Nel 2009 lo spending It dei governi europei è stimato da Teresa Bozzelli, managing director IDC Government Insights che parla di una crescita media in Europa Occidentale del 4% (a trainare il trend di crescita sono Spagna, Germania e Uk). Percentuale destinata a salire anche a livello mondiale, non fosse altro che per l’impegno del nuovo governo degli Stati Uniti a intensificare gli sforzi anche su questo fronte per far uscire il Paese, e quindi l’economia mondiale, dalla recessione. Oltre oceano si investirà anche per avvicinare i cittadini alla “gestione delle cose”, ovvero per un coinvolgimento in una sorta di democrazia correlata che richiede la realizzazione di una infrastruttura digitale moderna, con un broadband di nuova generazione e la totale o quasi eliminazione del digital divide. Tanto che la Casa Bianca si è dotata di un Cio e di un Chief technology officer, figure nuove nell’amministrazione americana. Qualcosa si sta facendo anche in Italia, dice Fabio Pistella, presidente del Cnipa che ricorda il Sistema pubblico di connettività che mette a disposizione della Pubblica amministrazione centrale un’adeguata capacità di interconnessione. “C’è ancora molto da fare – aggiunge – ed è per questo che è maturata l’idea delle Reti Amiche, ovvero della trasformazione delle singole reti in una rete relazionale. L’ Inps, per esempio, ha una rete molto buona ma è dedicata alle sue esigenze. Lo stesso dicasi per le Poste. Si tratta di andare oltre e infrangere le barriere e il piano eGov 2012 contempla anche queste forme di progettualità nonché un ‘network’ di accordi tra le diverse amministrazioni per colmare il gap e far fare passi avanti al concetto della interconnessione universale”.
In aggiunta allo Stato centrale ci sono anche le regioni che spingono per l’innovazione. È il caso della Lombardia che è fortemente impegnata da anni per sostenere lo sviluppo della banda larga a favore delle aziende e delle famiglie. La Carta dei servizi è un altro esempio anche se per ora l’applicazione è rivolta al solo settore della sanità. C’è poi il tanto declamato Expo 2015 che, nonostante le pessime premesse politiche e organizzative cui si sta assistendo, continua a rappresentare un’occasione irripetibile per aggregare risorse e colmare il divario che ci divide dall’estero.
Crisi: nessuno pensa all’Ict
Il momento è difficile ma dalle crisi si esce. Non si sa come e quando, ma si esce. Anche perché la crisi attuale, osserva Giacomo Vaciago (nella foto), economista e presidente del Forum dell’Innovazione digitale promosso da Idc, ha una elevata componente psicologica, nel senso che “lo stato delle aspettative è bruscamente peggiorato verso l’inizio dello scorso ottobre e ancora non si è sbloccato da allora. Ci sono solo timidi segnali e anche nel settore delle tecnologie si vive più di servizi rivolti all’ottimizzazione che di progetti di investimento di un qualche respiro”.
“La Pubblica amministrazione – prosegue Vaciago -, che avrebbe dovuto fare da traino, di fatto ha arrestato il proprio processo anche in attesa dei primi riscontri della cura “Brunetta”. Inoltre c’è il rischio concreto che la crisi duri più a lungo anche per colpa dei governi europei che procedono ciascuno per conto suo e spesso su tematiche industriali da old economy. Il presidente americano Obama ha invece espresso una più chiara direzione di sviluppo verso la new economy e le energie rinnovabili che non verso i petroldollari. Manca una strategia unitaria e l’innovazione It rimane sostanzialmente un problema privato, per l’assenza di iniziative governative nel settore malgrado l’esperienza abbia dimostrato che tra crescita del Pil e sviluppo dell’Ict esiste una chiara correlazione. Ma questi sono tempi particolari e ci si è dimenticati di questo assioma”.
In queste condizioni è quindi difficile finanziare l’innovazione, sia per la maggiori difficoltà di accesso al credito in genere sia nei confronti delle nuove idee. È scesa in campo anche Telecom
Italia con una iniziativa lodevole ma mettendo in gioco appena due milioni di euro. “Il nanismo delle nostre aziende non ci aiuta”, osserva Carlo Stocchetti (nella foto), direttore generale Mediocredito Italiano, Gruppo Intesa SanPaolo. “Le nostre Pmi avrebbero bisogno di innovazione ma sono a corto di risorse e di una vision e soprattutto non sono in grado di fare sistema. Per di più sono bersagliate dalla burocrazia e dal fisco. In questo contesto sta alle banche svolgere un ruolo di sostegno e trascinamento facendo un sano credito anche per l’adozione di nuove tecnologie. Abbiamo infatti rilevato che le imprese capaci di fare investimenti in innovazione sono quelle che soffrono meno anche in questo contorto periodo economico”.
Un’innovazione pervasiva e distintiva
Si parla tanto di innovazione, confondendosi un poco. “La tecnologia – precisa al riguardo Renzo Vanetti (nella foto), amministratore delegato di Sia Ssb – aiuta a fare innovazione ma questa è fatta dalle persone. L’innovazione è infatti un grosso processo formativo che da noi è mancato e anche questo spiega il ritardo nell’adozione degli strumenti informatici nelle imprese. Per essere competitivi ci vuole un’innovazione che abbia due caratteristiche: pervasiva e distintiva. Pervasiva nel senso che deve toccare tutti i settori perché il treno possa ripartire in modo giusto. Distintiva perché ogni singola azienda deve applicare un livello ulteriore di innovazione per un’esigenza di differenziazione”.
Cosa non ha funzionato o non funziona? La colpa, come nelle vicende di vita personale, non sta mai da una parte ma va condivisa tra gli attori. “Indubbiamente – sottolinea Fabio Benasso (nella foto), amministratore delegato di Accenture – l’offerta non ha saputo accompagnare la maturità delle aziende innovative mettendole in condizione di operare meglio. Qualcosa è cambiato ultimamente ma per un ripresa ci vogliono misure specifiche e una maggiore consapevolezza”. In altri termini sono due gli ambiti di interventi: quello degli strumenti finalizzati al sostegno tecnologico delle imprese e quello destinato ad accrescere la cultura del personale umano, incluso in questo caso, un venture capital più attento e sensibile alle idee degli incubatori.
Anche per Luciano Martucci (nella foto), presidente e amministratore delegato di Ibm l’innovazione parte dalle persone e la tecnologia è un fattore abilitante. “È l’humus culturale, precisa, che deve cambiare. Per avere un’idea dei progressi compiuti negli anni – spiega Martucci – basti pensare che nel 2010 ci sarà un miliardo di transistor per ogni essere umano e ciascuno di essi costerà una frazione del prezzo odierno. Non solo: alla fine di quest’anno ci saranno quattro miliardi di utenze telefoniche via cellulare e che nei prossimi due anni verranno prodotte 30 miliardi di etichette Rfid. In definitiva la potenza, la qualità e la velocità delle connessioni stanno aumentando in misura esponenziale” dice Martucci, sottolineando come ormai il problema non risieda più nella disponibilità tecnologica, quanto nei modelli di innovazione che passano anche dalla capacità di relazioni coordinate ed efficaci.
Una Internet 2.0
In altri termini siamo arrivati a un punto tale dello sviluppo che alcuni analisti parlano di eccesso di tecnologia in circolazione, identificato non tanto dal punto quantitativo ma dall’inefficienza riconducibile alla scarsa integrazione tra i diversi dispositivi o apparati. Una situazione che provoca inefficienze, perdite di tempo e di denaro. Donde la ricerca di ottimizzazione anche mediante soluzioni capaci di mettere in rete la tecnologia e valorizzarla in modo adeguato a vantaggio di tutti ma soprattutto delle aziende che ne detengono porzioni elevate. In Internet 2.0.
Una necessità motivata non solo dalla crisi in essere ma ancora di più per quando si uscirà da questa situazione. L’impegno dei fornitori di tecnologie Ict è pertanto quello di sviluppare soluzioni in grado di fare del mondo globalizzato di oggi, già di per se interconnesso, un’unica grande rete capace di far convergere competenze e risorse sull’obiettivo di superare le attuali inefficienze. “La rete interconnessa che noi auspichiamo – fa presente Martucci -, altro non è che una rete As a Service. Ci vuole più consapevolezza sulla necessità di cambiare e in questo processo deve impegnarsi soprattutto la Pa che, anche grazie a queste innovazioni, ha oggi grandi opportunità di miglioramento senza eccessivi immobilizzi di capitali”.
Le promesse dell’eGov
L’eGov risponde a queste esigenze? E soprattutto c’è la volontà politica di sostenerlo fino in fondo?
La prima domanda ha delle risposte. La seconda resta un po’ sospesa nell’aria ad ascoltare i pareri di economisti e responsabili di azienda. Per esempio Sergio Rossi (nella foto), amministratore delegato di Oracle Italia, ritiene importante un approccio tra pubblico e privato in grado di fare squadra e sistema: “Noi ci siamo dati da fare attivando dei competence center, uno dei quali a Bari, per progetti in ambito eGov, ispirandosi al metodo di un dialogo tra Pa e cittadino, con la possibilità di feeback sui servizi forniti. Insomma un approccio da Web 2.0. Lo stesso abbiamo fatto nella sanità, varando, per esempio, un sistema di business intelligence mirato a questo settore”.
Fabio Lazzerini (nella foto), amministratore delegato di Amadeus, suggerisce infine anche per gli enti della Pac e della Pal una migliore visibilità su Internet e un maggiore dialogo tra aziende e Regioni nel concepimento di iniziative di eGov. “La creatività e la fantasia dei privati – dice Lazzerini – sono fondamentali anche nell’area pubblica”.