Dopo la definizione e l’avvio dei progetti prioritari, si sta “passando da una fase artigianale di start up a una industriale dell’innovazione della PA, con l’obiettivo, grazie al Piano triennale, di definire quella strategia Ict che per anni è mancata e ha causato una frammentazione che oggi dobbiamo superare”, ha detto Antonio Samaritani al recente Forum Pa in occasione del convegno “Digital First: costruire una cittadinanza digitale per cittadini e imprese”.
Ricordiamo che la maggioranza dei progetti prioritari, come la fatturazione elettronica, il sistema dei pagamenti, PagoPa, l’anagrafe nazionale della popolazione residente, Anpr, e il Sistema Pubblico di Identità Digitale, Spid, sono già operativi almeno in alcune amministrazioni/regioni.
La novità è l’inserimento di questi progetti in un quadro organico che Guido Scorza, Presidente Istituto per le politiche dell’Innovazione, ha definito “un piano per la riscrittura del sistema operativo del Paese”.
E’ prevista una strutturazione a tre livelli: infrastrutture fisiche, infrastrutture immateriali ed ecosistemi.
“Per ognuno definiremo, entro l’anno, obiettivi di performance, di qualità e di sicurezza che la PA dovrà rispettare”, precisa Samaritani. Per le infrastrutture fisiche si è concluso su mille data center un primo censimento che ne ha confermato l’inadeguatezza (il 70% per le dimensioni dei locali e il 50% per motivi di inagibilità), mentre sono in fase di definizione, con le Regioni e con i Comuni, le necessità di nuove infrastrutture immateriali. Queste andranno ad aggiungersi a quelle già identificate come PagoPa, Anpr e Spid…
“Per gli ecosistemi (scuola, sanità, turismo…) sono in fase di definizione le regole tecniche e una semantica comuni”, precisa Samaritani, che si è dichiarato soddisfatto sia per il lavoro di squadra sia per il riconoscimento all’Italia da parte di Desi (https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi, l’indice europeo di performance digitale). “Ci viene riconosciuto l’avvio di un percorso, ma ancora non abbiamo guadagnato posizioni, visto che gli altri Paesi corrono di più. Dobbiamo quindi muoverci in fretta sulla via della digitalizzazione se vogliamo continuare ad essere un paese produttore e non trasformarci, invece, in un paese consumatore che riesce a vivere di rendita ancora qualche anno grazie alla ricchezza congelata delle famiglie”.
Il tempo e le modalità di passaggio alla Pa digitale sono fra le principali criticità, come evidenziano gli interventi di Telecom Italia che spinge per una soluzione switch off, pur chiedendo di garantire una transizione inclusiva, e di Sisal Group che suggerisce un approccio multicanale, secondo un modello ibrido già sperimentato, ad esempio, in partnership con Trenitalia, per pagare e ritirare presso le ricevitorie il biglietto prenotato online.
Sarebbe cioè necessario staccare la spina una volta per tutte alla Pa basata sulla carta pur definendo un percorso di accompagnamento per i cittadini non ancora digitali. E’ quanto suggerisce anche Scorza quando sostiene che fra Pa digitale e Pa non digitale (che in realtà non dovrebbe esistere più) c’è spazio per una Pa “diversamente digitale” con un ruolo strategico di accompagnamento di quella parte rilevante del Paese ancora non in grado di accedere a servizi esclusivamente digitali.
“Per dare attuazione alla cittadinanza digitale (inserita nel CAD) che prevede il domicilio digitale, serve innanzi tutto una Pa davvero digital first e un approccio inclusivo a due velocità, per raccogliere da subito i cittadini già digitali, ma poi tutti gli altri, quel 50% di italiani non ancora su Internet in modo abituale” conclude Scorza.
Spid rappresenta un tassello essenziale di questo percorso, un modo per introdurre un sistema competitivo fra le amministrazioni che hanno come obbiettivo quello di agganciare il cittadino in una logica uno a uno; il cittadino, da parte sua, ha il vantaggio una volta che un’amministrazione l’ha posto nella necessità di avere Spid, di diventare digitale per tutte le altre amministrazioni. Una logica dunque più basata su incentivi che su imposizioni.
Spid può inoltre essere visto come il primo passo verso un modello economico basato sulla sharing economy, è la suggestione proposta da Samaritani: “È a costo zero per lo Stato, essendo a carico di imprese che hanno deciso di seguirci in questa avventura in vista di possibili ritorni (in termini ad esempio di upselling e crosselling) e vendita di servizi ai privati. Riescono a farlo perché lavorano sulle loro infrastrutture a costo marginale zero, secondo i principi di Rifkin”.