Elezioni Politiche 2018

Tecnologia: evitare le disuguaglianze, fare passi infrastrutturali

La tecnologia è diventata un fatto etico e sociale e occorre imparare a viverci. Ma chi guiderà questo paese deve fare la sua parte: indispensabile investire nella formazione; servono incentivi alla creazione di servizi fruibili per la costruzione di una vera e propria Smart Life; si deve costruire fiducia nella sicurezza della tecnologia e una corretta informazione che renda il cittadino consapevole delle potenzialità e dei limiti tecnologici. Bisogna infine creare le condizioni per essere connessi sempre e dovunque, con velocità adeguate. Ecco le riflessioni e i suggerimenti al “governo che verrà” di Luciano Guglielmi, CIO del Gruppo Mondadori, nonché Presidente del gruppo CIO AICA Forum e membro del Board dell’European CIO Association (EuroCIO)

Pubblicato il 12 Feb 2018

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Quando si avvicinano le elezioni ogni compagine svela le proprie carte e mostra le competenze personali di chi dovrebbe attuare quanto promesso. Molto spesso le aspettative vengono deluse dalla incapacità “tecnica” di chi deve realizzare quanto promesso. Talvolta la buona volontà esiste e qualche volta anche le corrette coperture economiche, ma purtroppo sempre più spesso la competenza “tecnica” di chi deve scegliere/gestire non è adeguata, causando la conseguente deroga delle scelte a personaggi terzi.

Quando si parla del futuro si parla oggi sempre più spesso di un mondo altamente tecnologico, di un modo di lavorare differente, di un impatto sempre più elevato sulle attività quotidiane da parte dell’intelligenza artificiale e della robotica, di petabyte di dati da rilevare tramite sensori sugli oggetti di tutti i giorni e da elaborare a tempo zero a scopo predittivo; di mezzi di locomozione sempre più “humanless”, di città sempre più “smart” (dove il detto “a misura d’uomo” è sempre più da coniugare come “facilitate e semplificate nei servizi”). Come si fa a definire le infrastrutture e le leggi che guideranno la nostra vita in questi ambiti così complessi senza un’adeguata competenza? Il mondo ci invidia (anche se forse spesso ce lo dimentichiamo e ci sottovalutiamo) la nostra cultura intesa come capacità di insegnare la conoscenza (eccellenza delle nostre scuole e università) e tramutarla in professionalità di rilievo internazionale.

I futuri governanti non dovranno avere paura di mettere tecnici a guidare progetti tecnologici, giuristi a verificare l’attuabilità – reale – dei progetti di legge, economisti a ipotizzare e gestire l’andamento economico, esperti del turismo e dell’arte a gestire la promozione del nostro incommensurabile patrimonio naturale ed artistico; soprattutto non dovranno avere timore a far scrivere ed approvare le leggi da chi conosce la materia in oggetto.

Sempre più spesso i giornali parlano in “tecnicese”, un linguaggio – ahimè – non compreso dai più. Leggiamo in articoli non tecnici di blockchain, bitcoin, cybersecurity, AI (Artificial Intelligience), Augmented Reality, ChatBot, fibra ottica, e la lista potrebbe continuare. E non pensiamo che sia solo la categoria “over …anta” a non comprendere. Anche molti adolescenti e giovani non ne capiscono le implicazioni sulla loro vita e/o sul loro diritto alla privacy. È inefficiente (o praticamente inutile) definire leggi e regolamenti che attribuiscano diritti e tutele al cittadino senza che questo sia consapevole della loro portata.

È oggi più che mai necessario investire nella formazione e nella corretta informazione.

La scuola, i media, gli enti locali dovrebbero essere attori di un percorso formativo strutturato e finanziato, rivolto ai cittadini di tutte le età, un cammino di apprendimento continuativo che permetta a tutti di non soccombere alla tecnologia, all’automazione/robotizzazione ma invece di padroneggiarla e usarla per il benessere proprio e dell’intera comunità. La tecnologia è diventata un fatto etico e sociale. Occorre imparare a vivere con la tecnologia, non nonostante essa. C’è chi sostiene che tra non molti anni saremo “governati” dalle macchine… io invece credo nella capacità dell’uomo di gestire l’evoluzione e la conoscenza e quindi di rimanere “padrone” del proprio mondo. In questo il ruolo della formazione è essenziale.

Parliamo ora di servizi. Smart City, Smartwork… sono concetti bellissimi! Tuttavia senza servizi abilitanti restano idee sì belle ma sterili. Servono incentivi alla creazione di servizi fruibili per la costruzione di una vera e propria Smart Life. Servizi messi a disposizione dalla Pubblica Amministrazione come dalle aziende private ed erogati tramite strumenti adeguati, moderni e coerenti con l’infrastruttura presente sul territorio. Si dice che il numero di cittadini che hanno attivato il loro identificativo unico (il cosiddetto SPID) siano stati meno del previsto. Io sostengo che l’introduzione dello SPID non è stato un flop, come taluni asseriscono, ma che le previsioni di adozione sono state stimate sulla base di una esigenza non reale. Cosa se ne fa una persona dello SPID se non gli serve a migliorare la sua vita, vuoi per usufruire di servizi della PA vuoi per accedere a servizi premium del comparto privato? Il problema risiede da un lato nel limitato numero di servizi usufruibili grazie all’uso di una identificazione tramite SPID e dall’altro dalla mancanza di obblighi di utilizzo di SPID per accedere a taluni di essi. Prima regola del pubblicitario: per vendere un prodotto bisogna creare nel cliente l’esigenza di averlo. Con SPID non si è riusciti a fare ancora questo passo. SPID è visto ancora come un dettaglio tecnico mentre invece dovrebbe essere un simbolo della nuova smart life del singolo cittadino.

E cosa dire della sicurezza delle nostre informazioni sulla rete? Bisogna costruire fiducia nel “nuovo” mezzo trasmissivo e informativo (anche se parlare di nuovo sembra assurdo, per molta parte della popolazione lo è!). Bisogna far comprendere ai cittadini che è più sicuro mettere i propri dati su un sito “sicuro” della PA che non lasciarli in un fascicolo cartaceo all’interno di un ufficio aperto a molte persone. Bisogna infondere fiducia, non solo terrorizzare il cittadino con le possibili falle di sicurezza che possono ledere l’integrità dei loro conti bancari, infrangere i loro diritti alla privacy. Si è mai sentita una notizia positiva relativa alla cybersecurity (nome che tra le altre cose ai più ricorda ancora i film di fantascienza…) all’interno di un qualsiasi telegiornale? No. Sempre e solo notizie di fughe di notizie, di furto di numeri di carte di credito. Serve formazione sui termini (avete provato a chiedere per la strada alla gente il significato di IoT o Industria 4.0?), una corretta informazione che renda il cittadino consapevole delle potenzialità e dei limiti della tecnologia, non timore di essa.

Inoltre per usufruire di un servizio tecnologico occorre essere connessi, sempre e dovunque, con velocità adeguate. Siamo passati negli ultimi 15/20 anni da progetti di “totale copertura con fibra” a “totale copertura con ADSL su rame” a – di nuovo – “totale copertura con fibra”. Abbiamo smartphone a 5G che funzionano solo in una piccola area della nostra nazione, ma tutti i messaggi pubblicitari ci indicano che “non possiamo farne a meno”. Credo che l’aspetto tecnologico sia irrilevante – almeno per il cittadino, anche se non per gli specialisti che dovrebbero poter dire la loro sulle scelte tecniche. Quello che serve è una politica seria di copertura della connettività che vada oltre i “buoni propositi” di una o l’altra azienda privata, che superi i confini territoriali (anche se, a causa della conformazione morfologica della nostra penisola, “cablare” l’Italia non è facile come cablare altre nazioni…). Basta parlare di Cloud: serve costruire la possibilità di usare il Cloud.

Oggi scaricare una app su uno smartpone ed usarla è diventato banale e questo sta instillando nella mente delle persone che tutto sia facile e realizzabile immediatamente. Non è vero! Ciò che era complesso ieri non è diventato improvvisamente semplice senza aver fatto nulla. Occorre definire gli obiettivi e avere il coraggio di pianificarli con le tempistiche corrette senza rincorrere i facili risultati per l’effimero, e spesso risicato, tempo a disposizione di ogni governo. L’Italia ha necessità di progetti tecnologici solidi e duraturi, non di passeggere soluzioni tampone!

Tutte le attività sommariamente e solo a titolo di esempio citate devono avere lo scopo ultimo di fare in modo che almeno dal punto di vista tecnologico non esistano cittadini di serie A e di serie B, cittadini delle città e della campagna/montagna, cittadini del nord e del sud. Oltre che lavorare sempre sull’eccellenza nella ricerca e nel settore privato dei servizi e della produzione occorre, per entrare a pieno titolo nell’alveo delle nazioni moderne, anche fare quei piccoli passi infrastrutturali che sono la base per il grande passo evolutivo del nostro Paese.

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