La buona notizia è che l’Agenda Digitale sta diventando uno dei punti all’ordine del giorno dell’iniziativa del Governo e del dibattito nel nostro Paese.
E-government, e-commerce, smart communities, alfabetizzazione informatica, ricerca e investimenti, infrastrutture e sicurezza sono gli assi su cui si articolerà l’Agenda Digitale italiana, attraverso altrettanti gruppi di lavoro. Lo ha deciso la cabina di regia insediatasi all’inizio di febbraio che vede l’attività coordinata di tre ministeri, Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti, Funzione Pubblica, Istruzione, Università e Ricerca, a cui è stato assegnato il compito di accelerare il percorso di attuazione dell’Agenda in raccordo con le strategie europee, con un confine temporale di attuazione tra marzo e giugno. Il focus dell’iniziativa, che fino a poco tempo fa era focalizzato prevalentemente su banda larga e ultralarga per superare l’esclusione digitale, si amplia anche ad altri ambiti. E questa è la seconda buona notizia.
“La possibilità di fornire servizi avanzati ai cittadini e alle imprese non deriva solo dalla disponibilità di banda, come dimostrano altri paesi europei che lo hanno fatto anche in situazioni di banda simili alla nostra”, conferma Miranda Brugi, esperta di e-government e responsabile del pilot toscano del progetto europeo Cemsdi (Civil-servants Empowerment for Multi-media Service Delivery Ict-enabled), su cui torneremo di seguito.
L’intervento pubblico può fare molto per favorire la digitalizzazione sia sul lato dei cittadini sia su quello delle imprese, soprattutto le Pmi, anche se la digitalizzazione della pubblica amministrazione, che rappresenta certo una parte rilevante, non può essere considerata come precondizione per la digitalizzazione del paese. “Bisogna porsi la domanda di come mai finora la Pa non abbia fatto da volano”, sostiene ancora Brugi. Alcuni esempi confermano che, a volte, la digitalizzazione complica la vita anziché semplificarla. Le Pmi che devono rivolgersi allo sportello unico hanno, ad esempio, grandi difficoltà come pure i loro referenti. Le amministrazioni che devono fare le gare online e operare attraverso il centro unico acquisti, soprattutto nel caso dei piccoli comuni, non sanno come far partecipare le imprese del territorio, spesso inadeguate dal punto di vista dimensionale e organizzativo e impreparate in termini di competenze e dotazioni informatiche. Dovrebbe essere compito dell’amministrazione locale cogliere la sfida per far capire alle imprese che se non si innovano non hanno futuro. Ma come fare se l’amministrazione a sua volta non ha gli strumenti culturali adeguati?
E come conquistare quel 40% di cittadini che non accede volontariamente ad Internet? “Gli inibiti dal digitale su Internet che però, ad esempio, usano il telefonino vengono recuperati solo se il servizio in rete risolve un bisogno vero – spiega Brugi -. Un cittadino non compra il Pc e non si collega ad Internet solo per avere un certificato digitale e per fare un atto notarile on line”.
Si confronta con questa realtà complessa e contraddittoria il progetto europeo Cemsdi, che parte dalla considerazione che l’egovernment in Europa è ancora un sistema incompiuto visto che investe soprattutto le grandi città ed i Paesi più evoluti. “Solo poche delle migliaia di iniziative realizzate riescono ad espandersi e diventare sistema su un territorio – dice Brugi – ma senza massa critica di servizi e utenti non c’è futuro per il governo digitale”.
L’Agenda Digitale locale (Adl) viene vista dunque come uno strumento in grado di meglio coinvolgere le istituzioni del territorio, con un vantaggio nemmeno tanto indiretto, poi, sull’e-government del Paese. Il progetto punta a formare una rete di esperti che possano rappresentare la colonna vertebrale per dare forma all’Adl nei diversi paesi e a livello europeo, a partire dal recupero del know-how disperso e dalla valorizzazione del capitale umano oggi disponibile.
Cemsdi, progetto pilota co-finanziato dalla Commissione Europea, è parte integrante del programma di sostegno in materia di tecnologie Ict. “Non è però un programma per esperti informatici, anche se verranno rilasciati una piattaforma e un database e se parte della formazione è stata inevitabilmente volta a fornire competenze informatiche di base spesso carenti”, precisa Brugi. “L’aspetto su cui punta il progetto a livello italiano è soprattutto rafforzare nelle amministrazioni la capacità di analisi, per metterle in grado di costruire il rapporto corretto con i cittadini e le imprese, coinvolgendo le associazioni di categoria, nel caso delle imprese, e del terzo settore (come Arci, Acli, Avis, Croce Rossa…) per favorire l’inclusione sociale, per quanto riguarda i cittadini”.
Gran parte delle giornate di formazione sono dedicate ad amministratori e dirigenti locali per aiutarli nella realizzazione dell’Agenda Digitale all’interno degli enti. Si tratta di attività di coaching per l’analisi dei prerequisiti, dei problemi dell’ente, per capire come si incanali dentro l’ente l’iter dell’innovazione per arrivare al progetto di fattibilità, con la valutazione di costi e ricavi. “Da una giornata di lavoro si estraggono quei due-tre argomenti sentiti e valutati da approfondire per dare valore aggiunto all’intervento sul social divide”, precisa Brugi.
La sperimentazione Cemsdi investe i comuni con meno di 8.000 abitanti in Italia, Norvegia, Portogallo, Spagna e Regno Unito. In Italia sono state individuate nove sedi formative (Avellino, Palermo, Genova, Milano, Mantova, Bologna, Oristano, Lucca, Grosseto) ed è in fase di conclusione il pilota che coinvolge alcune comunità montane in Toscana.
È un esempio di come la realizzazione dell’Agenda Digitale locale possa rappresentare uno stimolo che va ben oltre la digitalizzazione in sé della Pa. Questa, infatti, se si limita al trasferimento di documenti digitali, come nel decreto semplificazione, sembra quasi fare passi indietro.
“Per anni si è parlato di interoperabilità, ma oggi si rischia di riproporre il meccanismo della carta, semplicemnete realizzato con il digitale – dice Brugi –. Nel decreto semplificazione non si parla infatti di dati digitali ma di documenti digitali”. Non cambia il processo nel suo complesso ma ci si limita a ridurre il tempo di trasferimento fra amministrazioni. Con ricadute davvero modeste sulla digitalizzazione del Paese. Bisogna fare di più!