Mentre ci accingiamo ufficialmente ad affrontare livelli di CO2 mai visti, oltre il 50% rispetto a quelli preindustriali, prende forma un consorzio di big tech ESG oriented. Dalle infrastrutture al codice, dallo sviluppo all’uso dei dati, Responsible Computing chiede al mondo IT di mettere al centro la sostenibilità, concretamente e definitivamente.
Sotto lo sguardo vigile dell’Object Management Group, questo neonato gruppo di aziende tech sta ancora muovendo i primi passi, ma con obiettivi decisamente ambiziosi. Sfruttando le competenze tecniche combinate in un ambiente neutrale, la sua mission è infatti quella di “modificare il pensiero e, in ultima analisi, il comportamento” in tutto il settore IT.
I 6 modi per dimostrarsi “responsible”
È ancora troppo presto per comprendere se quella imboccata da Responsible Computing sia la strada giusta. Ciò che però questa realtà promette è di “produrre un cambiamento reale” in 6 precisi domini che potranno quindi essere monitorati nella loro attesa evoluzione green.
Gli occhi di molti sono puntati sui data center. Servono una progettazione più efficiente, fonti di energia rinnovabili, meno sprechi nel raffreddamento e un rigido monitoraggio di consumi e carbon footprint. Necessario ma non sufficiente un refresh tecnologico, da associare a scelte virtuose per abbattere i consumi energetici. Lo stesso obiettivo vale anche per le infrastrutture, da progettare cercando un felice compromesso tra prestazioni elevate e operazioni sostenibili. Essenziale per questo saranno report e misurazioni continue su tutto il lifecycle dei materiali, coinvolgendo anche i fornitori e compensando efficientemente tra loro i picchi di workload.
Da non trascurare anche l’impatto energetico nascosto nel codice. Chi lo scrive deve essere più consapevole della responsabilità sociale e ambientale che ciò comporta, trovando il modo per assicurare accuratezza e velocità, ma mai a scapito dell’ambiente. Un “conscious code” avrebbe benefici anche dal punto di vista della sicurezza informatica, un tema chiave che Responsible Computing riprende anche in ambito trattamento dati. Trasparenza, equità e rispetto per gli utenti devono essere alla base di ogni policy di data governance, ma questo è quasi scontato. Ciò che il framework condiviso dal consorzio consiglia è l’automazione, la certificazione e, soprattutto, l’adozione di soluzioni AI e ML per minimizzare errori manuali garantendo un uso efficace ed efficiente dei dati.
Valori etici spuntano anche nell’ambito dei sistemi IT che devono essere inclusivi, oltre che rispettosi della privacy, sicuri e resilienti. Meglio quindi progettarli definendo un’etica culturale aziendale, applicando poi la tecnologia forense per rilevare e rimuovere problemi di compliance e di discriminazione legati all’AI.
Per comparire tra i leader globali dell’informatica responsabile, le aziende sono chiamate anche in generale a compensare l’impatto sul pianeta nelle categorie ESG in modo concreto e tracciabile.
Assenza di standard e requisiti ambiziosi: la sfida ESG per l’IT è complessa
La “coccarda” da pioniere responsabile e un posto un posto al tavolo di chi si occupa di attuare gli ESG non sono gli unici vantaggi che Responsible Computing promette ai propri membri. Anzi, lascia ben intendere che l’approccio olistico suggerito è profittevole e comporta spesso, in automatico, un deciso miglioramento delle soluzioni, delle strategie e del business.
Supportata da linee guida e risorse e attentamente monitorata, ogni azienda che entra a far parte di Responsible Computing ha anche il compito di ispirare tutti i professionisti IT del mondo ad aderire ai suoi principi. Per ora, oltre a IBM e Dell, sul sito compaiono tra i membri anche il Chartered Institute for IT (BCS) del Regno Unito, l’Università di Edimburgo, la Purdue University negli Stati Uniti, Slingshot Simulations e la società di ricerca Transforma Insights.
Questa squadra IT sensibile agli ESG ha bisogno di conquistare nuovi aderenti, ma anche di ottenere credibilità. Le sfide che la aspettano sono complesse da diversi punti di vista, infatti. Per prima cosa dovrà allontanare coi fatti ogni minimo sospetto di greenwashing, ma non solo. Dovrà operare con abile diplomazia per far accettare a certe big alcuni punti ostici riguardanti anche il trattamento dei dipendenti e la gestione dei fornitori.
Prima ancora, però, le servirà trovare o definire degli standard per certificare la propria efficacia nel perseguimento di valori in linea con gli ESG. Una criticità diffusa, uno degli ostacoli su cui iniziative come Responsible Computing spesso finiscono per incagliarsi o subire rallentamenti, e che varrebbe la pena di essere affrontata unendo le forze, “worldwide”.