Pmi italiane di successo: innovazione tecnologica + risorse umane qualificate

In Italia non mancano imprenditori innovativi e di successo le cui esperienze potrebbero essere prese ad esempio. Si tratta generalmente di piccole e medie imprese, molto radicate nel territorio, ma al tempo stesso con un mercato globale e un fatturato realizzato in gran parte all’estero. Gestite da imprenditori che re-investono gran parte degli utili nella propria azienda, soprattutto in R&S per sviluppare prodotti con il giusto equilibrio tra innovazione, qualità e prezzo. Indispensabile portare il concetto di “innovazione” lungo tutto l’intero ciclo di vita del prodotto.

Pubblicato il 14 Mag 2012

Qualche giorno fa, a proposito dell’ipotesi di acquisizione della Ducati da parte di Audi, il giornalista del Corriere della Sera, Sergio Rizzo, si chiedeva dove fossero finiti gli imprenditori italiani.

Non si è infatti trovata una cordata italiana che investisse nella “rossa” come, qualche anno fa, nessun imprenditore italiano aveva manifestato l’intenzione di salvare un’azienda innovativa come la filiale di Arezzo del gruppo Magnetek in crisi, comprata poi dall’americana Power-One, specializzata nella realizzazione di inverter per il solare. L’acquisizione si è poi rivelata un buon affare per tutti, visto che l’azienda ha quadruplicato il fatturato e triplicato le persone. Ma non sempre questa è la regola e resta elevato il rischio che alla fuga dei cervelli si sommi la fuga delle imprese più avanzate e dei brand di maggiore successo.

Eppure in Italia non mancano imprenditori innovativi e di successo le cui esperienze potrebbero essere prese ad esempio. Si tratta generalmente di piccole e medie imprese, molto radicate nel territorio ma al tempo stesso con un mercato globale e un fatturato realizzato in gran parte all’estero. Gestite da imprenditori che re-investono gran parte degli utili nella propria azienda soprattutto in ricerca e sviluppo per sviluppare e utilizzare tecnologie di frontiera e che puntano sui giovani e sulla valorizzazione delle persone e delle conoscenze.

Ci sembra perciò utile portare due fra i tanti esempi di imprese innovative prendendo spunto dai loro interventi nell’ambito del Top Management Forum organizzato poco tempo fa da Knowità.

Dallara: una Pmi capace di dominare il mercato mondiale della velocità

Rientra senz’altro nell’identikit di Pmi innovativa e di successo Dallara Automobili: circa 40 milioni stabili di fatturato negli ultimi quattro anni, l’86% dei quali realizzati all’estero, dipendenti passati da 80 a 180 in sei anni, 12 milioni di investimenti negli Usa. “Facciamo progettazione dei telai per auto da corsa utilizzando composti in fibra di carbonio (forniamo fra l’altro in esclusiva i telai alle Indycar), ci occupiamo di aerodinamica e simulazione utilizzando i computer”, ricorda Andrea Pontremoli (nella foto), Ceo dell’impresa, che da qualche tempo ha fatto il salto all’imprenditorialità dopo 27 anni in Ibm di cui è stato anche presidente Italia. “In una macchina da corsa la prestazione non viene tanto dal motore (che ha un peso del 15%) ma da altri elementi più rilevanti sui quali noi abbiamo deciso di costruire il nostro differenziale competitivo (per esempio, con la proposta di telai in fibra di carbonio): il peso (che ha una rilevanza del 35%) e l’aerodinamica (che impatta per il 50%)”, aggiunge Pontremoli.

L’azienda, per altro, ha fatto anche una scelta coraggiosa in termini di passaggio generazionale: il fondatore Gian Paolo Dallara, che l’ha creata nel 1972 a Varano Melegari (Parma) ha deciso di affidarsi alle competenze manageriali di una persona esterna (Pontremoli, appunto, divenuto socio) per garantire la crescita e la “successione” dell’azienda.

In tema di innovazione e competizione, cosa può insegnare l’esperienza di Dallara agli imprenditori italiani? “Vedo due linee divergenti – dice Pontremoli -. I prodotti che costano poco costeranno sempre meno e quelli di fascia elevata sempre di più”. Ne sono esempi i prezzi sempre più divergenti per auto, cellulari, automobili di ultralusso o low cost. Un’azienda, per competere, deve dunque potersi collocare su una delle due linee e chi sceglie l’ambito del low cost deve garantire produzione a basso costo ed economie di scala. “In Italia non dobbiamo neppure scegliere. Non abbiamo la forza né per la produzione a basso costo né per le economie di scala, soprattutto se guardiamo al mercato interno”, dice Pontremoli ricordando che la sola Shangai ha tanti abitanti (52 milioni) quasi quelli l’Italia intera. “Le aziende italiane devono quindi puntare sul lusso, guardando ai mercati internazionali”. Pontremoli evidenzia al tempo stesso che per stare sulla linea alta servono sostanzialmente tre elementi: innovazione, marketing e brand. Innovazione che significa saper fare quello che gli altri non fanno. “Se dite “anch’io” avete già perso; dovete poter dire solo io lo faccio”, precisa Pontremoli. Marketing vuol dire far conoscere al mondo intero la mia unicità, usando tutti gli strumenti tradizionali e innovativi, visto che il 100% del mercato italiano dell’auto da corsa equivale allo 0,1% del mercato mondiale. Brand significa infine associare un nome e un marchio che identifichi i due punti precedenti. “Su questi aspetti abbiamo concentrato tutte le nostre risorse – aggiunge Pontremoli -. “Se in passato gestivo come manager i soldi degli altri oggi gestisco i miei e quelli dell’ingegner Dallara: abbiamo deciso di assegnarci uno stipendio più che soddisfacente, ma tutti gli utili vengono investiti in azienda in innovazione e tecnologia”. L’obiettivo è di impiegare almeno una quota fra il 15 e il 20% del fatturato per le spese in ricerca e sviluppo che nell’ultimo esercizio è arrivata al 30%. Lo scorso anno è stata realizzata la terza galleria del vento per l’aerodinamica e quest’anno un simulatore che permette non solo di insegnare a un pilota a guidare una macchina che non conosce o allenarsi su una pista su cui non ha mai guidato, ma anche di guidare una macchina mai costruita. “È uno strumento pensato per combattere la crisi che c’è anche nel mondo delle corse, grazie ai grandi risparmi che si possono ottenere. Tutti ci dicevano che era impossibile, invece abbiamo assunto 14 giovani neolaureati (età media 26 anni) i quali, non sapendo che era impossibile l’hanno fatto”, spiega Pontremoli. “Ma il grado di innovatività di un’azienda non dipende dalla quantità di tecnologia impiegata; un’azienda è innovativa se è fatta di persone innovative”, è il messaggio finale.

Loccioni: catalogo di competenze, non di prodotti

Il messaggio è stato applicato alla lettera da anni dal gruppo Loccioni, azienda familiare di Ancona che dà lavoro a circa 300 persone, età media 32 anni, per il 50% laureati. Il gruppo, fondato nel 1968 da Enrico Loccioni (nella foto), specializzato in sistemi automatici di misura e controllo, progetta soluzioni ad hoc per esigenze specifiche di singoli clienti. Il fatturato di circa 60 milioni di euro, poco meno della metà realizzato all’estero, deriva dallo sviluppo di sistemi su misura per grandi clienti industriali in diversi settori, come healthcare, energia e ambiente, automotive, elettrodomestici, con installazioni in più di 40 paesi. Si tratta, in pratica, di soluzioni integrate di efficienza energetica, per produzione da fonti rinnovabili e green, per il monitoraggio ambientale, di assemblaggio, collaudo e controllo qualità di elettrodomestici e componenti, di automazione e controllo qualità per healthcare, di assemblaggio, collaudo e controllo qualità per componenti auto.

“La presenza in diversi mercati è la migliore garanzia contro la crisi: se va male l’automotive va bene l’energia e l’ambiente, se va male l’elettrodomestico va bene il medicale – dice Enrico Loccioni, presidente del gruppo -. Ma ciò che sancisce soprattutto il successo è l’orientamento al mercato: non abbiamo un catalogo di prodotti ma un catalogo di competenze che adattiamo in modo sartoriale”.

L’attenzione alle persone, alla cultura d’impresa e all’innovazione hanno consentito a Loccioni e al suo gruppo di essere per sei anni consecutivi inseriti tra i 35 migliori ambienti di lavoro in Italia nella classifica stilata da Great Place to Work Institute, a vincere tra gli altri il Premio Ernst&Young “L’Imprenditore dell’Anno 2007” e il Premio Imprese per l’Innovazione 2010. Il merito di questi risultati che si vanno a sommare a quelli di business va ascritto soprattutto al fondatore dell’azienda intenzionato fin dall’inizio a mettere in atto un modello imprenditoriale capace di sviluppare lavoro e conoscenza, integrando idee, persone e tecnologie.

“Ho sempre cercato di evitare il lavoro ripetitivo, per consentire alla persone di potersi realizzare lavorando in modo autonomo”, sostiene Loccioni, che ha sempre curato in modo diretto il reclutamento sul territorio dei ragazzi usciti dagli istituti professionali, valutandone la capacità di usare la conoscenza, ma anche selezionando persone in modo che non dovessero percorre più di 30 minuti in macchina per andare al lavoro. I giovani vengono affiancati da ricercatori e manager esperti, ma vengono valorizzate anche competenze ed esperienze della comunità scientifica, di clienti, fornitori e persino di concorrenti, secondo un modello di open company.

La stessa impresa ha assunto il modello culturale della zona, popolata in passato da monaci e mezzadri, una cultura che impone il rispetto per le persone e per la natura. Un esempio è la Leaf House (Casa Foglia), una palazzina energicamente autosufficiente (fatta appositamente costruire da Loccioni e realmente abitata da collaboratori dell’azienda – ndr), completamente monitorata grazie alle tecnologie progettate dalla società stessa, come il Leaf Meter, un misuratore di sostenibilità che ha ottenuto importanti riconoscimenti dalla Energy Agency per determinare a livello internazionale i parametri di un edificio carbon neutral.

La crescita avrebbe potuto essere superiore ma “abbiamo scelto di non essere costretti a vendere o comprare persone; non ci sono magazzini dove prendere risorse umane: ma ci sono idee e relazioni che coniugate con le tecnologie fanno innovazione”, osserva Loccioni.

Il principio base è quello della collaborazione. Non a caso il messaggio finale di Loccioni è: “Da soli si va più veloci, insieme si va più lontano”, come recita un proverbio africano.

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