MILANO – Fino agli anni 2000 c’era Internet pensata per connettere gli individui; poi si sono affermati, nei successivi 10 anni, i progetti di e-business che coinvolgevano persone e business attraverso Internet; ora è il momento di un nuovo mondo disruptive, quello del digital business. “Il digital business [per il quale è stata coniata la sigla d-business, ndr] è la creazione di un nuovo modello economico determinato dalla fusione del mondo digitale con quello fisico dove persone, business e oggetti sono interconnessi”, sostiene Peter Sondergaard, Senior Vice President di Gartner Research nel suo keynote in occasione dell’appuntamento Reply rivolto a clienti e partner per condividere le tecnologie più innovative sulle quali l’azienda italiana sta lavorando
Internet of Things è il principale motore del d-business
La molla primaria di una rivoluzione con connotati che ancora non siamo in grado neppure di immaginare è la diffusione crescente degli oggetti intelligenti interconnessi che passeranno, secondo le previsioni Gartner, da 0,9 miliardi nel 2009 a 26 miliardi nel 2020, mentre i personal device cresceranno da 1,6 miliardi del 2009 a 7,3 miliardi nel 2020. L’Internet of Things, capace, secondo le previsioni, di generare un valore economico per la Internet society di 1,9 trilioni di dollari entro il 2020, si applica a molti campi: dall’industria manifatturiera alla sanità (ciascuna con un peso del 15%), dalle banche e assicurazioni (10% e 11%) al retail e ai servizi di elaborazione (quotate ciascuna all’8%). Ne conseguiranno profonde trasformazioni per ogni tipo di business, sostiene Sondergaard, ricordando che dietro questa evoluzione ci sono: un business process automatizzato, un nuovo business model e la capacità di cogliere il business moment.
“Quando parliamo di Iot e di d-business pensiamo più a come risparmiare che a come guadagnare – avverte il top manager – Ad esempio un grande sforzo è focalizzato su come automatizzare la supply chain: dovremmo però anche immaginare come produrre nuovo valore e questo significa sfruttare il momento opportuno per creare nuovi business”. Ma come?
Secondo Sondergaard è necessario che nelle organizzazioni si realizzino cinque condizioni:
1 – In un mondo dove tutto è tecnologia serve un responsabile per l’architettura della tecnologia dell’azienda, che non coincide esclusivamente con l’architettura It;
2 – Qualcuno deve coordinare l’architettura dell’informazione e dei dati;
3 – Qualcuno deve essere responsabile della sicurezza e del rischio;
4 – Qualcuno deve coordinare le architetture per poter offrire servizi integrati;
5 – Qualcuno deve essere responsabile dell’evoluzione delle competenze delle persone. L’80% degli attuali skill non serviranno nel 2020. Sopravviveranno solo le organizzazioni in grado di comprendere le opportunità offerte dalle tecnologie.
“È chiaro che l’informazione (in termini di velocità e varietà) è importante, ma nel futuro (che è già oggi) dobbiamo trovare le persone adatte per gestirla, definire la giusta organizzazione e la corretta struttura per poterne trarre vantaggio”, avverte Sondergaard. Per farlo bisogna dotarsi di strumenti di analisi per capire i comportamenti delle persone ed estendere l’approccio della mobility a tutti i livelli di comunicazione e scambio dati.
Gli attuali vendor sono in grado di supportare le aziende in questo percorso? Sembrerebbe proprio di no, almeno secondo una survey condotta fra i Cio da Gartner. Secondo l’indagine, la maggior parte delle organizzazioni presenti sul mercato nei passati 10 anni sono destinate a una drammatica contrazione del loro market share nei prossimi 10, mentre viene assegnato il 32% del mercato ad attori che ancora non sono nati. “C’è la consapevolezza che in questo nuovo spazio della mobilità e del cloud ci sia bisogno di competenze che ancora non ci sono”, commenta Sondergaard.
Quale organizzazione per cogliere le opportunità?
“Dopo sei anni di crisi in Europa, i Ceo sanno cosa fare con la tecnologia e infatti se gli si chiede su cosa si vogliono focalizzare rispondono: sulla tecnologia”, sostiene Sondergaard. Secondo i dati Gartner, almeno il 50% dei Ceo non ritiene infatti di avere vinto la sfida dell’informazione. Questa posizione è in contraddizione con la percezione dei Cio che “in un’indagine di sei mesi fa rispondevano, al 90%, che l’It sta operando bene– sottolinea Sondergaard – Nasce da questa discrepanza la crisi della leadership It”. I Cio dovrebbero rapidamente sintonizzarsi con quanto il business si aspetta da loro, che ormai da tempo non è più solo una gestione efficiente della macchina operativa.
Il cambiamento esige la revisione dell’organizzazione che prevede anche la creazione di nuove figure professionali It: nel 2014 i Chief Digital Officer sono il 19% contro il 6% nel 2012 e i Chief Data Officer sono il 17% nel 2014 contro il 6% del 2012.
È evidente la necessità di un nuovo modello di organizzazione It in merito al quale Sondergaard fornisce tre suggerimenti. Il primo è definire un’organizzazione It capace di rispondere rapidamente al cambiamento, ma al tempo stesso di far funzionare i processi core: “Non sostengo che si debba pensare solo al fast moving perché se i processi non funzionano il business si blocca – aggiunge – Sono necessarie entrambe le componenti per le quali vanno però definite due organizzazioni separate perché differiscono i modi di operare e gli obiettivi. Nella gestione dei processi si opera in logica di progetto; il business si aspetta che le consegne siano rispettate e la qualità assicurata. Per la parte fast moving, in un mondo dove tutto è digitale, sono necessarie logiche differenti, in termini di persone, metriche e cultura e dunque un diverso modello organizzativo”. Se da un lato è infatti necessario l’uso di tecnologie mature, si devono scegliere persone con una solida competenza tecnica, gestire processi capaci di garantire efficienza e riduzione dei costi, dall’altro, bisogna sperimentare tecnologie innovative, selezionare persone competenti ma al tempo stesso creative, lavorando con team multidisciplinari, contemplare la possibilità di avviare progetti in cui obiettivi e percorsi possono cambiare in corso d’opera.
Il secondo suggerimento è definire con chiarezza la governance per poter gestire il cambiamento di organizzazione; il terzo è la scelta delle persone giuste nei diversi ruoli affinché tutti gli aspetti del d-business siano correttamente compresi e sfruttati.