Il fenomeno della globalizzazione è oramai divenuto il tema centrale di qualsiasi confronto economico e politico, vieppiù associato alla diffusione delle tecnologie e delle reti di comunicazione e trasmissione dei dati. Ciò nonostante, globalizzazione e tecnologia non sono elementi che autonomamente e automaticamente possono determinare un sistema economico integrato ed equilibrato. Anzi, se non ci si attrezza per affrontare il cambiamento in atto, il nuovo scenario può produrre pericolose distorsioni ed è un dato di fatto che alcuni Paesi si stanno preparando meglio di altri. Conseguentemente, se non verranno poste in atto azioni idonee e guidate dal Governo del Paese e diremmo dall’Europa, le azioni solo spontanee potrebbero ampliare il divario con i paesi più “virtuosi”.
Diverse, complesse sono le tematiche da tenere in considerazione e quindi è sicuramente difficile fornire opinioni e riflessioni senza correre il rischio di essere estremamente prolissi ovvero eccessivamente sintetici e superficiali. In più, magari dimenticando aspetti di rilievo.
In ogni caso, si ritiene che vi siano aspetti imprescindibili quali le competenze e il trasferimento della conoscenza e pure della tecnologia, a beneficio soprattutto delle imprese e delle PMI, asse portante del sistema Paese.
Nel dire questo, si ha presente che da dati statistici risulterebbe che più delle metà delle imprese italiane non ha affrontato, e si sente impreparata a farlo, la sfida “industria 4.0”.
È per questo che la “formazione” sia in ambito universitario, ma pure in ambito aziendale, in un’interazione università-impresa ovvero scuola-lavoro e viceversa assume una rilevanza crescente. Ovviamente si tratta di un programma che se non inedito dovrebbe quanto meno essere “sartoriale” e cioè tarato sulle effettive esigenze delle aziende o su cluster omogenei. In più, l’iniziativa non può essere confinata nel teorico; ma deve essere affiancata a innovation hub in grado di produrre innovazione; ma anche di, come si suole dire, permettere di “far toccare con mano” le nuove tecnologie.
Il trasferimento della conoscenza, poi, non risiede solo nella formazione; ma nel porre a fattore comune soluzioni architetturali e infrastrutturali che abilitano i processi digitali e che le singole realtà difficilmente avrebbero le capacità di progettare. Da qui al trasferimento della tecnologia il passo è breve e i concetti del cloud nelle sue varie declinazioni o dei centri consortili specializzati potrebbero consentire a diverse realtà del nostro territorio di abilitarsi al 4.0, pur rimanendo concentrate su quelle che sono le loro competenze distintive di servizio o di prodotto.
Nell’arena competitiva è poi ovvio che se si parte svantaggiati le possibilità di successo si affievoliscono. Le regole devono essere armonizzate, perché, ad esempio, una diversa libertà nel trattamento dei dati dei clienti e nella loro profilazione potrebbe creare un’asimmetria, a tacere poi dell’ambito delle imposte dirette o indirette. Le dotazioni infrastrutturali poi non sono secondarie, basti richiamare il termine connettività e servizi logistici per meglio esplicitare il pensiero. In più, come non citare la sicurezza in un ecosistema globale in cui la reputazione e la salvaguardia del cliente sono elementi imprescindibili per il business sul web. D’altronde è risaputo che il cosiddetto cyber risk non si combatte erigendo barricate ognuno “attorno alla propria casa”; ma creando sistemi di difesa integrati, connessi e “governati” in modo unitario.
Infine, si riparte dall’inizio per riaffermare che la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica, con la progressiva digitalizzazione e robotizzazione dei servizi e della produzione, sono un orizzonte ormai divenuto visibile e non una previsione, e l’impatto del cambiamento presenterà sia opportunità e sia rischi; ma per cogliere le prime e minimizzare i secondi è necessario un movimento simbiotico e mutualistico nel Paese, realizzabile solo sulla spinta delle forze governative preposte.