Regioni e Agenda Digitale vanno nella stessa direzione?

Dal dibattito sull’innovazione nelle regioni emerge la necessità di legare gli investimenti a risultati misurabili in termini di produttività e miglioramento dei servizi, andando a superare i piani regionali per aderire agli obiettivi dell’Agenda digitale nazionale

Pubblicato il 15 Apr 2013

“Perché non siamo riusciti, come Paese, a sfruttare i benefici della rivoluzione informatica e perché questo capitale intangibile non è riuscito a produrre gli stessi risultati realizzati in altri paesi?”. Queste alcune delle domande strategiche poste dal presidente di Istat Enrico Giovannini in occasione della recente presentazione del Rapporto sull’innovazione nell’Italia delle Regioni e a cui la successiva tavola rotonda ha cercato di dare risposta. Dati alla mano, il presidente Istat ha dimostrato che il deficit di produttività che affligge l’Italia, una delle cause di una crescita asfittica del Pil negli ultimi anni, ha origini antiche, precedenti alla crisi. Non concorda però con quelle analisi che addossano tutta la responsabilità al settore pubblico, che, incapace di riformarsi, non riuscirebbe a sostenere gli sforzi di quello privato. “La verità è che negli ultimi anni abbiamo investito molto meno degli altri paesi in tecnologia. Ed è provata la correlazione diretta fra investimenti pubblici in Ict e produttività”, ha aggiunto. La situazione è aggravata dal fatto che gli investimenti in ricerca e sviluppo sono inferiori alla media europea e vi è ancora oggi uno scarso impiego di Internet per l’interazione con le amministrazioni da parte di famiglie e imprese. “I nostri sistemi sono peggiori o c’è un problema culturale, un blocco da rimuovere?”, si è interrogato.

Misurare i risultati conseguiti per diffondere la cultura digitale
“Mi ha colpito, nella presentazione del Rapporto, che a fronte di molte risorse investite si faccia ancora fatica a quantificare i vantaggi per i cittadini”, ha sostenuto, uno degli attori della tavola rotonda sul contributo delle regioni all’Agenda Digitale, Matteo Lepore, presidente della commissione innovazione di Anci. E ha suggerito: “Per capire se gli investimenti che facciamo vanno nella giusta direzione dovremmo tener conto maggiormente del punto di vista dei cittadini e delle imprese che devono utilizzare i servizi”.
Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale, pur riconoscendo la maggior parte delle Regioni come gli interlocutori più sensibili a questi aspetti delle amministrazioni centrali, suggerisce di valutare i ritorni in termini di produttività e di efficienza degli investimenti sulla digitalizzazione. “Nelle amministrazioni pubbliche, come nelle aziende, lo sviluppo delle tecnologie Internet può comportare importanti riduzioni dei costi, come effetto dell’aumento di produttività, e al tempo stesso il miglioramento dei servizi offerto grazie alla loro reingegnerizzazione”, ha detto. La produttività e la sua misurazione sono obiettivi prioritari anche per Alberto Daprà, presidente di Assinter (Associazione delle società per l’innovazione tecnologica nelle regioni), e vanno commisurati all’entità degli investimenti. Facendo riferimento a una recente ricerca dell’Osservatorio del Mip sulla sanità digitale, ha sottolineato che gli investimenti italiani sono risultati decisamente inferiori a quelli di altri paesi europei. Ma per incrementarli “bisogna innanzi tutto chiarire che quelli digitali sono investimenti (non spese da contenere al massimo), che possono portare grandi benefici in termini di produttività non solo alla Pubblica Amministrazione ma al sistema paese nel suo complesso”, ha detto.
La scarsa dimensione delle imprese è un ulteriore ostacolo per la diffusione della cultura digitale, anche se, come ricorda Lepore, sarebbero soprattutto le aziende più piccole a trarre i maggiori vantaggi dalla possibilità di interagire in modo più efficace con le amministrazioni risparmiando tempo e risorse.
“Se le nostre imprese hanno in media meno di tre dipendenti, diventa molto difficile creare una adeguata cultura digitale al loro interno; questo aspetto, che si somma alla difficoltà di investimento, porta al ricorso al consulente, che diventa l’interfaccia con le amministrazioni”, interviene Giorgio Rapari, presidente della commissione innovazione e servizi di Confcommercio. La delega ai consulenti deriva, è il ragionamento Parisi, dalla complessità del rapporto con la Pubblica amministrazione : “Spesso le amministrazioni fanno cose ottime su Internet ma senza rivedere il back office, con il risultato che appena si esce da un problema standard si va in confusione”.

Le società in house
Un altro punto di discussione è rappresentato dal ruolo delle società in house (aziende Ict di proprietà della Regione), presenti in 15 regioni. “Sono state lo strumento che ha portato avanti l’innovazione digitale a livello regionale e nel tempo sono diventate sempre più una cerniera fra il pubblico e il mercato”, ha ricordato Daprà. Ne vanno però definiti i confini e la reale capacità competitiva, ha evidenziato Parisi, prospettando al tempo stesso la necessità di un’evoluzione del mercato che superi l’attuale eccesso di parcellizzazione dell’offerta di servizi It. “La qualificazione della domanda pubblica e di quella privata sono la premessa per la riqualificazione dell’offerta. Ma la condizione è l’esistenza di un disegno nazionale che non sia frenato da centri di potere regionale che sviluppano attività di mercato”, ha detto ancora Parisi con riferimento al ruolo delle società in house.

Ripartire dall’Agenda digitale per un progetto Paese
Il primo passo per una strategia nazionale si sta concretizzando grazie all’Agenda Digitale. “L’Agenda Digitale finalmente è partita e noi (come Anci) abbiamo contribuito al dibattito evidenziando quanto finora è stato fatto, per non ripartire da zero, ma tenere conto sia delle buone sia dalle cattive pratiche, come per esempio il fallimento della carta di identità digitale – ha proseguito Lepore – La strategia digitale nazionale, che il nuovo governo provvederà a riorientare, dovrà essere inserita, a sua volta, all’interno di una politica industriale di cui sento la mancanza, come sento la mancanza di una strategia sulle aree urbane anche se si parla molto di smart city e si è iniziato a parlare di aree metropolitane”.
“L’Agenda Digitale italiana ha identificato pilastri molto importanti; sono state prese decisioni impensabili tre anni fa”, ha dichiarato Parisi, ricordando che la produzione di ben 28 leggi regionali sulla società dell’informazione non è certo un risultato di cui andare orgogliosi. In molti degli ambiti è infatti indispensabile avere un orizzonte nazionale: è il caso del fascicolo sanitario elettronico che deve essere nazionale, basato su standard condivisi (non solo su principi di interoperabilità) per poter essere letto e utilizzato ovunque in qualunque parte.
“L’Agenda Digitale deve essere nazionale; la competizione deve servire per fare meglio e ridurre il divario fra territori ma si deve concorrere a un unico obiettivo nazionale”, ha concluso.
Agostino Ragosa, la cui nomina a direttore generale dell’Agenzia per l’Italia digitale è stata formalizzata pochi giorni prima dell’evento dopo due mesi di stand-by, ha quindi illustrato il proprio impegno principale che sarà quello di “presentare un piano nazionale digitale che permetta di qualificare la domanda e l’offerta e di capire il futuro modello di sviluppo, non prima di aver ascoltato i diversi punti di vista”. Contemporaneamente, ha sottolineato Ragosa, “per rimediare all’estrema frammentazione dell’offerta pubblica di servizi erogata da circa 4mila punti sparsi sul territorio [tra piccoli Ced e grandi data center ndr]” scarsamente integrati tra loro “si dovrà, come primo passo per procedere alla sua razionalizzazione, rendere visibile l’infrastruttura locale e centrale della pubblica amministrazione”, sviluppando una reale interconnessione tra i centri dati delle differenti amministrazioni.

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