Smart working e CSR

ClubTI Milano, in collaborazione con Aica e Aused, ha intrapreso un percorso di approfondimento sul tema “Responsabilità Sociale d’Impresa e Ict”, per il quale ZeroUno ha offerto il proprio supporto editoriale, per comprendere il coinvolgimento del Cio e della sua struttura nelle strategie Csr dell’impresa. La prima tappa dedicata alle pratiche HR.

Pubblicato il 14 Gen 2015

Analizzare le azioni delle imprese riguardo al tema della Corporate Social Responsability andando a verificarne l’impatto sugli stakeholder aziendali per capire fino a che punto l’Ict aziendale sia coinvolto in queste iniziative e quale possa essere il suo ulteriore impegno: è questo l’obiettivo che ha spinto ClubTI Milano, in collaborazione con Aica e Aused, a intraprendere un percorso di 3 workshop di approfondimento e un Convegno finale, che si terrà nel corso del 2015, sul tema “Responsabilità Sociale d’Impresa e Ict”. ZeroUno, che ha offerto il proprio supporto editoriale all’intero progetto, ha partecipato al primo workshop, svoltosi lo scorso novembre, focalizzato sul “personale”; gli altri due workshop saranno rispettivamente dedicati all’”ambiente” (in previsione per fine febbraio) e all’ambito “sociale”.

Stretta è la correlazione tra pratiche di Csr che impattano direttamente il personale e lo “smart working”, ma “attenzione a non confonderlo con il telelavoro”, ammonisce Fiorella Crespi, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, che ha introdotto l’incontro. “Lo smart working – precisa – è un approccio innovativo all’organizzazione del lavoro che si caratterizza per flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari di lavoro e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Dalla ricerca effettuata dall’Osservatorio risulta che il 67% delle 211 aziende interpellate ha già attivato una qualche iniziativa di questo tipo anche se solo l’8% adotta un modello organico di smart working.

Quali sono le motivazioni alla base di scelte di questo tipo? La risposta viene dai 43 HR executive coinvolti nell’Osservatorio: la motivazione principale (71%) riguarda un migliore worklife balance, ossia la capacità di bilanciare in modo equilibrato il lavoro e la vita privata; segue, ben distanziato, l’interesse verso l’aumento della produttività (56%), quindi motivazioni di carattere professionale (53%) infine quelle relative al benessere organizzativo (45%).

Modello di Smart Working – Fonte: Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano

Come ha ricordato Crespi, sono 4 gli ambiti che abilitano l’adozione di un modello di smart working (figura) basato sulla collaborazione, la responsabilizzazione del personale, la personalizzazione (modalità di lavoro studiate sulle esigenze dell’individuo) e la valorizzazione dei talenti: in primo luogo è indispensabile l’implementazione di  tecnologie digitali che agevolino la collaborazione e la comunicazione (il 70% delle aziende ha dichiarato di adottare soluzioni Ucc; il 51% di utilizzare mobile business apps per agevolare il lavoro in mobilità); quindi l’adozione di policy organizzative che spingano verso una crescente flessibilità degli orari di lavoro (metà delle imprese ha introdotto una qualche forma di flessibilità sugli orari) e il lavoro in team; in terzo luogo un layout fisico dell’ambiente di lavoro che supporti questa modalità organizzativa; infine, è indispensabile agire anche sui comportamenti delle persone e sugli stili di leadership dei manager “e sono proprio questi ultimi a rappresentare il centro della trasformazione”, precisa Crespi.

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