Social customer care: avvertenze per l’uso

Sempre più aziende stanno adottando i social media come canale privilegiato di customer care. Ma come si gestisce un sistema che dà a tutti la parola e permette ai clienti di “gridare ai quattro venti” le proprie ragioni? L’Smx di Milano è stato l’occasione per fare una lista di cosa non fare se si vuole sopravvivere nel “campo di battaglia” del social customer care.

Pubblicato il 23 Mag 2014

Preziosi alleati o pericolosi nemici. I social network applicati al customer care sono un terreno minato e solo conoscendo molto bene le regole del gioco è possibile trovare la via per renderli uno strumento efficace di servizio al cliente, e non, al contrario, motivo di disaffezione verso l’azienda. Non è ancora semplice orientarsi e, anche se è ormai qualche anno che le aziende stanno lavorando con questi mezzi, siamo di fatto in una fase di test e tentativi, di esperimenti per capire “cosa funziona e cosa no”, cosicché il confronto tra gli addetti ai lavori è estremamente prezioso per scambiarsi consigli ed evitare che l’avventura si trasformi in disavventura. Al recente Smx (Search & Social Media Marketing) di Milano, alcune aziende hanno raccontato la propria esperienza sul tema social customer care, svolto in particolare tramite Facebook e Twitter. Queste le “avvertenze per l’uso” che abbiamo raccolto basandoci soprattutto sulle testimonianze di Ferrovie dello Stato e 3 Italia. Ecco cosa non fare per evitare spiacevoli “effetti collaterali”:

Federico Cominotto, Web Marketing and Social Media di 3 Italia

Non sbagliare social – Ogni social ha le sue peculiarità ed è quindi necessario scegliere con cura il più adatto alla propria realtà aziendale. Se si confrontano i due più utilizzati, Facebook e Twitter, il primo, per esempio, è percepito come più “pericoloso”: l’utenza è più ampia e diversificata e più facilmente la bacheca del social diventa lo spazio per estesi sfoghi fini a se stessi di non facile gestione (ricordiamo peraltro che per quanto si parli di “customer care”, e vale anche per Twitter, tutti possono porre domande, clienti e non). “Facebook è una scelta coraggiosa – ha detto Federico Cominotto, Web Marketing and Social Media di 3 Italia – perché si ha a che fare con un muro dove chiunque può andare a scrivere, e lo fa!”. Rispetto a Twitter più facilmente ci si imbatte in utenti che non stanno cercando risposte, ma vogliono solo “urlare” il proprio malcontento: “Con Facebook bisogna capire in fretta se il cliente è lì solo per parlare, per esternare qualcosa, e non per trovare una soluzione a un problema”. Nel primo caso, ha proseguito Cominotto, l'utente può essere solo calmato arginando i danni, rispondendo sempre alla luce del sole, così che tutti possano seguire l’interazione, e tenendo l’opzione del bando dell’utente dalla pagina come ultimissima spiaggia, dopo aver fatto tutti i tentativi per instaurare un’interazione ragionevole. Affinchè l’azienda mantenga la propria credibilità affrontando anche i clienti più difficili la trasparenza è d’obbligo (ecco un’altra “avvertenza per l’uso” in campo social customer care: non nascondere!), come è fondamentale pubblicare delle “regole etiche” di interazione per essere giustificati nel caso di un'eventuale estromissione dalla pagina. Non è un caso che Fs abbia preferito puntare su Twitter che risulta meno congeniale a sfoghi fini a se stessi: come ha spiegato Elisabetta De Grimani, Head of Web and New Media Division di Fs Italiane, date le peculiarità di una realtà come Ferrovie dello Stato, con una clientela vasta e variegata (9000 treni gestiti quotidianamente per un totale di 1,3 milioni di passeggeri), per cui basta poco perché si creino focolai di protesta, l’apertura di una pagina Facebook sarebbe stata controproducente. Meglio Twitter, più calzante anche per altre ragioni: “Ci rivolgiamo a un pubblico che è prevalentemente in mobilità, Twitter è lo strumento ideale perché nasce per questo tipo di utilizzo”, ha detto De Grimani.

Non sbagliare i tempi di risposta – L’interazione col cliente dev’essere veloce. Questa regola di base non sempre è seguita con l’assiduità che meriterebbe. Lasciare l’utente senza un rapido feed back, fosse anche un palliativo come “Stiamo prendendo in carico la richiesta”, sui social è motivo di forte irritazione. Qualcuno arriva a dire provocatoriamente e per eseprienza diretta, trattandosi del social media manager di una grande azienda: “Su Facebook paga più una risposta veloce che una risposta corretta”. Ma c’è chi ci tiene a precisare: “Bisogna replicare in tempi brevi, verissimo, ma il contenuto dev’essere anche intelligente, questa è la difficoltà. Una risposta anche corretta, ma non ragionata può trasformare quel ‘muro’ in un problema”, ha detto Cominotto, che ha poi precisato come, parlando di velocità di risposta, mettendo i due social sul piatto della bilancia, Twitter sia il più delicato: “Su Twitter, più ancora che su Facebook, il cliente pretende un feed back rapido perché è uno strumento pensato per interazioni in tempo reale”.

Non essere autoreferenziali – Come è stato giustamente fatto notare, Facebook va letto in “due direzioni”: mentre si gestiscono le domande che vengono dall’esterno, dalla clientela, non bisogna dimenticare che sulla bacheca c’è la possibilità di pubblicare dei contenuti. È importante che vengano selezionati con cura, evitando d’eccedere in troppe promozioni commerciali: “Ogni giorno scegliamo un engagement [“tema per coinvogere il visitatore”- ndr] diverso. Dei post schedulati durante la giornata solo due su otto sono prodotti, il resto è studiato per suscitare interesse e attrarre sulla pagina”, ha spiegato Cominotto. Interessante il caso Sorgenia, fornitore privato in Italia di energia elettrica e gas naturale, che tenendo al centro il tema efficienza energetica e sostenibilità ambientale, propone sui propri social contenuti accuratamente scelti, approfonditi anche tramite il blog “Ecopensiero” e il web magazine “Energie Sensibili” (aggiornato da una redazione dedicata, è tra l’altro un buon esempio di brand journalism, una sorta di ufficio stampa di nuova generazione, dove le aziende si affidano a competenze giornalistiche per comunicare al proprio pubblico).

Andrea Farinet, Professore di Marketing Relazionale, Crm e Psicologia del Consumo presso l’Università Cattaneo (Liuc)

Non chiedere prima di dare – “Dal web 2.0 che vuol dire condivisione, elementi e contenuti che scambio con altri, ci stiamo predisponendo al web 3.0 che è interazione”, ha detto Andrea Farinet, Professore di Marketing Relazionale, Crm e Psicologia del Consumo presso l’Università Cattaneo (Liuc), che ha fatto notare come per rapportarsi a questo nuovo mondo, dove appunto l’utente desidera uno scambio diretto con l’azienda, sia necessario prendere coscienza che l’interlocutore è cambiato. “La crisi ha posto in grande emersione una serie di fenomeni latenti tra cui la forte distanza emotiva e cognitiva tra domanda e offerta. Lo dicono tutte le ricerche: questo nuovo cliente è stanco dell’offerta. Il marketing basato su seduzione, manipolazione, creazione di nuovi bisogni è morto in quasi tutti i settori”. Subentra invece la reciprocità, dove “prima si offre, poi si chiede”, e Farinet si riferisce in particolare all’utilità di adottare sistemi che non richiedano registrazioni per l’utilizzo: come visitatore, prima di consegnarti i miei dati (quanto siano preziosi per le aziende è ormai chiaro a tutti), voglio che il servizio sia disponibile, che l’azienda offra i propri “servigi” lasciandomi almeno in partenza il piacere – ormai raro – dell’anonimato.

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