La tendenza è ormai chiara da un po’ di anni: le aziende puntano a entrare sempre di più in empatia con il cliente per potergli poi offrire il prodotto ritagliato sulle sue specifiche esigenze di utilizzo continuando, laddove possibile rispetto ai vincoli di privacy, a verificare la reale efficacia e a spingere sull’evoluzione del prodotto acquistato.
Per questo motivo sempre più prodotti vengono arricchiti di software in grado di farli diventare “smart”, connessi al Web, autonomi nelle loro capacità di prevenire guasti, controllare le proprie capacità funzionali, interagire con l’utente.
Non tutti i prodotti “fisici” possono essere oggetto di questa evoluzione. Ma quando, per struttura e utilizzo, possono diventare “intelligenti”, ecco che si viene sviluppando quella next generation di prodotti in cui funzioni di AI, machine learning, IoT, connessioni 5G, realtà aumentata e realtà virtuale vengono integrati nativamente per creare nuove modalità di fruizione del prodotto stesso. È quel processo cosiddetto di “softwarizzazione” attraverso cui viene oggi determinata la user experience di un prodotto nel tentativo di generare nuovi fatturati, aumentare la longevità dei prodotti e crearsi, come impresa, un differenziale competitivo sul mercato.
Tutto sotto controllo
Attraverso sensori, gatway di comunicazione embedded e cloud integrato che inoltrano di continuo alert e feedback, è possibile un monitoraggio costante sullo stato del prodotto, delle sue condizioni e di quelle dell’ambiente in cui esso opera. Grazie a questa operatività “autonomous” basata sullo scambio dei dati, è possibile per l’azienda effettuare miglioramenti incrementali del prodotto e/o nuovi sviluppi più coerenti alla domanda e meno esposti al rischio di rifiuto da parte del mercato. L’utilizzo massiccio di tecnologie di data analytics, che devono inevitabilmente integrarsi con questo tipo di strategia di business, consente poi di pianificare interventi non solo nell’ottica di un’ottimizzazione delle performance del prodotto, grazie a una manutenzione predittiva, diagnostica continua per un miglioramento dei livelli di servizio e pianificazione degli interventi di riparazione, ma anche (e forse soprattutto) per avviare strategie diversificate di personalizzazioni non possibili con campagne marketing indiscriminate.
Un mercato ad alta potenzialità
Quello dell’integrazione di software smart in prodotti fisici è un mercato che la società di ricerca internazionale con sede a Dallas, Everest Group, stima in circa 250 miliardi di dollari, con una previsione di crescita annua tra il 15 e il 20% fino al 2025. È un mercato quindi in fase ancora “adolescenziale”, alla soglia del suo sviluppo maturo: a oggi circa il 90% delle aziende sta approcciando questa strategia di integrabilità di software smart nei propri prodotti, ma solo il 25% ha già avviato iniziative di sviluppo concrete tra le proprie linee di prodotto, un indicatore, secondo la società di ricerche di mercato, di elevate potenzialità nel breve periodo.
I driver di questa potenziale crescita sono evidenti: esiste nel mercato una forte domanda di personalizzazione dei prodotti. In alcune aree, pensiamo ad esempio al Fitness healthcare e alla filiera di tutto l’abbigliamento sportivo, la richiesta è di poter ricevere raccomandazioni, analisi, misurazioni in real time, cosa che rappresenta un fattore di fidelizzazione molto importante se effettivamente realizzato e facilmente usufruibile. Per questo, come accade ad esempio in altri ambiti quali l’agricoltura o l’automotive, il software OTA (Over The Air) è la tecnologia utilizzata per lo scambio di dati ai fini dell’aggiornamento software di un dispositivo digitale (tablet, smartphone, etc…) tramite una comunicazione punto-punto e per mezzo di una rete wireless, senza alcun tipo di connessione fissa. Tesla, ad esempio, è leader nell’OTA per le sue connected Car, allo scopo di migliorare di continuo, a pagamento s’intende, le feature di infotainment, safety e in generale di user experience dei propri clienti.
Verso un nuovo modello di business
Oltre alla possibilità di personalizzazione e conoscenza delle modalità di utilizzo, tutto ciò contribuisce allo sviluppo di un nuovo modello di business, con fatturati derivati esclusivamente dal servizio aggiuntivo all’utente. Inoltre, con il consenso di questi ultimi, i dati generati dai prodotti connessi possono essere inoltrati, a livello di aggregato, anche a terze parti, aspetto che, secondo lo studio, per alcune realtà già questo rappresenta oggi un canale di fatturato importante. Fino ad arrivare ad una diversificazione radicale della proposta secondo il criterio di utilizzo dell’intero prodotto come servizio (as-a-service), in cui quest’ultimo viene pagato sulla base a consumo (ad esempio una ditta di compressori, cita lo studio Everest Group, attraverso sensori installati sui propri prodotti, che restano di proprietà del fornitore, rileva quanta aria compressa viene utilizzata dai clienti che pagano il servizio a consumo).
Non ultimo, l’aspetto finanziario: le aziende che stanno intraprendendo un’evoluzione verso la softwarizzazione dei propri prodotti, dati alla mano, registrano un market cap maggiore di quelle incentrate sul solo prodotto harware. Il valore delle azioni di un’azienda sul mercato (la capitalizzazione di mercato, appunto) è un modo chiaro per gli investitori sia di definire la dimensione di un’azienda sia per capire il parametro di rischio dell’investimento azionario. Ad esempio, Tesla ha un market cap di 10 volte superiore a Volkswagen, anche se quest’ultima vende 5 volte in più il numero di macchine sul mercato. Anche questa è quindi una spinta forte di cambiamento verso questi “digital product”.
Le sfide: organizzative e tecnologiche
La necessità di poter integrare nei prodotti in modo nativo delle funzioni software e di connettività riguardanti tecnologie di punta come IoT, analytics, AI/ML, apre uno dei fronti più critici di questo processo di softwarizzazione: quello relativo alla difficoltà di reperire competenze diversificate e di alto livello, da armonizzare nei processi di assemblaggio dei nuovi prodotti.
In questo senso, lo studio rileva la necessità per le imprese di investire sia sul fronte del re-skilling e up-skilling delle competenze disponibili (con possibilità di prevedere ulteriori esborsi per evitare di perdere le risorse a scapito di competitor) sia di sviluppare un sistema-rete di competenze con partner esterni (università, consorzi industriali, startup) per accelerare il time-to-market dei prodotti sfruttando competenze già formate, agilità di processo, risparmio di costi.
La necessità di un approccio “agile”
Altro aspetto critico riguarda inoltre gli elementi organizzativi e culturali relativi ai team di ricerca e di engineering che sono spesso strutturati a silos, poco interattivi e seguono processi legacy poco avvezzi a concetti di agilità, interazioni destrutturate e logica di sperimentazione-fallimento tipica di un processo flessibile di sviluppo.
Inoltre, sottolinea sempre lo studio, la mancanza di una chiara e incisiva strategia di change management è alla base della difficoltà di riuscire a completare una reale trasformazione digitale del business. Infine, il budget: è spesso esiguo per quei progetti di sperimentazione, tipo quelli di cui stiamo parlando, dove il risultato finale è incerto e arriva solo al termine di un processo di ricerca e sperimentazione di cui non si riesce a prevedere, fin dalle fasi iniziali, il suo successo. Questa scarsa disponibilità di budget si trasferisce poi in un approccio troppo prudente per riuscire in una vera software transformation del proprio modello di business.
Sul fronte tecnologico, tra le sfide da affrontare, vi è invece un’indubbia volatilità di queste tecnologie, che stanno vivendo fasi di sviluppo continue e ravvicinate che non le rende stabili e che induce le imprese a dover seguire evoluzioni funzionali difficili poi da “fissare” all’interno del prodotto, che può rischiare di essere rilasciato con alcune funzionalità che si rivelano obsolete alla fine del processo di industrializzazione.
Uno dei temi più complessi riguarda infatti la capacità di aggiungere a una base di codice legacy conosciuta e strutturata, funzionalità software di nuove tecnologie (AI/ML, analytics, communication, security) in continua evoluzione, mantenendo al contempo una governance e una capacità di maintenance efficace. Non da ultimo, in questo processo di arricchimento funzionale software, non va dimenticato l’aspetto di compliance con normative che servono a regolamentare l’utilizzo di questi “nuovi” prodotti in conformità con aspetti di privacy e sicurezza.