Vi ricordate prima delle elezioni? Siamo partiti, alcuni mesi fa, con affermazioni legate alla paura di estinzione della razza bianca, che soccomberebbe sotto l’ondata migratoria nera e islamica (cosa che poi, puntualmente, ha pagato in termini elettorali); abbiamo proseguito sentendo promesse di veterinari gratis per gli anziani (perché hanno la compagnia del cagnolino e bisogna aiutarli a curarlo al meglio); ci siamo illusi (non più di tanto) per tagli di tasse, investimenti in sicurezza pubblica, aumento delle pensioni; abbiamo sentito di pace fiscale, deburocratizzazione della giustizia, un nuovo piano per il Sud, miliardi per le famiglie con, immancabili, pure gli asili nido gratuiti. Morire che ci sia stato qualcuno che, al di là di qualche generica e distratta affermazione e poche righe doverose in alcuni documenti, abbia messo al centro del proprio programma elettorale una decisa azione di diffusione del digitale. Per le imprese, la Pubblica amministrazione, le persone. Mentre il mondo sta cambiando sotto la spinta di nuovi algoritmi, intelligenza artificiale, cybercrime, realtà aumentata, IoT, Blockchain, questa trasformazione digitale che consentirebbe al Paese di rigenerare la propria capacità competitiva sullo scenario internazionale non è mai stato argomento “appealing” per intercettare i voti. Il digitale, ormai è assodato, “politicamente non tira”. Sorge il dubbio che tra la classe politica ben pochi abbiano realizzato che queste tecnologie, oggi molto di più che in passato, impattano direttamente sulla trasformazione dei modelli di business e sulla struttura di impresa, rappresentando inevitabili motori per la riproposizione economica di un intero Paese nello scenario globale.
Adesso, lo sappiamo, non è ancora tempo di attuare programmi, quanto di poter formare un nuovo governo. Ma il “governo che verrà”, su un tema così strategico e strutturale come l’innovazione digitale, saprà prendersi in carico un percorso di continuità e di accelerazione di quanto fin qui fatto? Saprà, su questo tema, essere “bipartisan” oppure, una volta ancora per logiche di equilibrio politico, assisteremo a un tourbillon totale di cariche e alla stesura di nuovi, ennesimi, piani di sviluppo anche in tema di digitale?
Eppure, per non essere qualunquisti, chi opera nel nostro settore deve ammettere che nella Pubblica Amministrazione centrale e locale in questi anni si è fatto qualcosa; la digitalizzazione sta diffondendosi. Industria 4.0 e il piano Calenda stanno accelerando la consapevolezza nelle imprese che gli investimenti in tecnologie digitali possono guidare un necessario ripensamento dei modelli produttivi ma anche di quelli organizzativi e gestionali, uno slancio che può estendersi ad un miglioramento della cultura digitale di impresa nel suo complesso. Lo stesso turismo e i beni culturali, innervati di continuo di infrastrutture tecnologiche, stanno mostrando segnali di vitalità e soprattutto di continuità….
Potremmo elencare numerosi progetti e piani di sviluppo relativi alle tecnologie digitali e al loro impatto sul territorio (come puntualmente si può rilevare dalla copertura che tutto il nostro Gruppo Digital360, di cui ZeroUno fa parte, quotidianamente offre) ai quali però contrapporre ancora clamorose mancanze; ad esempio in tema di infrastrutture digitali, che ancora oggi, per dirne una, rallentano la diffusione del modello cloud in tutto il Paese proprio perché le connessioni continuano ad essere a diverse velocità e affidabilità a seconda delle differenti aree geografiche. E sappiamo tutti quanto una fruizione veloce e sicura di servizi informativi contribuirebbe alla crescita economica del Paese, favorirebbe la nascita di nuove imprese, accelererebbe lo sviluppo del mercato e aprirebbe al contempo enormi opportunità di ottimizzazioni e di risparmio.
In più, se continuerete a sfogliare questa rivista anche dopo il mio editoriale, subito troverete un insieme di proposte, idee e considerazioni che abbiamo chiesto ad alcuni CIO di importanti aziende operanti in Italia, proprio per strutturare una sintesi di proposta che il mondo Ict indirizza “al governo che verrà”. Contributi scritti direttamente e che andranno ad alimentare un’azione di sensibilizzazione alla politica che tutto il gruppo Digital 360 attraverso l’hashtag #Innovationfirst ha realizzato negli scorsi mesi generando 4 milioni di impressions, con una reach che ha superato il milione di contatti; al dibattito social hanno partecipato finora 450 contributor e una sintesi dei contenuti verrà portata al tavolo del nuovo esecutivo, quando sarà formato.
Ci limitiamo, con questo editoriale, a sollecitarvi una riflessione. Credo ci si debba attendere dalle forze politiche che guideranno l’Italia, almeno due cose fondamentali:
Primo: essere parte di un ecosistema
La consapevolezza della necessità e imprescindibilità di essere parte di un cambiamento storico nel quale il singolo paese non può fare nulla se non in armonizzazione e integrazione con sistemi più ampi, che nel nostro caso significa l’Unione Europea. Placche tettoniche rappresentate da grandi aree geografiche (Usa, Russia e Cina, su tutte) stanno muovendosi sul piano economico, politico e di influenza internazionale, in una guerra senza esclusione di colpi per un ruolo di guida nella nuova globalizzazione. Così come in passato l’espansionismo arabo e la conseguente prosperità dei paesi conquistati hanno lasciato il posto allo sviluppo occidentale (un eufemismo, in realtà, perché tutto è avvenuto attraverso guerre di conquista ferocissime), oggi, anche grazie ad una politica sempre più isolazionista degli Stati Uniti di Trump, ad un ruolo europeo che fatica ad imporre una propria dimensione politica internazionale di guida, alla crescita economica, politica e demografica dell’area asiatica e all’espansionismo di questa su mercati dalle forti prospettive di sviluppo e di sfruttamento (pensiamo all’Africa e al nuovo “colonialismo” cinese), non ha proprio senso guardare solo al cortile di casa. Bisogna piuttosto saper impostare politiche di sviluppo sociale e di innovazione tecnologica in armonia (e sfruttando appieno) con un’imprescindibile integrazione nel blocco di riferimento, quello europeo nel nostro caso. Cosa auspico quindi? Politiche ambientali, di integrazione di persone e di libera circolazione di merci ed individui, con integrazioni tecnologiche e innovazioni sul piano della ricerca scientifica all’interno di un quadro europeo impegnato in una ridefinizione del proprio ruolo nello scacchiere globale. Solo così, a mio avviso, le nostre strategie di innovazione digitale potranno avere efficacia reale sul piano della crescita economica e sociale.
Secondo: la tecnologia tra le leve di una visione politica di sviluppo ed equità
Il fenomeno della globalizzazione, al centro oggi di un ripensamento critico perché non favorisca solo il benessere di pochi ma sviluppi anche un modello inclusivo e sostenibile per il maggior numero di persone, è certamente supportato e alimentato dallo sviluppo tecnologico, ma la tecnologia, da sola, non può far nulla. Il progresso tecnologico è strettamente legato alle idee e alle istituzioni che regolano la nostra politica, ai sistemi finanziari che danno o tolgono ossigeno e quando mancano idee o visione di prospettiva, quando manca leadership politica, anche la tecnologia, e tra queste la digitalizzazione informatica è tra le principali, si sgonfia, si ferma, non attecchisce. Cosa auspico quindi? Che chi guiderà l’Italia, oltre al punto precedente, veda la tecnologia come l’espressione attuativa di una visione politica che ci deve essere, idee di sviluppo e di crescita in rapporto a un mondo che cambia. La tecnologia come leva economica e sociale di attuazione di un disegno più grande, per cambiare le condizioni del paese e delle persone, e modernizzarlo in rapporto al complesso scenario internazionale anch’esso in profondo cambiamento.
Abbiamo sempre avuto una gran quantità di piani di sviluppo, nomine, agenzie e think tank. Qualcosa però, in questi anni, finalmente, si è mosso. Speriamo non si fermi nuovamente, anche se all’orizzonte si intravedono muri e… veterinari.