“La diffusione di nuovi device ha generato cambiamenti importanti nelle abitudini quotidiane delle persone. I possibili contact point tra aziende e clienti aumentano, le caratteristiche storiche del digital vengono amplificate dai nuovi strumenti e di conseguenza dalle nuove modalità di fruizione. Basta pensare a chi oggi guarda la Tv con in mano un tablet o uno smartphone: vede un programma e lo commenta sui social oppure uno spot e accede al sito web per processare un acquisto”, a raccontare la “rivoluzione del digitale” è Maurizio Alberti, Managing Director, Teradata Marketing Applications Italy, sottolineando anche i risultati della ricerca The Data Driven Marketing Survey 2013 condotta da Teradata a livello paneuropeo (19 Paesi) e cross-industry (9 settori) su un campione di oltre 1.100 professionisti di marketing.
L’indagine ha rivelato un quadro a due marce, con Telco e It che spendono in tecnologie circa il 20% del loro budget marketing, seguite da Retail (17%) e Finance (13%), mentre gli altri settori sono decisamente più restii (investimenti tecnologici pari al 5%).
“È una questione di competenze – suggerisce Alberti -, ma anche di opportunità. Le grandi Telco hanno database con milioni di clienti che trasmettono enormi volumi di informazioni da diversi contact point (smartphone, laptop, tablet, bancomat, web, social, negozi ecc.); in queste condizioni, ottimizzare l’efficacia delle campagne, monitorandone tutto il processo (strategia, implementazione, tracking), può generare variazioni importanti nel Roi”.
Quale Roi per il digital marketing?
Già, ma come si calcolano i ritorni delle azioni di digital marketing? Secondo Teradata, la questione rappresenta un “punto caldo” per le aziende europee: il 23% degli intervistati dichiara, per esempio, di non avere strumenti di misurazione adeguati e il 18% ha difficoltà di gestione nelle campagne. Criticità che Alberti non imputa all’offerta It (“la tecnologia attualmente sul mercato è matura”) quanto a fattori di matrice economica e culturale: “I Cmo – asserisce il manager – subiscono una forte pressione per generare risultati in tempi brevi e le tecnologie oggi disponibili possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia, a frenarne l’adozione, sono vincoli di budget, poca visione strategica o forse, in alcuni casi, mancanza di coraggio nel prendere decisioni, con un conseguente impatto negativo sui processi operativi aziendali”.
Ma nell’era del marketing data-driven, nel contesto della multicanalità, la capacità di fare scelte disruptive e cambiare business model è fondamentale: “Ormai tutti noi durante la nostra giornata generiamo dati tramite diversi strumenti che comunicano la nostra posizione, cosa stiamo facendo, il nostro umore ecc. Molti di questi dati sono potenzialmente a disposizione delle aziende di cui siamo clienti, fan o follower. Dal punto di vista dei marketer ciò rappresenta il terreno di gioco della nuova sfida: captare i big data, selezionare le informazioni rilevanti e utilizzarle per offrire una customer experience che sia al tempo stesso coerente su tutti i canali, specifica per le peculiarità di ogni singolo strumento, personalizzata in base all’utente. I marketer ci dicono che mediamente utilizzano già 7 canali di comunicazione”.
Un’attività decisamente complessa, per la quale la tecnologia può dimostrarsi un alleato prezioso: per esempio, i software di Campaign Management consentono ai marketer di gestire la segmentazione delle campagne sui vari canali online e offline, mantenendo un messaggio coerente e migliorando le relazioni con i consumatori, l’esperienza utente e sul lungo termine i profitti; i tool di Marketing Resource Management, invece, permettono di automatizzare planning, gestione del budget, monitoraggio degli investimenti e impostazione dei workflow, aumentando l’efficienza e riducendo il time to market.
“Questi strumenti – sintetizza Alberti – mettono i marketer in condizione di utilizzare al meglio le competenze che fanno già parte della loro routine quotidiana, risparmiando tempo sulle attività che oggi gestiscono manualmente, e faticosamente, e dedicando quindi maggiori risorse all’analisi e alla continua ottimizzazione dei risultati. I feedback raccolti dall’indagine dimostrano chiaramente che chi ha già adottato queste tecnologie si sente più preparato ad analizzare i dati provenienti da diverse fonti e molto più soddisfatto delle proprie strategie di comunicazione rispetto agli altri intervistati”.
La relazione Cmo-Cio: quali cambiamenti
In un contesto dove l’It concorre in modo determinante ed evidente al raggiungimento degli obiettivi di business, il rapporto tra Cmo e Cio è destinato a cambiare.
“Il trend sui mercati più avanzati come quello americano – prosegue il manager di Teradata – riflette un aumento degli investimenti in tecnologia da parte dei Cmo con alcune previsioni che parlano addirittura di un investimento superiore a quello dei Cio entro pochi anni. Non è detto che si verifichi esattamente questo scenario, ma si tratta sicuramente di un percorso intrapreso che certifica la crescente percezione del valore dei tool informatici a supporto del marketing”.
E l’Italia? In materia di digital marketing, rimane ancora tra i fanalini di coda dell’Europa, ma come dichiara Alberti, “il mercato tecnologico è molto attivo”: questo perché “la difficile congiuntura economica spinge le aziende a valutare con urgenza soluzioni alternative alle consuete strategie” e perché la possibilità di ottenere risultati dimostrabili crea un circolo virtuoso di fiducia e investimenti.
“La distanza con gli altri mercati europei – argomenta il manager – è ancora evidente, ma gli indici locali sono in miglioramento, la diffusione dell’e-commerce sta aumentando, i player che offrono tecnologie per il marketing crescono e continuano a rivestire un ruolo importante di importazione dei migliori casi di successo internazionali, stimolando il mercato a sviluppare nuove competenze e strategie”.