Ogni tanto capita di imbattersi “de visu” con veri centri nervosi del sistema industriale italiano: gli imprenditori. E’ successo durante la scorsa “Formula Business Conference”, tenutasi a Bologna pochi giorni fa e durante la quale una parte della kermesse è stata dedicata a “colloqui” con i tipici rappresentanti del made in Italy di successo. Ne è emerso un quadro che, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, cioè lamentazioni in ambito fiscale, freni burocratici, carenza di supporti infrastrutturali, mancanza di visione a lungo termine e scarsa competitività di sistema paese, ha dato, una volta di più, la misura dello spessore culturale e caratteriale di questi personaggi.
In questo editoriale vogliamo quindi, al di là di cifre e analisi strutturali, trasmettervi il “cuore e il coraggio”, caratteristiche che possono sembrare avulse dall’attuale complicata situazione economica italiana, che richiederebbe forse approcci più pragmatici, ma che sono invece puro “spirito da conquista del West”, considerando di questa la parte più nobile legata al carattere, alla volontà, alla visione dei singoli per un progresso diffondibile all’intera società.
Ecco quindi che al grido di “le crisi ci sono sempre state, bisogna sapersi guardare attorno e non fermarsi”, pronunciato da Teresa Polti dell’omonima ditta che produce gli aspirapolvere Vaporetto e altri piccoli elettrodomestici in merito al tema della concorrenza cinese, ha fatto seguito un elenco di visioni e atteggiamenti imprenditoriali che fanno ben sperare, perché sono una linfa di innovazione e attivismo che rappresenta poi l’elemento vitale per ogni tipo di cambiamento, anche complesso, così come ci dobbiamo apprestare a compiere come Paese.
Esistono anche realtà, è bene sottolinearlo, che hanno oggi in Italia problemi di espansione. Nel senso che “è improrogabile un ampliamento dell’azienda perché non si riesce più a stare dietro alla domanda cinese” ha detto il fondatore della Robur (pompe di calore). Il suo problema è però un altro: quello di conciliare esigenze di crescita con la necessità di restare al di sotto dei 250 dipendenti, per non essere associato ad una dimensione di grande impresa e dover gestire, quello sì, un difficile “salto burocratico” che rischierebbe di ingessarne l’iniziativa e l’imprenditorialità.
Da queste persone, forse alcune meno formate sul piano dei master in business administration ma senz’altro passate al “vaglio del mercato” nella loro attività imprenditoriale pluridecennale, è emersa una componente costante, che ha in parte stupito: “Mi diverto tutto il giorno”; oppure: “mi sto divertendo io, perché non può divertirsi anche mio figlio?”. Il divertimento, la passione come ingrediente fondante l’attività di cambiamento e sviluppo. E si commetterebbe un errore se si pensasse solo ad aziende familiari, destrutturate, piccole. Stiamo parlando piuttosto del patrimonio italiano, di quella dimensione di impresa media dalla quale passerà la nostra nuova capacità competitiva di sistema-paese.
Giovanni Rana, quello della pasta, ha esordito con un aneddoto efficacissimo per illustrare il nostro sistema bancario nel 1960 (la domanda è: quanto oggi questo aneddoto è obsoleto?): “Avevo bisogno di 10 milioni per partire. Ho fatto il giro delle banche senza risultato. Poi un contadino che conosceva mia madre si è fidato di me. Se oggi siamo diventati questo gruppo, all’inizio c’è la fiducia di quel contadino”. Rana ha focalizzato altri aspetti importanti dell’essere imprenditore oggi. La volontà di spendersi sempre in prima persona, la voglia di divertirsi, sottolineata nella sua disponibilità ad essere testimonial di se stesso, l’esigenza, accanto ad una conduzione di impresa che privilegi queste caratteristiche, di possedere uno staff di management all’altezza. “Siamo stati corteggiati dai più illustri nomi dell’alimentare italiano, ma a vendere non ci pensiamo nemmeno!”.
“La globalizzazione rende difficile certamente le cose, ma offre anche opportunità cha alcuni anni fa, in un sistema bloccato, non erano lontanamente pensabili” ha detto Dario Scotti, presidente della Riso Scotti Spa, al quale brillavano gli occhi all’ipotesi di non scartare l’eventualità di poter vendere riso ai cinesi, prospettatagli dal conduttore. La ricetta di Scotti? Fare innovazione continua e soprattutto essere soggetto caratterizzato sul mercato: “Essere ben riconoscibile come prodotto e come tipologia di azienda è meglio che essere grande” ha detto il presidente.
Chiudiamo la mini-rassegna di testimonianze con Ernesto Illy, l’imprenditore del caffè che, pur avanti con l’età, ha lasciato trasparire tutta la sua verve, sicuramente l’ingrediente principale, per la forza con cui è emersa, che l’ha guidato in tutti questi anni nella sua esperienza di azienda di successo. Sentite un po’: “Abbiamo di fronte un futuro roseo. Il mondo ha bisogno delle componenti che hanno caratterizzato la storia di noi italiani: dolce vita, gusto, antiche tradizioni; la nostra storia ci dice che abbiamo imparato prima degli altri a godere la vita. Bisogna però, da un lato, sapere valorizzare tutto questo e dall’altro, trovare modelli in grado di sapere affrontare i mercati in forte cambiamento”. Più concretamente Illy suggerisce alle imprese di trovare spazi di collaborazione, ad esempio attraverso consorzi, per affrontare insieme esperienze in mercati difficili. E poi ancora: “Prodotto, marchio e consumatore devono evolvere insieme”, spiegando con parole dirette tutto ciò che è oggi la complessa area del marketing e del Crm, ma ricordando come il punto di partenza sia di fatto la vera volontà e sensibilità, verso questa direzione, dell’imprenditore in primis.
Sensazioni, atteggiamenti, volontà di operare. Sono l’essenza di ciò che è stato il miracolo del “made in italy” negli anni passati e lo sarà senz’altro anche per i futuri. Ma lo sanno tutti, gli imprenditori per primi, che questa volontà di mettersi in gioco e di affrontare la sfida, da sole non possono bastare, ma che devono rapportarsi ad un contesto nel quale normative, sistema bancario e finanziario, mercato del lavoro, formazione e istruzione, infrastrutture, pubblica amministrazione, politiche economiche del governo, tutto concorra a creare un sistema positivo e di supporto. Ma se mancassero queste qualità, queste consapevolezze di poter affrontare la sfida e vincerla, sarebbe forse insufficiente muoversi solo sul piano di contesto. Chiudiamo, ad esempio di ciò che intendiamo dire, ancora con un ragionamento di Illy in tema di conduzione di impresa: “Accanto a valori tipo la qualità e l’estetica di prodotto, ci deve essere una componente etica non trascurabile. Bisogna essere costantemente coerenti, anche a costo di compiere scelte difficili, tra quello che si dice e quello che si fa”. E francamente, in questo periodo di Italia convegnistica e parolaia, forse un po’ chiusa su se stessa tra lamentazioni e prospettive elettorali, ci sembra essere un gran bel sentiero da seguire.
Perchè non divertirsi?
Pubblicato il 05 Dic 2005
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