Quali prospettive per l’It e l’innovazione nel nostro Paese?

Scarsa propensione delle imprese da 1 a 50 addetti a investire significativamente in It e una minore propensione all’innovazione e alla internazionalizzazione da parte delle imprese italiane di qualsiasi dimensione rispetto alla media europea. La presenza di questi tre vincoli strutturali riduce di fatto il livello di domanda potenziale di It in Italia rispetto a quello presente negli altri maggiori paesi

Pubblicato il 03 Mag 2010

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Le anticipazioni del Rapporto Assinform 2010, presentate recentemente e illustrate nell’articolo di pagina 16, stimolano alcune riflessioni sulle prospettive e sulle criticità di natura non solo congiunturale che sono proprie del mercato It in Italia e il cui superamento è necessario per riavviarne un ciclo di crescita stabile e duraturo nel tempo.
La prima riflessione deriva non solo dalla constatazione che negli ultimi due anni il mercato It è andato peggio in Italia rispetto a quello degli altri maggiori Paesi (figura 1), ma che, facendo un’osservazione di più lungo periodo, esso decresce maggiormente quando tutti i mercati sono in calo e cresce in misura minore nelle fasi in cui tutti crescono.

Figura 1: Il mercato dell’IT nei principali Paesi (variazioni 2008 e 2009) – variazioni su anno precedente (fonte: Assinform / NetConsulting)

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Nel 2008 il gap di crescita del mercato It nel nostro Paese è stato di 3 punti percentuali rispetto all’europa e quasi di pari entità è stata la quota aggiuntiva di decrescita nel 2009.
Questo profilo di minor crescita e maggior decrescita risulta facilmente osservabile se si confrontano i tassi di crescita del mercato italiano rispetto alla media europea, negli ultimi 5 anni (figura 2).

Figura 2: Tassi di crescita del mercato IT in Italia e in Europa (2004-2009) – variazioni su anno precedente (fonte: Assinform / NetConsulting)

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Il doppio freno del mercato it in italia
Risulta evidente, dunque, come il mercato italiano dell’it soffra di un doppio freno alla crescita, dove a quello, per così dire, congiunturale, dipendente dal negativo andamento dell’economia comune a tutti i maggiori Paesi, si aggiunge una serie di vincoli di natura strutturale.
Di questi, quello sicuramente più rilevante per i suoi effetti sull’intero mercato è la ancora scarsa propensione delle imprese da 1 a 50 addetti a investire significativamente in It, se si considera che nel 2009 esse hanno generato soltanto il 18% della spesa It totale, pur rappresentando per numerosità il 99% del sistema produttivo italiano. La situazione di crisi ha reso ulteriormente prudenti e poco propense agli investimenti It le piccole imprese, anche in ragione delle difficoltà di accesso al credito da loro avute nel corso del 2009. A questo vincolo se ne aggiungono altri due, rappresentati da una minore propensione all’innovazione e alla internazionalizzazione da parte delle imprese italiane di qualsiasi dimensione rispetto alla media europea, fattori che in altri Paesi come Regno Unito, Germania e Francia sono creatori di domanda aggiuntiva di It.
La presenza di questi tre vincoli strutturali riduce di fatto il livello di domanda potenziale di It in Italia rispetto a quello presente negli altri maggiori Paesi.
Una misurazione, anche se approssimativa, di questo potenziale, può essere desunta dall’osservazione del gap di incidenza della spesa It sul Pil in Italia rispetto al valore medio degli altri maggiori Paesi europei.
Se la quota percentuale di incidenza sul Pil fosse allineata a quella media europea, la spesa It aggiuntiva in Italia sarebbe pari a circa 15 miliardi di Euro nel 2008 (figura 3).

Figura 3: Incidenza della spesa IT sul PIL nei principali Paesi (1998-2008) – il gap dell’Italia (fonte: Assinform / NetConsulting)

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L’impatto sui fornitori It
La seconda riflessione riguarda gli impatti che questo basso livello di domanda, sia nei suoi aspetti congiunturali che strutturali, sta provocando sul sistema dei fornitori It che, come è noto, è caratterizzato in Italia da una forte numerosità di imprese con una dimensione media e un parco clienti molto ridotti.
Per avere un riferimento, il 99% circa delle aziende It italiane ha meno di 10 addetti e opera in mercati locali su un numero molto limitato di clienti.
Per le aziende It, il 2009 è stato davvero un annus horribilis, ma l’indagine congiunturale svolta da NetConsulting per conto di Assinform nel febbraio 2010 su un panel di aziende It evidenzia un ulteriore peggioramento del sentiment rispetto all’indagine di novembre 2009 sia sul lato della domanda che sull’andamento previsto del fatturato e degli utili per il 2010. Le maggiori criticità sono segnalate dalle medie aziende It, comprese tra i 50 e i 250 addetti, il 33% circa delle quali prospetta una situazione di peggioramento complessiva del fatturato, contro il 24% del febbraio 2009, e dell’utile prima delle tasse del 40% (figura 4).

Figura 4: Andamento del fatturato e dell’utile previsto per il 2010 dalle aziende IT per dimensione (fonte: Assinform / NetConsulting)

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In generale le aziende It intervistate prevedono per il 2010 un’ulteriore riduzione dei budget It dei loro clienti sia sul lato delle spese correnti che degli investimenti in nuovi progetti.
Dunque il permanere di un basso livello di domanda accompagnato da prezzi dei sistemi e da tariffe professionali in continuo decremento stanno mettendo in luce tutte le criticità e le debolezze strutturali del sistema delle aziende italiane dell’it.
Si è più volte e da più parti segnalato come questo trend di indebolimento congiunto di domanda ed offerta di It sia una delle cause del gap di produttività e crescita che l’economia italiana ha accumulato nell’ultimo decennio rispetto ai principali Paesi europei.
Stupiscono, allora, la scarsa percezione che il mondo politico ha del problema e la progressiva scomparsa dall’agenda del Governo di interventi a sostegno dell’innovazione e dell’ict. Una testimonianza in questo senso è rappresentata dall’ultimo provvedimento sugli incentivi ai settori in crisi che prevede finanziamenti all’acquisto di prodotti maturi (motorini, elettrodomestici, mobili per la casa, per esempio) e ignora del tutto prodotti e servizi Ict, ad eccezione di imprecisati finanziamenti all’acquisto di accessi a banda larga per i giovani.
Tutto questo ignorando le forti richieste di incentivi alla rottamazione dell’hardware e del software da parte di Assinform, più che ragionevoli in un Paese in cui una buona quota dei sistemi informativi aziendali è dotata di applicazioni datate e la cui manutenzione ed evoluzione risultano molto costosi, in un contesto in cui non sono ancora stati definiti e resi disponibili i fondi governativi destinati allo sviluppo della rete a larga banda di nuova generazione. Al contrario, in altri contesti le politiche per il sostegno all’innovazione e alla diffusione dell’ict sono all’attenzione del mondo politico. Negli Stati Uniti il presidente Obama ha lanciato in questi giorni un piano (Connecting America: the National Broadband Plan), per rendere accessibile Internet veloce a 100 milioni di cittadini che prevede investimenti per circa 25 miliardi di dollari distribuibili in 10 anni, finanziati in gran parte dalla vendita di frequenze agli operatori mobili, finalizzato a ridurre il digital divide e a realizzare una rete wireless nazionale per la pubblica sicurezza dei cittadini.

La strategia europa e le “non politiche” italiane
Quasi contemporaneamente, in data 3 marzo 2010, la Commissione Europea ha lanciato la strategia Europa 2020 che si basa su tre motori di crescita, da mettere in atto mediante azioni concrete a livello europeo e nazionale: crescita intelligente (promuovendo la conoscenza, l’innovazione, l’istruzione e la società digitale), crescita sostenibile e crescita inclusiva.
Il nostro Paese non può ignorare l’importanza e il ruolo che le politiche a sostegno dell’innovazione hanno per la competitività e la crescita nel prossimo decennio, partendo da iniziative concrete da attuarsi ora e con urgenza.
La realtà che le non-politiche in Italia stanno ignorando è che quello dell’ict non è da considerarsi come un settore in difficoltà da sostenere al pari di altri soltanto con microincentivi. Esso va interpretato, al contrario, come una materia prima energetica, una risorsa di base che deve essere incorporata in tutti i settori e in tutti i processi per sostenerne l’innovazione, il cambiamento e il recupero di competitività in una visione di tipo strategico.
Ancora una volta la conclusione amara è che le basse performance di crescita dell’economia, del mercato e del settore Ict in Italia dipendono da un diffuso gap culturale del mondo politico e, in parte, anche di quello imprenditoriale, e che l’assenza di una strategia seria indirizzata all’innovazione condanna il nostro Paese a un futuro di marginalizzazione.

* Giancarlo Capitani è amministratore delegato della società di ricerche NetConsulting, tel 02.4392901, capitani@netconsulting.it

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