Prospettive

Progetto smart city, dove il blu e il verde si incontrano

Non solo tecnologia. Le città di domani, per essere “intelligenti”, hanno bisogno di una visione e di un progetto che le renda sempre più sostenibili e antifragili, luoghi nei quali la qualità della vita per le famiglie e le opportunità di investimento per gli operatori economici siano adeguatamente sostenute. Il Recovery Plan può essere l’occasione per tradurre tutto questo in realtà. A colloquio con Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA, su presente e futuro delle smart city

Pubblicato il 17 Mar 2021

smart city

Firenze è il capoluogo italiano più digitale del 2020. Seguono Bologna, Milano, Roma Capitale, Modena, Bergamo, Torino, Trento, Cagliari e Venezia. È questa la top ten nella classifica dell’ultimo ICity Rank, il rapporto sulle smart city del Belpaese stilato ogni anno dal 2012 a cura di FPA, la società di servizi e consulenza del Gruppo Digital360 che affianca il cambiamento organizzativo e tecnologico delle pubbliche amministrazioni e dei sistemi territoriali. L’indice analizza le performance dei 107 Comuni capoluogo basandosi su 8 indicatori che analizzano il progetto smart city e sono stati aggiornati alla luce della crisi pandemica: accessibilità online dei servizi pubblici, disponibilità di app di pubblica utilità, adozione di piattaforme digitali, utilizzo dei social media, rilascio di open data, trasparenza, implementazione di reti Wi-Fi pubbliche e tecnologie di rete intelligenti.

La trasformazione delle città sarà anche al centro del prossimo Forum PA, il più importante evento nazionale dedicato al tema della modernizzazione della pubblica amministrazione, che si svolgerà dal 21 al 25 giugno 2021 e avrà tra i suoi tanti ospiti Carlo Ratti, architetto e ingegnere, autore per Einaudi nel 2017 del saggio La città di domani scritto insieme a Matthew Claudel. Un interesse, quello per la smart city, che domina la ricerca di FPA e dell’evento Forum PA da prima che l’espressione diventasse di uso comune, come testimonia Gianni Dominici, sociologo e Direttore Generale di FPA.

Il ruolo delle piccole capitali per l’innovazione del tessuto urbano

“Il tema dello sviluppo digitale delle città – spiega Dominici – non è nuovo, risale almeno a 30 anni fa. A livello internazionale esistono diverse associazioni di città e una delle più importanti è Telecities, un network promosso dall’Unione europea incentrato sulla telematica nell’ambiente urbano”. Seppure caratterizzato da una tradizione ormai consolidata, il concetto di smart city non sempre ha trovato posto in cima all’agenda politica. E questo nonostante la centralità indubbia di questa istituzione rispetto a tutte le altre.

“Durante la pandemia – ricorda infatti Dominici – le decisioni sono state prese dal Governo, ma sono state poi le città a gestire l’emergenza sul territorio, garantendo i servizi di prossimità ai propri cittadini”. A essere protagoniste non sono state solo le metropoli, ma anche i centri di dimensioni più ridotte, come dimostra la classifica di ICity Rank. Le cosiddette piccole capitali, come Bergamo, Cremona, Modena, oggi sono diventate laboratori di innovazione al pari delle capitali.

Foto di Gianni Dominici
Gianni Dominici, sociologo e Direttore Generale di FPA

“In Italia c’è una geografia particolare fatta di grandi città, ma anche di tessuto urbano. Le piccole capitali hanno svolto un ruolo fondamentale e da loro spesso è partita l’innovazione, perché hanno un valore anche dal punto di vista economico, di attrattività produttiva. In un sistema così eterogeneo per lo sviluppo del paese la tecnologia è entrata da padrone, seppure con alcune banalizzazioni. Non sono i semafori intelligente o la singola tecnologia a rendere smart la città, ma è la sua visione complessiva. Smart city è la città che usa al meglio le nuove tecnologie per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità del 2030”, sottolinea Dominici.

Mettere insieme il verde della sostenibilità e il blu della tecnologia

I 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile o Sustainable Development Goals (SDGs), con riferimento alle smart city si possono riassumere nel “mettere il verde e il blu insieme – continua Dominici -. La città smart è quella che riesce a coniugare il verde della sostenibilità con il blu della tecnologia. La qualità dell’insediamento e la qualità della vita non significano semplicemente abbassare l’inquinamento. Significa poter avere il lavoro nella propria città, potersi muovere in sicurezza. Oggi va di moda la città dei 15 minuti, un modello lanciato in Francia per ripensare in una logica di prossimità il far la spesa o l’andare a lavorare”.

Non è detto che debba essere necessariamente questo il format dei centri urbani del futuro, ma è importante che ci sia un progetto di smart city. “È quello che manca spesso a livello territoriale, ma anche nazionale. Il problema delle nostre città è che sono gestite da amministratori che hanno come riscontro il consenso. E questo impedisce di ragionare in termini di visione. Nelle cronache locali si confligge sulle piste ciclabili, sulla ZTL, sugli orari dei negozi, ma non su un progetto condiviso. Le città, per il ruolo che svolgono e per l’importanza che ricoprono, hanno bisogno di condividere con i cittadini una logica di progettazione all’interno di un obiettivo comune. Questo faciliterebbe il raggiungimento degli obiettivi e per gli operatori economici sarebbe un’opportunità per poter pianificare i loro investimenti”.

Un nuovo progetto di smart city per un modello antifragile

Il PNR (Programma Nazionale di Riforma) e le risorse del Recovery Plan dovrebbero essere d’aiuto in una progettualità che coinvolga le città, a patto che si tenga conto di che cosa la pandemia ha modificato nell’idea tradizionale dei modelli di smart city. “Milano – esemplifica Dominici -, che è stata per sei anni la città più smart nel nostro indice, adesso è la città più in crisi, perché il suo modello di attrattività degli insediamenti abitativi e degli uffici polarizzanti è stato messo in discussione”.

C’è un altro aspetto che è emerso in modo nettissimo nel corso del 2020, quello della fragilità. “Le città, soprattutto le più attrattive e le più avanzate, sono state anche le più fragili. Dobbiamo introdurre nel concetto di smart city anche il tema della resilienza e della gestione della fragilità. Smart city non è solo una città che usa le tecnologie in funzione dello sviluppo economico. Una città smart deve essere resiliente, antifragile per citare Nassim Nicholas Taleb [filosofo e saggista a cui si deve la teoria del cigno nero, ndr]. Deve essere anche capace di reagire e di sapersi adattare”.

Non si tratta soltanto di rivedere i luoghi alla luce dello smart working imperante, in una prospettiva di isolamento lavorativo da una parte e di svuotamento degli uffici dall’altra. Si tratta piuttosto di ridisegnare “una nuova geografia urbana che crea dei nuovi valori tra centro e periferia, tra città e provincia, tra nord e sud. Gli spazi di coworking ad esempio devono diventare luoghi di quartiere in cui ci si incontra e dove ci sono una serie di servizi, dalla videoconferenza alle sale riunioni, in una logica federata”.

Come gestire le informazioni in chiave data-driven decision

La crisi pandemica ha fatto capire anche che il digital divide non separa più con una linea di demarcazione il nord dal sud, il centro dalla periferia. La disponibilità della fibra può essere differente all’interno del medesimo Comune. Cagliari è una delle città più avanzate in termini di servizi digitali, così come Lecce e Palermo si posizionano come realtà caratterizzate da una certa vivacità innovativa. Una mappa ragionata dei territori a tal proposito si può ricavare dal recente Libro Bianco delle Responsive Cities 2020 realizzato da FPA, che ospita numerosi contributi di studiosi e amministratori locali. Dal documento emergono quelle tecnologie abilitanti che possono supportare la trasformazione delle città in smart city: infrastrutture e cloud in primis, ma soprattutto sistemi data-driven decision. “Abbiamo bisogno di informazioni in tempo reale sul funzionamento delle città – sottolinea Gianni Dominici -. Dobbiamo mettere insieme i concetti di crowdsensing e crowdsourcing, e saper governare queste informazioni. Firenze è stata la prima città, seguita da Venezia, che si è dotata di una data room, una piattaforma dove le diverse informazioni che arrivano dai diversi attori, che siano quelli del trasporto pubblico o del gas, vengono gestite in una logica di emergenza e in termini di programmazione. Firenze, quando ha rilasciato i permessi per gli operatori privati che noleggiano monopattini e bici elettriche, ha chiesto di avere in cambio i loro dati aggregati per capire come ci si muove nel territorio comunale. La città smart usa al meglio queste informazioni, nel rispetto della privacy e del GDPR, per raggiungere obiettivi di sostenibilità e sviluppo economico”.

Condividere un’idea di futuro e di città su un progetto comune

Quando si parla di smart city, sostiene in conclusione il Direttore Generale di FPA, “il digitale non va considerato come la ciliegina sulla torta. Le città non possono essere lasciate da sole. Abbiamo bisogno di un paese che davvero investa sul verde e sul blu. Le città sono le gambe di un progetto di questo genere perché è nelle smart city, grandi e piccole, che queste politiche vengono poi scaricate a terra a favore di famiglie e imprese. Occorre una politica coerente, perché se davvero crediamo che un nuovo sviluppo possa essere possibile per ridurre le diseguaglianze, questa è l’occasione per rivedere alcuni modelli lavorando insieme su un progetto di smart city comune. Dobbiamo condividere un’idea di futuro e in questa idea le città svolgono un ruolo fondamentale”. Un’idea a cui il Recovery Plan potrebbe offrire quelle risorse economiche che finora sono mancante, tanto da far dire a Dominici “se non ora, quando?”.

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