Si chiama service-based economy e nei prossimi tre anni, secondo IDC, dovrebbe generare circa il 40% dei ricavi frutto dell’insieme di prodotti, servizi ed esperienze digitali. Il modello di business sotteso viene definito servitization. Termine che è stato al centro di uno degli appuntamenti organizzati il 10 maggio scorso da SAP e AlteaUp in collaborazione con IDC al MADE Competence Center Industria 4.0 di Milano.
Servitization, l’analisi di IDC sul cambiamento in atto
Proprio i dati previsionali citati sono il punto di partenza indicato da Fabio Rizzotto, Vice President, Europe South Lead, Consulting and Custom Solutions di IDC: “Per IDC il 2023 è l’anno di un vortice di trasformazione disruptive, poiché non c’è innovazione che non si misuri con una forte caratterizzazione digitale”. A conferma di questo, la società internazionale specializzata in market intelligence prevede che entro il 2026 oltre i due terzi dei produttori di asset industriali creerà partnership con i propri clienti per abilitare servizi di monitoraggio intelligente e risoluzione proattiva delle problematiche.
Intelligenza embedded e logiche pay-per-use, ad esempio, saranno parte integrante di questa evoluzione. “In qualunque strategia digitale – ha proseguito Rizzotto – non possono mancare alcuni fattori: aspettative dei clienti, ecosistema sempre più interconnesso, il dato al centro del fare business e il tema della sostenibilità. Senza dimenticare il bisogno di abbattere i silos organizzativi e il contributo delle persone”.
A cambiare, in sostanza, è la modalità stessa con cui ogni impresa si pone sul mercato, di cui il prodotto è solo uno degli ingredienti. Mentre non si può più prescindere dai servizi correlati. E se la sfida del ciclo di vita di un servizio, o service lifecycle management, ormai è un aspetto consolidato, ce n’è una ancora più importante. Vale a dire passare da un’idea in cui il servizio continua a essere considerato un elemento secondario o ancillare del prodotto verso un percorso evolutivo in cui diventa il driver dell’offerta stessa dell’azienda. Per farlo, una delle principali tendenze rilevate da IDC in un campione di imprese industriali intervistate è la capacità di incorporare i feedback dei clienti all’interno del processo di innovazione. Tendenza seguita dalla propensione a integrare non solo i partner a valle, ma anche quelli a monte della supply chain.
Cosa insegna Opacmare, azienda del settore nautico
Un’esemplificazione di come la servitization stia trasformando le dinamiche tradizionali delle aziende produttive arriva dal caso Opacmare. Nata nel 1995 da una società che si occupava di prototipi per auto, oggi l’impresa realizza accessori e componenti per la nautica, in particolare per yacht e super yacht (cioè imbarcazioni fino a 60 metri di lunghezza). Con un fatturato di 50 milioni di €, occupa 300 dipendenti e dispone di due stabilimenti di produzione, uno a Rivalta di Torino, dove c’è anche l’headquarter, e un altro a Como.
Tiziano Allione, Head of Supply Chain e Purchasing di Opacmare, tra gli ospiti dell’evento del 10 maggio, ha spiegato che l’azienda ha circa 5000 prodotti in catalogo e che il rapporto con i propri clienti per Opacmare nasce quando l’azienda viene coinvolta dai cantieri in cui vengono costruiti i natanti. L’estrema differenziazione e personalizzazione dell’offerta, per dare un ordine di grandezza, Opacmare può produrre un solo pezzo in un anno per un cliente oppure produrne fino a 15, rende cruciali i processi di supply chain che interessano tre dipartimenti: acquisti, pianificazione e magazzino.
Il cammino alla servitization passa dalla voice of the customer
Gli accadimenti degli ultimi anni hanno avuto un impatto determinante in termini di criticità nell’approvvigionamento. Noti fenomeni come la pandemia, la guerra in Ucraina, la mancanza di componenti elettronici e l’aumento esponenziale dei costi di trasporto si intersecano con questioni specifiche come quella della deforestazione. “Acquistiamo legno, acciaio, e vetro” chiarisce Allione, aggiungendo che “è stato necessario cambiare approccio con i clienti, ma soprattutto con i fornitori. Ad esempio, abbiamo dovuto estendere i nostri tempi di approvvigionamento fino a un anno”.
A valle, per limitare l’impatto sul cliente finale, Opacmare si serve di una scuola tecnica per formare i tecnici interni, quelli delle officine che fanno parte del suo network e i tecnici di bordo. Nei prossimi 5 anni la sua servitization si fonderà sulla “voice of the customer”, su interventi rapidi e continuativi, competenza sui prodotti meccatronici installati sulle barche e approccio green. Ma si baserà anche sull’integrazione di sensori nei prodotti per poter ottenere informazioni da remoto e identificare gli eventuali interventi di manutenzione necessari. “Un punto di forza su cui stiamo lavorando con i nostri partner tecnologici è proprio la gestione dei dati” ha sottolineato infatti Allione.
Design-to-operate, la proposta di SAP per la servitization
Proprio su quest’ultimo punto si è concentrato l’intervento di Alessandro Passoni, Head of Digital Supply Chain Center of Excellence EMEA South di SAP. “Dobbiamo aiutare i nostri clienti a connettere tutti i processi. Per capire come far fronte alle richieste di mercato è necessario analizzare un ambiente dati che proviene da un ecosistema sempre più vasto” spiega.
All’interno di questo ecosistema, che va dai clienti ai fornitori, SAP definisce la sua value proposition come “design-to-operate”. In pratica, l’obiettivo è quello di fare in modo di riuscire a “interloquire con i fornitori nella fase di disegno di una soluzione o di un servizio, creando un vero e proprio digital twin”. Il secondo pilastro del design-to-operate è quello di contestualizzare ogni decisione, che Passoni illustra nel modo seguente: “Nel costruire un processo che metta in sequenza tutte le operazioni che devono avvenire in maniera strutturata e pianificata, si raccoglie una massa critica di informazioni interne ed esterne all’azienda. Nell’ottica della servizitation significa essere flessibili, essere in grado di adattare i modelli in funzione delle esigenze di mercato e pianificare meglio”.
La strada verso il modello dell’equipment-as-a-service
L’approccio design-to-operate, in sostanza, si candida a diventare la chiave della servitization poiché mira a spostare la strategia dalla vendita del prodotto verso quella del prodotto e dei servizi in maniera congiunta. È un cambiamento radicale che si riverbera sulla modalità di conseguire i ricavi, che adesso vengono diluiti nel tempo, lungo gli anni che corrispondono al service lifecycle management.
Servitizzare, tuttavia, è una tematica molto vasta, che può avvenire con step successivi a seconda del prodotto e dell’industria interessati. Si può iniziare con il servizio di manutenzione, poi con la parte relativa ai ricambi per poi finire con la vendita delle informazioni. “Il prodotto diventa così digital product” ha affermato in conclusione Passoni, chiarendo che “prodotto e servizio come entità correlata portano all’ultimo step nel cammino della servitizzazione: l’equipment-as-a-service”. L’EaaS, infatti, è una declinazione molto spinta dell’as-a-service, poiché implica che sistemi e macchinari non siano più forniti come strumenti autonomi, ma in forma di servizio onnicomprensivo a fronte del pagamento di un canone.
Contributo editoriale sviluppato in collaborazione con SAP