Il mercato digitale della PA italiana, con 5,5 miliardi di euro, rappresenta solo l’8% del mercato digitale italiano, una spesa pro-capite in tecnologie digitali pari a 85 euro a cittadino, molto inferiore a quella di paesi europei confrontabili, come i 186 euro a cittadino della Francia, i 207 della Germania e i 323 del Regno Unito. Il problema non riguarda però solo l’entità della spesa ma soprattutto la sua qualità, come evidenzia l’Osservatorio Agenda digitale 2018 del Politecnico di Milano che alle relazioni fra domanda e offerta di servizi digitali ha dedicato una sezione. Per avere un quadro generale delle principali evidenze emerse dall’Osservatorio consigliamo la lettura dell’articolo Italia digitale: come evitare l’anno zero dove è riportato l’intervento del direttore Luca Gastaldi.
Andrebbe superata la situazione attuale che vede, da un lato, le amministrazioni chiedere soluzioni digitali per affrontare problemi specifici più o meno ben definiti e, dall’altro, vendor privati che rispondono con prodotti e ore-uomo in body rental e, in minor misura, con servizi interoperabili. Servirebbe invece sviluppare un nuovo tipo di relazione, come prospetta il piano triennale (figura 1).
Domanda PA e offerta di soluzioni digitali: una relazione difficile
Negli ultimi tempi sono stati previsti strumenti per qualificare la spesa pubblica di soluzioni digitali tramite soggetti aggregatori come Consip e le indicazioni contenute nel nuovo Codice dei contratti pubblici. Tuttavia le gare Consip per l’acquisto di soluzioni ICT sono ancora poco conosciute: solo il 14% delle 200 amministrazioni contattate dall’Osservatorio le conosce e le ha utilizzate nel periodo 2017-2018. D’altra parte, il Codice dei contratti pubblici non è ancora pienamente operativo; a due anni dalla pubblicazione, solo 27 sui 56 provvedimenti attuativi sono stati adottati.
Sul versante dell’offerta, l’Osservatorio evidenzia l’elevata concentrazione del mercato della PA digitale: poco più di 14mila fornitori di soluzioni digitali sugli oltre 100mila vendor italiani utilizzano gli strumenti di Consip; più della metà dei software dei Comuni è prodotta da solo 3 fornitori e i primi 20 coprono il 75%. Inoltre, delle prime 100 aziende dell’offerta che cubano il 75% del mercato italiano totale, 27 non lavorano con la PA italiana per una diversa focalizzazione di mercato, per i tempi inadeguati di pagamento e scarsa conoscenza dei processi di acquisto pubblici, mentre 54 delle restanti 73 hanno ancora offerte rivolte alla PA prevalentemente basate su software on premise, proprio la modalità che il Piano Triennale punta a superare (figura 2).
Per quanto riguarda la domanda, l’Osservatorio ha realizzato un’indagine che ha coinvolto 155 fra comuni, regioni e ospedali, da cui emerge che la maggior parte delle amministrazioni non valuta i propri fornitori di soluzioni digitali né adotta strumenti per migliorare la collaborazione. Il 94% dichiara di non avere un sistema strutturato di valutazione delle soluzioni e il 75% non rileva mai le performance dei fornitori di tecnologie digitali. In ogni caso il 28% evidenzia forti criticità verso i fornitori di soluzioni on premise (sconsigliate dal piano triennale, ma che pesano per il 40% della spesa ICT) e il 22% con fornitori di soluzioni ICT (figura 3).
Nonostante l’assenza di misurazione delle performance dei fornitori di soluzioni digitali, ci sono evidenti ragioni di insoddisfazione: il 53% delle amministrazioni si lamenta della loro scarsa proattività e del loro livello di collaborazione nel creare e realizzare un’idea innovativa; mentre il 54% è poco o per nulla soddisfatto della loro capacità collaborare nell’elaborazione e nell’attuazione di idee innovative (figura 4).
Le problematiche fin qui esposte sono meno sentite da enti più strutturati che hanno maggiori capacità al loro interno per gestire la transizione digitale. Uno studio AgID evidenzia che 70 (Ministeri, Agenzie fiscali, Inail, Inps, Regioni, città metropolitane…) delle oltre 20mila amministrazioni gestiscono oltre il 60% della spesa pubblica dedicata alla digitalizzazione e che hanno allocato, anche grazie a fondi europei, 4 miliardi in progetti di innovazione digitale. Ma certo non è sufficiente: per una PA amica dei cittadini e motore, anziché freno, per le imprese sarebbe indispensabile una trasformazione digitale capace di coinvolgere le amministrazioni a tutti i livelli.
Il ruolo dei privati per accelerare la digitalizzazione della PA
Commentando i risultati della ricerca sopra esposti, su sollecitazione di Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale, Politecnico di Milano, nel corso di una tavola rotonda, alcuni rappresentanti del mondo dei partner della PA si sono confrontati sui alcuni possibili percorsi di trasformazione digitale delle amministrazioni pubbliche, a partire da esperienze concrete.
Un primo tema, sulla capacità delle amministrazioni di offrire servizi che i cittadini usino, è stato affrontato da Giorgio Mosca, director Strategy and Technologies – Security and information Systems di Leonardo, ricordando che, secondo le statistiche sull’uso dei social media di Hootsuite [piattaforma di gestione dei social networks ndr], i cittadini italiani sono allineati al comportamento degli altri paesi europei: “Il 54% degli italiani preferisce fare attività su Internet quando si tratta di e-commerce o social, dato che crolla quando ci si deve relazionare con la PA; visto che il mercato è lo stesso, il problema deriva dalla qualità dei servizi offerti”.
Conferma con un esempio concreto Michele Centemero, Country Manager Italy, Mastercard, che ha svolto un ruolo importante per il successo di PagoPA, evidenziando come alla significativa adesione (74%) da parte delle amministrazioni corrispondano numeri di utilizzo ancora limitati da parte degli utenti. “Si dovrebbe prendere esempio dai comuni virtuosi che, consapevoli dei significativi benefici, si sono attivati per far comprendere anche ai cittadini che si possono pagare le multe, le tasse o la mensa scolastica nello stesso modo in cui si acquistano altri prodotti e servizi on line – suggerisce – Per una forte accelerazione dobbiamo lavorare ancora sulla user experience”.
Maria Luisa Graziano, Servizio Solution – Ufficio Payments & Domestic Cash Management di Intesa San Paolo, a sua volta partner per realizzazione di PagoPA, ritiene che, per accelerare l’adozione della modalità digitale, si debba superare completamente quella cartacea, un passaggio che deve essere preparato dall’attività di comunicazione: “Nel momento in cui l’amministrazione decide di fornire un nuovo servizio digitale deve comunicarlo all’utenza”, sottolinea ricordando le azioni congiunte e coordinate di comunicazione sui propri clienti nel caso di servizi offerti da amministrazioni di cui Intesa è partner tecnologico.
Sempre sul versante della comunicazione interviene Caterina Stagno, Dirigente della struttura Inclusione Digitale di RAI, che ricorda il ruolo dell’ente su alfabetizzazione, sviluppo delle competenze digitali e, soprattutto, creazione del mindset: “La RAI alimenta lo spirito critico di cui ha bisogno il Paese per un cambiamento esponenziale, verso la cittadinanza digitale”. Grazie all’approvazione formale per l’azione alla struttura che Stagno dirige dal 2019, la RAI potrà operare con i suoi 14 canali televisivi che coprono chi guarda la Tv ma sta anche online, 15 radiofonici e un ecosistema web in fase implementazione.
Sul versante dell’offerta, una maggior apertura del mercato deriva dalla capacità della domanda di standardizzazione, come sostiene Mosca: ”Il problema non è tanto lo scarso numero di fornitori partner della PA, quanto il fatto che a 14mila fornitori corrispondano altrettante diverse specifiche”. A suo parere la PA dovrebbe invece presentare requisiti standardizzati per consentire la competizione sul mercato, in assenza della quale “ogni fornitore si ricava la sua piccola nicchia”.
Sul tema della qualità della domanda interviene anche Antonio Amati, Direttore Generale Divisione IT di Almaviva, che sta giocando un ruolo chiave sui progetti di digitalizzazione previsti nel Piano Triennale, fra cui il Sistema pubblico di connettività (SPC) stipulato nel 2017 tra Consip e il Raggruppamento Temporaneo d’Imprese (RTI) di cui Almaviva è mandataria: “Ad oggi, per i contratti che ci vedono coinvolti, abbiamo raggiunto circa il 50% del spesa totale in progetti contrattualizzati con le amministrazioni”, sottolinea, ricordando che se da un lato lo strumento è stato ben utilizzato e ha favorito il ricorso a una piattaforma standard, dall’altro vanno evidenziati alcuni limiti. “Nonostante la gara si chiamasse SPC cloud, di cloud c’è ben poco: siamo infatti spesso costretti a lavorare sostanzialmente on premise, con le conseguenti difficoltà e incremento dei costi”, aggiunge.
Mario Messuri, Business Director, Jaggaer Italia (multinazionale che fornisce soluzioni di procurement), sottolineando che la complessità introdotta dal codice appalti italiano è superiore a quella di qualunque altro Paese al mondo dove l’azienda opera, ricorda che nei paesi in cui viene introdotto il metodo telematico si sceglie una transizione rapida, a differenza di quanto sta accadendo in Italia. “Inoltre – aggiunge – serve la consapevolezza del ruolo che svolgono le persone per far sì che le soluzioni vengano utilizzate, con la necessità di investire in change management”.
Scenari di incontro fra domanda pubblica e offerta privata
Nonostante la situazione sembri ancora confusa e si vedano pochi risultati concreti, il percorso e le modalità di collaborazione pubblico-privato sono tracciati, sempre che non si decida di ricominciare da zero.
Secondo il Piano Triennale, nei prossimi mesi le PA strutturate dovrebbero mettere a punto le soluzioni digitali su cui stanno investendo e che saranno rese disponibili anche alle altre PA, secondo il principio del riuso.
Si aprono così, secondo l’Osservatorio, tre possibili scenari, non alternativi fra loro (figura 5):
- le soluzioni immesse sul mercato potranno essere personalizzate, con il supporto dell’offerta privata, in base alle esigenze delle singole amministrazioni;
- alcune PA più strutturate potranno assumere il ruolo di centro servizi e mettere le soluzioni a disposizione, in modalità SaaS, di quelle meno strutturate che potranno evitare così investimenti a favore di un modello a consumo;
- le soluzioni realizzate dalla PA che, secondo le nuove linee guida sul riuso dovranno essere licenziate secondo le logiche dell’open source, potranno anche essere riadattate e offerte come servizio dai privati in logica SaaS.