Le informazioni sono tante, non strutturate, eterogenee e in continua trasformazione. Come evitare che diventino un problema più che una risorsa? Lo ha chiesto, in apertura del convegno, Stefano Epifani, direttore del portale Techeconomy e docente di Tecnologie applicate alla Comunicazione d’Impresa presso l’Università La Sapienza di Roma, indicando un cambio di paradigma in atto: “Dalla business intelligence ai big data il passo è grande: si rinuncia al perché rispetto al cosa”.
L’ Agenzia delle Entrate, avendo sposato storicamente un modello basato sulla business intelligence per gestire la grande quantità di dati di cui è in possesso, si accosta con cautela a questo nuovo paradigma. Giuseppe Buono, Direttore Centrale, Tecnologie e Innovazione, ha espresso perplessità sull’idea che i big data vadano considerati “una miniera d’oro infinita”, suggerendo la necessità di utilizzarli senza abbandonare l’attenzione sulle regole alla base del data governance e indicando la necessità di definire processi strutturati in tutte le fasi della gestione del dato.
Seguendo la metafora della miniera d’oro Brad Hathaway, Head of Data Management di Sas Italia, ha avvertito che “nella miniera si spera di trovare oro ma spesso, invece della pepita, si trova qualcosa che va raffinato, per poterlo utilizzare e perché abbia valore”. Bisogna soprattutto avere la consapevolezza che la natura dei dati sta cambiando: si devono trattare dati operazionali, molti dei quali arrivano da fonti nuove come IoT; spesso si deve gestire un flusso continuo in tempo reale di dati vanno elaborati subito, altrimenti perdono valore.
Come conseguenza Sas ritiene che si debba passare “da un approccio tradizionale, dove gli utenti business pongono le domande e l’It predispone i dati per poter rispondere, a quello Big data in cui l’It lavora per mettere a disposizione un’infrastruttura specifica all’interno di Hadoop, che permette agli utenti, attraverso strumenti di data preparation e analytics, di esplorare il dato”.
La soluzione per venire a capo delle tante informazioni presenti nelle amministrazioni, ma di fatto disponibili solo se si è a conoscenza dei documenti in cui sono contenute, è SemplicePa, progetto selezionato nella call4ideas del 2015, che si basa su un motore di analisi semantica per leggere il contenuto degli archivi ed estrarne la conoscenza, creando un sistema navigabile e interrogabile in linguaggio naturale.
La visione proposta a Luigi Zanella, Consulting e Business Development Director Public Sector & Utilities Division di Dedagroup, si spinge oltre, auspicando una trasformazione della PA guidata dai dati e non più basata sui documenti. “Mettere i dati al centro è il modo per cambiare la PA, che dispone dei dati per descrivere in modo certificato sia i cittadini e i loro bisogni sia gli oggetti (edifici pubblici e privati, infrastrutture…). A partire da questo approccio può riorganizzare i processi e semplificarli, eliminare alcuni passaggi, interi processi, intere filiere documentali”. Si basa su questi principi il progetto di Sistema unico per l’edilizia della Regione Emilia Romagna Sieder, che consente di elaborare le pratiche basandosi non sui documenti ma sui dati.
Open data, ma non fini a sé stessi
Nel panorama della trasformazione basata sui dati, un ruolo centrale dovrebbe essere svolto dagli open data che ad oggi non hanno però ancora inciso in modo significativo. L’Italia ha molte possibilità di miglioramento. Viene infatti collocata da Open Data Barometer in 22-esima posizione su 92 paesi per la readiness, in 23-esima per l’implementazione, in 17-esima per impatto mentre risulta 13-esima per tutti questi tre parametri in ambito UE.
Per migliorare è probabilmente necessario riflettere su cosa fare quando gli open data saranno a disposizione pienamente dispiegati, come suggerisce Lucio Lamberti, Professore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano. “Gli open data sono stati pensati inizialmente con obiettivi di accountability, trasparenza e partecipazione, ma saranno davvero gli open data a instillare la partecipazione?”, si chiede il docente. ll suggerimento di Lamberti è di focalizzarsi su iniziative open data che pongano al centro l’azione, la centralità del servizio e la finalizzazione all’output, evitando invece di focalizzarsi sul dato in quanto tale e non tanto sulla capacità di generare dati quanto di selezionarli.
Come ha sottolineato Morena Ragone, giurista, esperta in diritto applicato alle nuove tecnologie, è necessario avere una visione e non limitarsi alla gara fra amministrazioni su chi pubblica più open data set. Si dovrebbe dunque definire una policy che, a partire dalla strategia, sappia indicare la governance, gli standard da utilizzare, le architetture.
Un esempio di progetto che potrebbe incidere sul funzionamento delle amministrazioni è Sistan Hub dell’Istat, progetto che nasce per creare le condizioni tecnologiche e organizzative per la condivisione, l’integrazione e la diffusione dei dati nel sistema statistico nazionale, nell’ottica dell’interoperabilità semantica.
Ispra invece sta sperimentando il progetto Linked Open Data per pubblicare in format LOD (linked open data) dati ambientali anche in tempo reale, relativi ad altezze di marea, di onda con associati dati meteorologici, di consumo del suolo e sugli interventi pubblici per la difesa del suolo. Questi dati sono disponibili per il download, l’interrogazione e la navigazione.
Ha infine il problema della scarsità dei dati, a differenza degli esempi fin qui riportati, Openpolis, associazione che si occupa di dati politici per realizzare un processo di responsabilizzazione dei rappresentanti rispetto ai rappresentati. “La nostra è una democrazia basata sui dati e sulla loro accessibilità”, ha sottolineato Il presidente Vittorio Alvino, notando però che la maggior parte dei dati, pur essendo una produzione sociale, è nella disponibilità degli stati o delle grandi corporation. “Andrebbe definita la responsabilità di renderli disponibili per un uso sociale nel rispetto della privacy; di fatto si tratterebbe di un atto di restituzione visto che i dati siamo noi stessi”, ha suggerito.
Ma qui sarebbe necessaria una riflessione che va oltre l’uso dei dati nella Pa e che merita l’apertura un nuovo capitolo.