Una Pubblica Amministrazione che funziona può produrre, secondo le analisi Ocse, una produttività aggiuntiva del sistema Paese con un aumento del Pil dello 0,6% entro 5 anni, pari a circa 9 miliardi di euro. Sarebbe questo un impulso quanto mai auspicabile in un paese in stagnazione come l’Italia, collocato dal “Better life index” di Ocse tra gli ultimi otto paesi (tra i 34 paesi Ocse, organizzazione che raggruppa la maggior parte dei Paesi sviluppati, vari Paesi emergenti e due Paesi partner, Brasile e Russia) per occupazione, ambiente, istruzione, sicurezza e soddisfazione.
Parte da queste considerazioni la ricerca Fpa “25 anni di riforme della Pa: troppe norme, pochi traguardi”, presentata in occasione della pubblicazione dell’Annual Report Fpa, realizzata su un campione di 700 persone, per quasi l’80% dipendenti pubblici, e che evidenzia come le passate riforme non siano riuscite a incidere realmente sulle amministrazioni. Uno degli elementi che nessuna riforma passata è riuscita a migliorare è, per esempio, la composizione del personale: gli impiegati pubblici hanno una età media più elevata degli altri paesi europei, sono scarsamente qualificati, mal distribuiti, pagati in modo troppo difforme, con un eccesso di dirigenti. Cambiare questa situazione è indispensabile per una Pa digitalizzata ed efficiente.
Il punto di vista dei dipendenti pubblici
Riuscirà la riforma Madia ad incidere davvero? Purtroppo non è esente dalle molte criticità delle precedenti riforme, essere cioè troppo centrata sulle norme: “Tutto è affidato a leggi e provvedimenti, ma mancano indirizzi programmatici e atti di gestione”. La pensa così il 70% dei partecipanti al panel Fpa che valuta la riforma “non rivoluzionaria negli effetti”, ma che indica fra i suoi meriti quello di rileggere l’efficienza del Paese come un dovere della PA (56,6%) e un diritto dei cittadini (52,2%).
Oltre il 30% ritiene che si genererà un effetto “negativo” relativamente al “caos sulle competenze e le responsabilità”, lo “scollamento tra la politica e l’amministrazione”, i “divari territoriali”. Mentre il 35% pensa che rimedierà “all’incertezza di regole e tempi” e permetterà di recuperare il gap di “fiducia tra cittadini, istituzioni e PA”. Solo 23% dei dipendenti valuta che il proprio lavoro migliorerà, mentre 40,2% ritiene che peggiorerà e il 37,6% pensa che non cambierà. Per i cittadini ci sarà un miglioramento per il 31,8% del panel mentre per il 49,3% niente cambierà (figura).
Giudizio positivo per l’impulso alla digitalizzazione
Per il 43,6% la riforma darà una grande spinta alla digitalizzazione , producendo un effetto positivo per l’accesso ai dati e ai documenti della Pa, oltre che ai servizi (30%), mentre il 19,2% ritiene che migliorerà i diritti digitali di cittadini e imprese e solo il 16,4% vede possibili miglioramenti per open data e trasparenza.
Guardando poi ai risultati concreti, la ricerca registra un’accelerazione nella crescita (seppur modesta) degli utenti Spid, grazie anche ad azioni promosse dal governo per incentivarne l’adozione; tuttavia i poco più di 400mila utenti che a fine 2016 l’hanno adottato sono ben lontani dall’obiettivo di 10 milioni a fine 2017.
Bene invece la fatturazione elettronica verso la PA, che si sta consolidando con 23mila amministrazioni aderenti e una media di fatture di circa 2,5 milioni al mese, e PagoPA, con il 62,1 % degli Enti aderenti al sistema dei pagamenti elettronici a fine ottobre. Permangono però ritardi sul domicilio digitale e sull’Anagrafe Nazionale della Popolazione residente (Anpr) che vede solo un Comune, sui 26 che avevano avviato la sperimentazione, arrivato a fine corsa.
In conclusione ci si dovrebbe concentrare sugli aspetti positivi della riforma che può portare i frutti attesi soprattutto focalizzando l’azione sulla parte attuativa e sul coinvolgimento dal basso delle persone la cui assenza è stata determinante per il fallimento delle precedenti riforme.