Forse meglio e prima degli umani, le aree naturali protette stanno facendo rete, aderendo a Nature 2000. Lanciato dall’Unione Europea, questo progetto oggi già custodisce il 18% delle aree terrestri europee e il 6% delle marine. L’Italia è sopra la media, con il 19% di terrestri e il 13% di marine, ma questo non le permetterà certo di sottrarsi all’obiettivo di aumento del 30% della copertura entro il 2030. Un orizzonte che fa immaginare un Paese più rispettoso del proprio patrimonio naturale, volano anche per il turismo, ma che lo obbliga anche a effettuare attività di monitoraggio e azioni di conservazione, comunicandole periodicamente alla Commissione Europea ogni sei anni.
Un impegno ulteriore che sarebbe solo una questione di carteggi digitali, di un Rapporto Nazionale da redigere, se non fosse per l’assenza di un metodo standard di monitoraggio degli habitat naturali, replicabile efficace e attendibile.
Rilievi robotici: il progetto Nature Intelligence
Per rispondere a questa sfida “laterale” ma fondamentale per Nature 2000 – e per qualsiasi altro progetto presente e futuro che richieda il monitoraggio di un ambiente esterno – l’Università di Pisa ha lanciato l’idea dei robot. Con il progetto Nature Intelligence, li ha fatti “evadere” dagli edifici dove erano stati fino a quel momento utilizzati per funzioni di sicurezza, sguinzagliandoli nella natura dopo averli muniti di sensori per il rilevamento di dati utili al monitoraggio degli habitat naturali.
Si tratta di robot potenziati con una intelligenza artificiale e in grado di spostarsi autonomamente, interagendo con l’ambiente fisico e adattandosi alle varie tipologie di terreno. Quello delle dune di sabbia, per esempio, uno dei quattro scelti per iniziare le attività di Nature Intelligence e “rispondere alla mancanza di standardizzazione nell’uso di sensori per rilievi in aree protette” spiega Pierangela Angelini, ricercatrice biologa dell’ISPRA che ha collaborato principalmente alla taratura dei requisiti funzionali dei robot. “C’era la forte e urgente necessità di sviluppare riferimenti oggettivi, sulla base di sensori e sensoristica e applicabili per progetti di monitoraggio”.
Finanziato attraverso il programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020 con 3 milioni di euro, Nature Intelligence è appena terminato dopo 3 anni di studi, sperimentazioni e spedizioni robotiche. Anche di risultati ma “siamo ancora lontani dall’avere lo standard che ci viene richiesto e che ci serve. Più che una questione tecnologica, gioca molto anche il fattore culturale: non tutti sono pronti a introdurre queste nuove tecnologie – confessa Angelini- e spesso ci si adagia sulle tecniche tradizionali senza compiere lo sforzo di guardare cosa può essere adattato e messo sul campo. La paura di essere sostituiti, spesso, ancora prevale sulla consapevolezza di poter ricevere dalla tecnologia un utile supporto”.
Il check up degli habitat si fa con il LiDAR
Fuori dalle quattro mura, i robot utilizzati nel progetto Nature Intelligence hanno iniziato subito a mostrare considerevoli potenzialità. La prima testata è stata la realizzazione di un digital twin 3D degli habitat naturali, una volta visitati dal robot con “addosso” un sensore LiDAR (Light Detection and Ranging). Da tempo sfruttati per infrastrutture fisiche critiche o opere architettoniche di valore storico, con questa iniziativa sono “andati in gita”.
I primi quattro ambienti naturali monitorati sono infatti stati le foreste, le spiagge, le praterie e i paesaggi di alta quota (ghiaioni e pareti rocciose). “Anno dopo anno, grazie a rilievi periodici 3D tramite LiDAR, l’idea è quella di capire cosa è cambiato e come. Le dune delle coste di anno in anno modificano il proprio aspetto, per esempio, a causa delle specie invasive, dei passaggi dei trattori o di eventi naturali” racconta Angelini. “Noi facciamo della change detection, studiando anche che tipo di LiDAR risulta ogni volta più adatto”. Quello per gli interni di un edificio, difficile che possa essere performante anche per catturare le forme di un cespuglio. È stato quindi necessario anche avviare un lavoro parallelo di formazione sullo stesso sensore, “sia per essere al passo con l’innovazione tecnologica, sia per poter poi consigliare al meglio il Ministero su cosa serve davvero tra tutto ciò che compare sul mercato” precisa Angiolini.
Un lavoro consistente, ma che ha fatto intravedere subito dei vantaggi. “Questi robot assicurano la standardizzazione della ripetizione della misura, volta per volta, grazie alla navigazione autonoma, legata al punto di partenza e arrivo. Offrono anche un alto livello di efficienza e un risparmio di tempo importante sui grandi progetti di monitoraggio” continua Angelini. E aggiunge anche l’aspetto della sicurezza degli operatori umani: “chi va a fare i rilievi è a forte rischio di infortunio, oltre che sottoposto a grandi sforzi. Come ISPRA abbiamo interrogato gli operatori su un possibile passaggio a nuove tecnologie robotiche e quasi il 100% si è detto ben disposto”.
Temperature, suoni e immagini: i tanti sensori del monitoraggio robotico
Nonostante lo scorgere di un’apertura (mentale) verso l’utilizzo di robot per il monitoraggio ambientale, i fondi sono al momento terminati e il timore è che Nature Intelligence resti in stand by, in un cassetto. Ascoltando Angelini si comprende, però, che il team farà di tutto per proseguire. “Abbiamo proposto questo metodo innovativo ai vari parchi nazionali ma è stato messo da parte, sempre per una mancanza fondi. Si è scelto di investire altrove quelli del PNRR – racconta- ma stiamo partecipando a un bando per compiere il passo successivo e iniziare il vero e proprio monitoraggio. Intanto ci rivolgiamo ai nostri principali stakeholder, le aree protette, che prima o poi saranno chiamate ad avere uno standard dalla Nature Restoration Law. È vero che oggi i costi di queste tecnologie sono alti, ma come spesso accade, col tempo diventeranno più accessibili. Nei prossimi anni è necessario che avvenga”.
Al contempo, visto il costo dei robot, li si può “caricare” di sensori per ottimizzare la loro uscita in natura. Chiedendo a Angelini di immaginare di poterli munire liberamente di altri, senza badare a costi, il pensiero della biologa ISPRA corre subito sulle spiagge. Lì sarebbe interessante che i robot potessero usare un sensore termico “per cogliere le variazioni di temperatura e capire anche come la vegetazione risponde, quale reagisce meglio ad alcuni eventi climatici e all’aumento delle temperature. Questa sarebbe un’informazione preziosa anche in ambiente alpino” immagina Angelini. Se per le specie vegetali, ci sta già pensando l’AI del robot, tramite riconoscimento di immagini, per valutare le specie animali presenti potrebbe essere utile un sensore acustico. “Permetterebbe il monitoraggio dell’agrofauna: dai pipistrelli agli invertebrati e agli anfibi. Ne può registrare i versi, captando il paesaggio acustico che, una volta ‘sbobinato’, offre numerose informazioni sui vari esseri viventi presenti in un dato habitat. Sarebbe un bel passo avanti per il monitoraggio della ricca biodiversità del nostro Paese”.
La lista dei sensori possibili potrebbe continuare a lungo. Angelini si limita a questi esempi, ma ricorda come l’interdisciplinarità di Nature Intelligence sia uno dei punti di forza di un progetto da continuare: “il costante e stretto confronto tra biologi, scienziati e ingegneri provenienti da vari atenei e aree geografiche permette di scoprire in ogni momento un mondo di potenzialità”.