la performance degli indicatori Desi sotto tutti e cinque gli aspetti considerati”. Lo stesso Samaritani, a ForumPA, ha citato il Rapporto della Commissione Europea come segno di ciò che non sta funzionando.

Che hanno fatto gli ultimi Governi per migliorare la situazione, a partire dalla PA? Un bilancio l’ha tracciato la stessa ministra alla PA Marianna Madia, poco tempo fa, nel suo rapporto di fine legislatura. Si tratta di azioni partite essenzialmente sotto il Governo Letta (quando era Francesco Caio il responsabile dell’Agenda Digitale).

Madia cita subito Spid (Sistema pubblico dell’identità digitale, nato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2014): i dati del Team Digitale dicono di 2,5 milioni di identità Spid erogate da 8 provider privati e 4 mila amministrazioni attive, che accettano insomma questo sistema di accesso, unico e sicuro (molti Comuni importanti, Milano su tutti, l’Inps, l’Inail, l’Agenzia delle Entrate).

“Con Spid la PA comincia ad apparire abilitante di un cambio culturale. I numeri principali su Spid li facciamo con Inps, dichiarazione dei redditi, servizi del Comune di Milano. Gli utenti cominciano a fidelizzarsi al servizio”, ha detto Samaritani.

Madia ha citato anche il Foia (Freedom of Information Act), introdotto con il decreto legislativo 25 maggio 2016, che attribuisce ai cittadini un diritto di accesso civico generalizzato agli atti della PA: chiunque può accedere a dati e documenti della pubblica amministrazione, anche se non sono stati resi pubblici.

Ma anche il sistema dei pagamenti elettronici (PagoPA), con oltre 450 prestatori di servizio di pagamento collegati alla piattaforma e 16.455 pubbliche amministrazioni e oltre 5.385.160 di transazioni, è uno dei progetti di PA digitale più maturi; uno dei pochi, anche, che comincia a dare benefici concreti al cittadino, per la facilità di pagare (nella modalità desiderata, elettronica e non) i servizi della PA.

Ma sono pochi in generale i benefici “toccabili con mano” dal cittadino, a conseguenza del tanto lavoro fatto negli ultimi anni per cambiare la PA con il digitale. L’hanno segnalato, tra gli altri, anche Catania e Gianluigi Cogo (Regione Veneto).

È uno dei problemi più gravi e per rispondervi il Team Digitale ha sviluppato l’App IO, che debutterà in beta quest’estate, con la quale ogni utente potrà chiedere e conservare documenti e certificati della PA, accettare ed effettuare pagamenti, ricevere comunicazioni, messaggi e promemoria. “L’app permetterà di ridurre drasticamente i tempi degli adempimenti del cittadino verso la pubblica amministrazione – ha detto Piacentini a ForumPA – Con un sistema di notifiche, pagamenti e scadenze, in pochi minuti si potranno svolgere operazioni che prima richiedevano molto più tempo.”

Questo sistema, per funzionare appieno, ha bisogno di un’anagrafe unica nazionale. A questo riguardo, uno dei pilastri dei progetti di PA digitale è Anpr, l’Anagrafe nazionale della popolazione residente. Partita in forte ritardo, sta decollando solo negli ultimi mesi: adesso ci sono circa 170 Comuni attivi, ma soprattutto circa 1.200 in arrivo. I cittadini che vivono in un Comune attivo possono fruire dei servizi anagrafici evoluti e semplificati, per esempio appunto sull’app IO.

Infine, per completare il quadro, ci sono due elementi che servono per concretizzare realmente la PA digitale: il Piano triennale e il nuovo Codice dell’amministrazione digitale.

Il Piano Triennale 2017-2019 per lo sviluppo dell’informatica nella pubblica amministrazione (dell’Agenzia e del Team Digitale), firmato il 31 giugno 2017, fornisce in dettaglio cosa devono fare le PA; i tempi, i modi, le risorse per l’utilizzo dei fondi europei destinati all’attuazione dell’agenda digitale.

Il nuovo CAD-Codice dell’amministrazione digitale (normato dal decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179) stabilisce invece principi innovativi di cui vedremo l’attuazione nei prossimi mesi, per esempio il domicilio digitale. Il diritto del cittadino a ricevere su un domicilio digitale (come la Pec) tutte le comunicazioni della PA, abolendo il cartaceo (su sua scelta).

Quale futuro per la PA digitale

È evidente da questo quadro che molte cose sono state avviate. Sono anche state “imbullonate in una strategia attraverso un accordo con l’Europa, per lo stanziamento delle risorse”, come ha detto Samaritani. Allo stesso tempo, tutte richiedono una cura da parte dei futuri decisori politici e tecnici per andare in porto. Per dare, finalmente, quel famoso “beneficio pratico” sul cittadino.

Ma è una speranza afflitta dalle ombre della discontinuità. Non solo per il cambio di Governo, ma anche perché gli attuatori tecnici e pratici della trasformazione sono a scadenza: il mandato di Samaritani scade a fine luglio, quello di Piacentini a settembre. Non si sa se il nuovo Governo vorrà confermare il Team Digitale e come vorrà rinnovare l’Agenzia.

L’ha detto chiaramente Carlo Mochi Sismondi, presidente di FPA, a ForumPA: “Servono due cose. Una forte guida politica e un rinnovamento anagrafico dei dipendenti pubblici, che hanno in media 55 anni in Italia. Impossibile cambiare la PA in queste condizioni”.

Il primo tema rinvia al bisogno di avere una figura politica apicale a guida del digitale. Il secondo è in fondo la questione delle competenze digitali della PA, su cui il precedente Governo ha fallito il compito (cassando la legge di Paolo Coppola, PD, che stabiliva risorse per inserire figure esperte di digitale nella PA).

Spendere soldi pubblici in competenze digitali della PA è un facile investimento, perché, tutti gli esperti sono concordi, c’è un forte ritorno economico per i risparmi che ne conseguono (questo al netto dei benefici per i cittadini). Primo perché una PA più digitale acquista meglio tecnologia dai fornitori; secondo perché lavora con più efficienza.

C’è solo da sperare che il prossimo Governo ne sia consapevole. E faccia suo il principio, ormai assodato dalle ricerche (come quelle degli Osservatori del Politecnico di Milano), che il digitale non è un settore a parte nella società e nell’economia. Da trattare a fianco (o magari in subordine, com’è avvenuto finora) di altri ambiti, come il lavoro, l’immigrazione, la Sanità.

Digitale è ormai il modo evoluto di fare tutte le cose e l’Italia ha un ritardo nel riuscirci. Il prossimo Governo deve averlo come priorità o fallirà su tutti i campi dove intende impegnarsi.

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