Cibo sano, riciclabile, sostenibile e gustoso. Possibilmente anche vario, perché la monotonia del menù può fortemente impattare sia sulla salute dell’organismo, sia sull’umore, soprattutto quando si sta vivendo in una scatoletta fluttuante nel buio esistenziale dell’universo. È il cibo che cinque università australiane promettono a chi partirà per le missioni spaziali su Marte e sulla Luna a partire dal prossimo decennio. Ci lavoreranno per sette anni, giocandosi tutte le tecnologie più innovative e le idee più originali, a costo di sembrare al resto del mondo anche ridicoli. Chi parte sa bene che quello dell’alimentazione durante le missioni è un grosso problema. Sia di tempo, perché ci si assenta per anche 3 anni, sia di peso: ogni astronauta ha a disposizione circa 850 kg inclusa anche l’attrezzatura.
Agricoltura extraterrestre e intelligente
Con il progetto Plants in Space, i ricercatori australiani vogliono arrivare a decifrare il codice del “cibo spaziale” fresco e nutriente da coltivare nello spazio potenzialmente a tempo indeterminato. Contano di riuscirci con l’aiuto di robot e gemelli digitali, e non solo: tra le tecnologie impiegate e ora in fase di sperimentazione ci sono sensori IoT, intelligenza artificiale e dispositivi di analisi facciale. Servono per monitorare la crescita di ortaggi e frutti in determinate condizioni ma anche gli effetti della microgravità sull’esperienza alimentare umana.
I robot rappresentano una parte importante del progetto, hanno una forte responsabilità. Si tratta di macchine agricole open-source, ribattezzate farmbot, programmabili per diventare dei veri e propri agricoltori autonomi. Ciò significa saper piantare i semi, irrigarli in modo efficiente, raccogliere le colture, difenderle dalle malattie e registrare parametri ambientali e tassi di crescita. A supportarle, c’è anche un naso elettronico, dedicato al rilevamento dei profili aromatici emessi dalle piante.
Queste informazioni vengono poi combinate con quelle relative al terreno e all’ambiente di crescita, per prevedere i bisogni di ogni coltura e identificare eventuali problemi. Nei piani dei ricercatori australiani, tutte queste attività resterebbero nelle mani dei robot: non serviranno astronauti col pollice verde. Tutto dovrebbe diventare automatizzato in modo che chi parte per lunghe missioni trovi “il frigo pieno”. Un frigo intelligente, più di quelli che ancora non hanno preso piede sulla Terra.
Gemelli digitali assaggiatori
Plant in Space si preoccupa anche dell’effetto che le sue “piante spaziali” possono creare su chi le mangia in una situazione particolare, dal punto di vista della gravità. Per studiare questo aspetto, i ricercatori hanno realizzato una sedia a gravità zero posizionata in una “sala di immersione” che offre a chi vi si accomoda la visione continua di un’immagine rotante in loop e ravvicinata della Terra ripresa dall’orbita bassa.
È una postazione usata per simulare le posizioni di microgravità quando si è sulla Terra e oggi è l’unico modo per studiare come reagirebbe una persona nello spazio mangiando il cibo coltivato nel progetto. Vicino alla sedia speciale sono quindi installati dei sensori e una telecamera, per captare ogni segnale umano, comprese la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e le espressioni facciali. Tutti dati da raccogliere per realizzare una sorta di gemello digitale di un astronauta del futuro che mangia nello spazio e capire come reagirà a sapori e gusti, sia dal punto di vista fisico che emotivo.