Antropomorfi, ma non troppo, e nemmeno esageratamente abili e veloci, certi robot possono diventare alleati preziosi in ambito industriale, non solo per aumentare le produttività. L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) si è infatti concentrata sull’aspetto della sicurezza dei lavoratori, progettando delle soluzioni ad hoc per il settore, da cucire addosso ad ogni operatore che le usa. Un’opportunità che nasce solo quando si ha una conoscenza reciproca tra “colleghi”, ottenibile attraverso un numero di sensori e dati adeguati a sostituire uno sguardo d’intesa fra umani.
Con MOCA il software rincorre l’hardware e le norme frenano
Uno dei progetti portati avanti da IIT in tal merito è MOCA (Mobile Collaborative robotic Assistant). Sviluppato dal suo laboratorio Human-Robot Interfaces and physical Interaction (HRI2), questo robot collaborativo è composto da una piattaforma mobile con quattro ruote omnidirezionali, su cui è stato montato un braccio manipolatore equipaggiato con la mano robotica Pisa/IIT SoftHand. Il responsabile di questa linea di ricerca, Arash Ajoudani, lo definisce propriamente un “robot Frankenstein” perché, per evitare lungaggini e complicazioni, è stato assemblato unendo componenti già esistenti e certificate. “IIT ci ha aggiunto il suo know-how su power autonomy, percezione, manipulation e movimento, creando una vera e propria serial dynamic chain. Tutto è collegato: se si muove un componente, impatta su tutti gli altri” spiega Ajoudani.
Nel creare MOCA, è stata posta una particolare attenzione al suo aspetto e ai suoi movimenti, affinché fosse psicologicamente accettabile dall’ambiente a cui era destinato. Un robot troppo umano, o troppo agile, avrebbe potuto turbare chi teme di essere sostituito dalle macchine, spiega Ajoudani. Con MOCA si è cercata la giusta via di mezzo, sviluppando un dispositivo adatto per supportare le persone come “un esoscheletro non indossabile”, sgravandole dai compiti più pesanti.
Grazie alla tecnologia implementata da IIT, ogni lavoratore può ricevere da questo robot un aiuto personalizzato. Attraverso i suoi sensori, infatti, la macchina è in grado di percepire la stanchezza, lo sforzo fisico e le esigenze di ciascuno, reagendo in real time.
Le due principali barriere all’implementazione di MOCA nelle aziende sono due. “Dal punto di vista tecnologico è necessario spingere sulla parte software, per poter sfruttare meglio l’hardware esistente. C’è poi l’esigenza di renderlo facilmente utilizzabile: oggi necessita di 80 dottorandi in robotica per funzionare” spiega Ajoudani. L’ostacolo più grande sono però le normative: “non sono aggiornate e creano complicazioni. Hanno dei requisiti che limitano le tecnologie oggi sviluppate, rendendole le soluzioni poco convenienti da adottare, perché troppo lente e inefficienti. È necessario che anche le aziende ne abbiano consapevolezza e si uniscano alla ricerca per domandare un aggiornamento”.
Un robot “paracadute” per cantieri reali
Mentre si può immaginare MOCA in azione, in un prossimo futuro, in campo logistico o nel manufacturing, la soluzione “Caduta dall’Alto” è principalmente dedicata al settore edile. Sviluppata assieme a Inail, si presenta come un esoscheletro collaborativo, una sorta di robot teleoperativo che ha concluso lo sviluppo della prima fase prototipale.
L’obiettivo con cui è stato concepito va oltre il suo nome, ed è triplice. Il fine ultimo e più esplicito è quello di proteggere il lavoratore, in caso di cadute dall’alto, attraverso tecnologie airbag indossabili intelligenti e materiali per sistemi di mitigazione dell’impatto. L’idea, però, è anche quella di attenuare la caduta stessa, mettendo in campo nuove tecnologie di arresto, basate su sistemi di propulsione/droni indossabili. Terzo e ultimo obiettivo, la formazione dei lavoratori, attraverso l’utilizzo di tecnologie di realtà virtuale e realtà aumentata. Ciò a cui si mira è un uso corretto dei dispositivi e un aumento della percezione del rischio di caduta dall’alto.
Esoscheletri robot e anatomia dello sforzo
Sempre a protezione dei lavoratori, sempre in collaborazione con Inail, i ricercatori di IIT hanno sviluppato altri dispositivi. Sembrano perfetti per l’automotive, ma possono supportare molti altri lavoratori impiegati anche in ambito industriale, manifatturiero, logistico e edile. Si tratta di tre esoscheletri robotici in grado di diminuire fino al 40% lo sforzo e il sovraccarico muscolo-scheletrico dei lavoratori.
Sono stati ideati in modo che non intralcino, una volta messi in campo, e ciò potrebbe accadere nel giro di quattro anni. Per XoTrunk, anche già tra circa un anno, grazie ad un progetto di startup IIT (Proteso). Come il nome suggerisce, questo esoscheletro interviene sul tronco, per alleggerire il sollevamento ripetitivo di carichi fino a un peso di circa 20 Kg, supportando anche le operazioni di traino. Se il peso cade per lo più sulle spalle dei lavoratori, meglio sarebbe però puntare su XoShoulder, da immaginare come alleato ideale di chi opera, per esempio, su automobili poste su piattaforme sopraelevate. Un esempio di applicazione simile vale anche per XoElbow, prototipo che aiuta chi deve sollevare pesi vicino, per esempio per montare degli pneumatici su un’automobile su piattaforma. Se XoTrunk è già vicino all’esordio, per questi due dispositivi si parla ancora di sperimentazioni in scenari reali. Sarebbero le prime, avverrebbero nei prossimi mesi e, guarda caso, anche e soprattutto in officine meccaniche di riparazione auto.