Analizzare le azioni delle imprese riguardo al tema della Corporate Social Responsability andando a verificarne l’impatto sugli stakeholder aziendali per capire fino a che punto l’Ict aziendale sia coinvolto in queste iniziative e quale possa essere il suo ulteriore impegno: è questo l’obiettivo che ha spinto ClubTI Milano, in collaborazione con Aica e Aused, a intraprendere un percorso di 3 workshop di approfondimento e un Convegno finale, che si terrà nel corso del 2015, sul tema “Responsabilità Sociale d’Impresa e Ict”. ZeroUno, che ha offerto il proprio supporto editoriale all’intero progetto, ha partecipato al primo workshop, svoltosi lo scorso novembre, focalizzato sul “personale”; gli altri due workshop saranno rispettivamente dedicati all’”ambiente” (in previsione per fine febbraio) e all’ambito “sociale”.
Stretta è la correlazione tra pratiche di Csr che impattano direttamente il personale e lo “smart working”, ma “attenzione a non confonderlo con il telelavoro”, ammonisce Fiorella Crespi, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, che ha introdotto l’incontro. “Lo smart working – precisa – è un approccio innovativo all’organizzazione del lavoro che si caratterizza per flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari di lavoro e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Dalla ricerca effettuata dall’Osservatorio risulta che il 67% delle 211 aziende interpellate ha già attivato una qualche iniziativa di questo tipo anche se solo l’8% adotta un modello organico di smart working.
Quali sono le motivazioni alla base di scelte di questo tipo? La risposta viene dai 43 HR executive coinvolti nell’Osservatorio: la motivazione principale (71%) riguarda un migliore worklife balance, ossia la capacità di bilanciare in modo equilibrato il lavoro e la vita privata; segue, ben distanziato, l’interesse verso l’aumento della produttività (56%), quindi motivazioni di carattere professionale (53%) infine quelle relative al benessere organizzativo (45%).
Come ha ricordato Crespi, sono 4 gli ambiti che abilitano l’adozione di un modello di smart working (figura) basato sulla collaborazione, la responsabilizzazione del personale, la personalizzazione (modalità di lavoro studiate sulle esigenze dell’individuo) e la valorizzazione dei talenti: in primo luogo è indispensabile l’implementazione di tecnologie digitali che agevolino la collaborazione e la comunicazione (il 70% delle aziende ha dichiarato di adottare soluzioni Ucc; il 51% di utilizzare mobile business apps per agevolare il lavoro in mobilità); quindi l’adozione di policy organizzative che spingano verso una crescente flessibilità degli orari di lavoro (metà delle imprese ha introdotto una qualche forma di flessibilità sugli orari) e il lavoro in team; in terzo luogo un layout fisico dell’ambiente di lavoro che supporti questa modalità organizzativa; infine, è indispensabile agire anche sui comportamenti delle persone e sugli stili di leadership dei manager “e sono proprio questi ultimi a rappresentare il centro della trasformazione”, precisa Crespi.