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Smart products: il valore per i modelli circolari

La capacità dei prodotti di collegarsi alla rete e condividere informazioni lungo la supply chain permette di abilitare iniziative di servitizzazione e disegnare business model alternativi basati sul riutilizzo e sul riciclo, a tutto vantaggio della crescita sostenibile

Pubblicato il 14 Dic 2023

smart products

Oggi qualsiasi impresa deve perseguire un duplice obiettivo, combinando profitti e sostenibilità. La trasformazione digitale è la chiave per innescare il ciclo virtuoso, che partendo dai dispositivi connessi permette di attivare modelli di business alternativi e data-driven, in grado di ridurre le inefficienze e fare bene all’ambiente. Andrea Colombo, Cloud Innovation Managing Director di Avvale, porta a riflettere sul tema della crescita green, illustrando la visione aziendale.

La tecnologia come chiave di sostenibilità

“La revisione dei processi in ottica circolare – esordisce – accompagnata dall’adozione di tecnologie innovative permette di generare il profitto sostenibile”. La rivoluzione verde, sottolinea, si basa su tre fattori principali: la produzione di energia da fonti rinnovabili; l’impiego di materiali riciclabili e riutilizzabili; il ridisegno dell’operatività attraverso l’ICT perché l’azienda possa sfruttare tali energie e materiali sostenibili.

“Oggi – prosegue Colombo – la tecnologia è pervasiva: infatti interviene a supporto delle azioni quotidiane, ma può anche contribuire alla salvaguardia del pianeta. Ad esempio, la connettività e l’intelligenza a bordo dei prodotti permettono lo scambio continuo delle informazioni lungo la filiera di approvvigionamento, abilitando così la possibilità di un ciclo di vita alternativo, basato sul riutilizzo e sul riciclo”.

Opportunità di innovazione grazie agli smart products

La tecnologia oggi è sufficientemente matura per scatenare la “svolta” green tanto auspicata. Se inizialmente la digitalizzazione era vista solo come un driver di ottimizzazione ed efficienza operativa, oggi può portare alla definizione di modelli di business innovativi, a tutto vantaggio della sostenibilità.

“Ad esempio – afferma Colombo – nell’ambito dell’industria 4.0 si inseriscono le logiche della servitizzazione: il prodotto viene venduto (o sempre più frequentemente noleggiato) con tutta una pletora di servizi a corollario, che ne arricchiscono le funzionalità e permettono di accrescere i margini di profitto. Grazie alle caratteristiche smart, il prodotto può connettersi alla rete e, con o senza l’intermediazione di una mobile app, può offrire servizi aggiuntivi all’utente e trasmettere i dati d’utilizzo al fornitore. Così il produttore e i partner ricevono informazioni utili sulle modalità di funzionamento e impiego del dispositivo, con la possibilità di migliorare continuamente il prodotto e i servizi correlati, anche in ottica di efficientamento e riduzione degli impatti”.

Passare a un modello orientato ai servizi significa spostare maggiormente l’onere dei costi di produzione e manutenzione sul produttore, che forzatamente dovrà realizzare prodotti con una vita utile più lunga, più facilmente riparabili e che consumano meno risorse, considerando che il guadagno deriverà dai minori costi di esercizio e non dalla vendita di una nuova macchina o di costose parti di ricambio. Inoltre, processi come la manutenzione predittiva e il monitoraggio remoto delle performance mantengono la macchina più in salute e la rendono anche più efficiente.

Dispositivi connessi per innescare business alternativi

Nel processo di raccolta, trasferimento e utilizzo dei dati provenienti dagli smart products intervengono diverse tecnologie, tipiche delle applicazioni IoT (Internet Of Things). “Oltre chiaramente ai dispositivi e ai sensori intelligenti – spiega Colombo – occorrono le piattaforme digitali che permettono di collezionare, validare e organizzare le informazioni centralmente, abilitando dei veri e propri ecosistemi collaborativi”.

Da qui i dati raccolti possono essere analizzati restituendo valore all’azienda, con la possibilità di innovare i prodotti e studiare business model alternativi, indirizzati alla circolarità economica.

Come sostiene Colombo, la connettività dei prodotti è il vero motore di trasformazione perché permette di raccogliere e sfruttare i dati su cui innestare tutta una serie di servizi innovativi. “Ad esempio – asserisce – la manutenzione predittiva all’interno degli impianti industriali, che permette di intercettare e risolvere tempestivamente potenziali guasti grazie agli analytics, non potrebbe sussistere senza la presenza di macchinari intelligenti, che trasmettono in tempo reale i dati necessari alle analisi”.

La servitizzazione è una leva competitiva

Insomma, se un produttore vuole offrire ai clienti un servizio di predictive maintenance per i suoi macchinari, ottenendo così ulteriori fonti di revenue, deve fare affidamento sulle tecnologie IoT e sulla connettività. Fornire questo tipo di servizi porta ad avere un fattore differenziante generando una sorta di lock-in con il cliente, perché il prodotto-servizio soddisfa dei bisogni avanzati che altri non coprono.

“La servitizzazione – dice Colombo – è una leva competitiva. Se un’azienda non è in grado di cogliere l’opportunità, subentrerà un altro attore al suo posto. Ad esempio, i costruttori automotive non hanno sviluppato il business del car sharing, oggi gestito da aziende ‘intermediarie’ che comprano e noleggiano i veicoli, frapponendosi tra il produttore e l’utente finale”.

C’è anche un altro aspetto da considerare: le aziende B2B perdono il contatto con il consumatore ed è un fenomeno estremamente pericoloso. Infatti, come sostiene Colombo, se non si conosce il cliente finale, si rischia di perdere la consapevolezza del mercato e quindi di essere intermediati da attori terzi.

“I dati che provengono dai prodotti connessi – suggerisce Colombo – permettono di recuperare e approfondire la conoscenza dei consumatori. Ancora una volta, la capacità di raccogliere e analizzare le informazioni IoT gioca un ruolo decisivo”.

Come sbloccare il potenziale dei progetti

Insomma, cavalcare l’onda è vitale per qualsiasi organizzazione e in quest’ottica Avvale si propone come partner a fianco delle aziende per realizzare progetti di servitizzazione, nell’ottica di migliorare revenue e sostenibilità.

“Ci sediamo insieme ai clienti – racconta Colombo – per costruire assieme un percorso, che tuttavia non è immediato. Non tutti i business, infatti, si prestano alla servitizzazione e occorre un’attenta valutazione. Individuate le attività profittevoli, il nostro compito è abbinare revisione dei processi e utilizzo della tecnologia per sbloccare il potenziale dei progetti e le rendite derivanti dall’offerta di servizi”.

Il perno per iniziative di successo è una combinazione di tecnologie: gli smart product che trasmettono i dati; il cloud come “tessuto poggiante dell’intero disegno” dove confluiscono centralmente le informazioni; le API (Application Programming Interface) che “come un filo” permettono di cucire tra loro le diverse componenti; le piattaforme di data management e analytics che permettono di sfruttare il patrimonio informativo disponibile, estraendo valore per il business.

Tutto ruota attorno al dato

“Avvale – prosegue Colombo – ha maturato una profonda competenza sulle soluzioni di Enterprise Resource Planning, Performance Management e gestione delle Operations, ovvero sugli ecosistemi collaborativi che permettono di attraversare l’azienda e pervadere i processi con i dati. Siamo esperti anche sul mondo delle Data Platform, altro tassello fondamentale nei progetti di servitizzazione”.

Insomma, tutto ruota attorno alle informazioni e alla capacità di trasformare i dati grezzi in evidenze utili. “Prima si diceva – sottolinea Colombo – che i dati rappresentassero ‘the new oil’ ovvero “il nuovo petrolio”, mentre oggi sono il ‘soil’ cioè il “terreno” dove innestare la rivoluzione digitale. L’espressione suggerisce proprio l’idea che a partire dalle informazioni si possa costruire un profitto sostenibile, basato sull’oggettività delle misurazioni e delle analisi. Insomma, per essere efficaci, le strategie aziendali non possono prescindere dalla capacità di raccogliere, organizzare e processare i dati”.

Chiaramente, come nota Colombo, al tema della data governance, bisogna aggiungere la predisposizione dell’azienda a cogliere l’innovazione, con particolare riferimento a cloud adoption, app modernization, intelligenza artificiale, blockchain.

Competenze e metodo, oltre alla tecnologia

“Avvale – aggiunge Colombo – nasce con un DNA tecnologico e può supportare i clienti nell’implementazione delle nuove soluzioni. Tuttavia, per realizzare iniziative di servitizzazione, servono anche competenze progettuali, capacità di design thinking e un approccio metodologico strutturato che permetta di ridefinire i processi di business. Occorrono quindi capacità di service design per ridefinire il portafoglio dell’offerta, competenze IT perché la progettazione dei servizi non prescinde dalla tecnologia sottostante, conoscenze metodologiche per sfruttare i modelli Agile come Kanban e Scrum, abilità nella gestione delle iniziative una volta implementate. Servono nuove figure professionali come il servitization manager e corsi di formazione specifici per l’evoluzione degli skill”.

Infine, quando si avviano progetti di servitization, non bisogna trascurare il tema economico ed ecologico. Come chiarisce Colombo, innanzitutto occorre valutare quanto un business sia idoneo al processo di servitizzazione e, in caso positivo, definire una strategia coerente, che includa il calcolo dei rischi, la definizione dei contratti, la richiesta di eventuali finanziamenti e così via. Inoltre, bisogna essere in grado di misurare la sostenibilità dell’iniziativa, in termini di consumi e impatto ambientale.

Una risposta completa alle necessità progettuali

“Possiamo seguire le aziende – dichiara Colombo – nei percorsi di servitization, offrendo un indirizzo per le diverse sfide metodologiche, tecnologiche e finanziarie. Nel corso degli anni infatti abbiamo sviluppato prodotti e best practice ad hoc. Inoltre, organizziamo programmi di formazione sulla servitizzazione, anche in collaborazione con altri istituti come il Politecnico di Milano”.

Avvale è presente anche sul tema della sostenibilità, con servizi di governance e una piattaforma software proprietaria per la misurazione degli indicatori ESG. L’attenzione verso l’ambiente si traduce inoltre nelle strategie di Green IT aziendali. “Ereditiamo le best practice di efficienza e sostenibilità – spiega Colombo – dai grandi hyperscaler con cui lavoriamo come partner certificati.

Inoltre, le appliance software che sviluppiamo per i clienti sono concepite secondo le buone pratiche della progettazione applicativa, perché siano efficienti nell’utilizzo delle risorse, contribuendo a ridurre consumi, costi e impatto ambientale”.

Insomma, la proposizione della società parte dalla tecnologia ma si estende a tutta una gamma di aspetti non trascurabili quando si affrontano progetti di innovazione. “Il nostro obiettivo – conclude Colombo – è lavorare per costruire un profilo aziendale e un portafoglio di soluzioni sempre più completo per supportare le aziende nei percorsi di crescita sostenibile”.

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