L’attuale ondata tecnologica e organizzativa che punta a rivoluzionare l’industria può portare grandi benefici al settore manifatturiero e non solo, ma trova molte resistenze culturali per il timore che robot e intelligenza artificiale sostituiscano in massa il lavoro umano generando una nuova ondata di disoccupazione.
Alcuni economisti temono, ad esempio, una polarizzazione del lavoro, con un declino delle competenze intermedie (in particolare quelle manifatturiere) e l’aumento delle professioni di bassa e alta competenza, con un crescente aumento delle disuguaglianze. Un effetto di questo tipo si è in parte già riscontrato nei paesi occidentali per effetto della delocalizzazione delle mansioni ripetitive (in campo manifatturiero e in servizi come i call center).
James Bessen, economista presso la Boston University School of Law e autore del recente (aprile 2017) white paper Automation and Jobs: When Technology Boosts Employment, sostiene però che i timori sono ingiustificati, affermando che l’attuale ondata di innovazione guidata dall’intelligenza artificiale e dai robot, più che causare disoccupazione di massa, accelererà i trend esistenti di automazione abilitata dai computer, rivoluzionando il mercato del lavoro e richiedendo ai lavoratori di acquisire nuovi skill più rapidamente che in passato.
Le competenze sono uno dei fattori di successo per lo smart manufacturing. Lo sostiene Dual.Concept, società di formazione della Camera di Commercio Italo-Germanica (AHK Italien), che ha come obiettivo la promozione in Italia del modello tedesco di formazione duale: un percorso di formazione post-diploma che combina l’apprendimento in aula con l’acquisizione di competenze sul posto di lavoro; l’obiettivo è far acquisire sia delle basi teorico-scientifiche tramite i corsi in aula, sia una conoscenza concreta di una professione tramite l’esperienza sul campo.
Nel complesso cambieranno gli skill richiesti: il personale 4.0 dovrà essere in grado di prendere decisioni collaborando con le macchine e basandosi sulla conoscenza del suo processo e sulla propria competenza digitale. La capacità di reagire al cambiamento e di risolvere problemi complessi necessitano di persone focalizzate sull’esperienza pratica e non solo su conoscenze astratte.
Secondo quanto sostenuto da Massimo Manelli, Vice Direttore Generale Assolombarda, in un recente convegno di confronto fra esperienza italiana e tedesca, Industria 4.0 rappresenta certamente un rischio per i lavoratori con basse competenze e compiti ripetitivi, ma anche una grande opportunità per quelli predisposti al cambiamento e capaci di lavorare in modo indipendente. “Le limitazioni culturali portate da alcune voci critiche sul processo tecnologico in atto potranno rallentare, ma non fermare l’evoluzione digitale”, sostiene. Tuttavia la dimensione delle imprese manifatturiere italiane, soprattutto piccole e medie, e l’assenza di supply chain strutturate che aiutino la disseminazione delle tecnologie richiede l’attivazione di strategie che supportino la contaminazione e la diffusione della conoscenza.
Digital Hub e Competence Center per promuovere le competenze europee 4.0
Questa preoccupazione è presente anche a livello europeo a partire dal divario, nella digitalizzazione, fra grandi imprese e PMI (le prime altamente digitalizzate al 54%, le seconde solo al 17%), come ha ricordato Anne-Marie Sassen, DG Reti di Comunicazione, Contenuti e Tecnologie della Commissione Europea, in un recente convegno su industria 4.0. L’Italia in termini di livello di digitalizzazione avanzata delle imprese (con circa il 13%) è agli ultimi posti, precedendo solo Bulgaria, Romania e Grecia, a fronte di una media europea attorno al 20%, con la Danimarca al 47% e Paesi Bassi al 42% (figura 1).
All’insufficiente grado di digitalizzazione delle imprese europee, con le differenze sopraindicate, corrispondono basse competenze digitali della forza lavoro: il 37% dei lavoratori europei ha insufficienti skill digitali e il 13% non ne ha affatto. Sul tema del recupero dei posti di lavoro va ricordato anche che la presenza degli specialisti ICT è cresciuta di 2,9 milioni di unità nell’Unione a 28 negli ultimi 10 anni e che il 40% delle imprese che cercano professionisti Ict ha difficoltà a trovarli. Si prevede che i posti vacanti nell’ICT siano destinati ad aumentare dai 337mila del 2015 ai 756mila nel 2020, un chiaro segno di fallimento del mercato. Uno strumento per colmare questi divari e rendere possibile il rilancio dell’industria e dell’occupazione europee, attraverso Industria 4.0, è la creazione, in tutti i Paesi, dei Digital Innovation Hub (DIH), per consentire alle imprese di accedere alla tecnologia, alle esperienze e alla sperimentazione, basandosi sui Competence center (CC) specializzati di livello mondiale, in linea con le strategie di smart specialization (figura 2).
Azioni in campo con il Piano Industria 4.0
Seguendo queste linee guida, il piano Industria 4.0, varato dal governo italiano, accanto agli incentivi per gli investimenti, prevede interventi per la diffusione della cultura 4.0, lo sviluppo di competenze 4.0 attraverso percorsi universitari e Istituti Tecnici Superiori dedicati, finanziamenti alla ricerca 4.0, con la creazione di CC e DIH. L’obiettivo nel triennio 2017-2010 è un incremento del 100% del numero di studenti iscritti agli Its, 200mila studenti universitari e 3mila manager specializzati, circa 1.400 dottorati di ricerca con focus Industria 4.0.
La mission dei Digital Innovation Hub, secondo il piano Industria 4.0, è la sensibilizzazione delle imprese sulle opportunità esistenti nella digitalizzazione del manufacturing, il supporto nelle attività di pianificazione di investimenti innovativi e per l’accesso a strumenti di finanziamento pubblico e privato, l’indirizzamento verso Competence Center, il servizio di mentoring alle imprese e l’interazione con DIH europei. Negli ultimi mesi, dopo il primo lanciato in Piemonte a gennaio, ne stanno sorgendo in tutte le regioni, anche su impulso delle organizzazioni imprenditoriali che hanno dimostrato di credere al Piano.
I CC hanno invece l’obiettivo di creare consapevolezza e fare formazione su Industria 4.0, effettuare demo live su nuove tecnologie e consentire l’accesso, fornire consulenza, accelerare progetti innovativi, supportare la sperimentazione e coordinamento con CC europei. Il governo punta a individuare pochi e selezionati CC nazionali con forte coinvolgimento di poli universitari di eccellenza e grandi player privati. Finora sono stati indicati, dal Ministro Calenda, i Politecnici di Milano, Torino e Bari, la Scuola Superiore Sant’Anna, l’Università di Bologna, Federico II di Napoli e le Università Venete. I CC, focalizzati su ambiti tecnologici specifici e complementari, dovrebbero stimolare il contributo di stakeholder chiave come centri di ricerca, start-up,..,
Le iniziative in campo per superare il gap culturale e di competenze non mancano. I prossimi mesi ci diranno se si stanno effettivamente concretizzando e sono in grado di produrre risultati.