“Nell’ambito dell’open innovation abbiamo avuto diversi contatti: abbiamo parlato e lavorato con tutte le major tech italiane; ma nessun progetto ha poi visto la luce. I team di open innovation italiani ancora stentano ad essere efficaci. In sostanza c’è volontà da parte loro di interagire con le startup ma poi, quando si va verso accordi commerciali, perdono di potere e si resta impantanati”.
Così Fabrizio Cialdea, Ceo e co-fondatore di Atooma, per la quale essere prima classificata nel programma Ego 2015 (il progetto della Fondazione Lars Magnus Ericsson e di Ericsson in Italia che seleziona, ospita e accelera startup in ambito Ict) è stato il più recente dei riconoscimenti e ha, ad oggi, raccolto 800mila euro di finanziamenti. Dopo un periodo di accelerazione 2012 presso Enlabs e, l’anno successivo, presso Mind The Seed (USA), l’azienda collabora con diverse aziende e centri di open innovation per lo più localizzati in California come quelli di Samsung, LG, Alcatel One Touch.
Atooma, dopo il successo iniziale della App per Smartphone capace di automatizzare funzioni e azioni ricorrenti (1,5 milioni di utenti), ha fatto una svolta radicale, scegliendo di creare un software per aziende integrabile su larga scala nel mondo dell’Internet delle cose.
“Il tempo è denaro ed è un detto che vale a maggior ragione per le startup”, incalza Mauro Di Giamberardino, co-founder & Ceo di Smart-i, che denuncia i troppi passi necessari per definire una collaborazione e la necessità di molte riunioni di cui spesso non si capisce il senso e a cui partecipano incaricati senza potere decisionale. “Se la grande impresa vuole davvero trarre vantaggio dall’innovazione dovrebbe creare al suo interno una startup, con una catena gerarchica ridotta al minimo, obiettivi chiari e poche persone, ma responsabili”, suggerisce, riconoscendo peraltro lo sforzo positivo in questa direzione da parte di un soggetto come Enel (vedi articolo Startup strategy: il caso Enel).
Smart-i ha messo a punto una soluzione (SmartEye) per affrontare il tema dell’illuminazione pubblica, terza voce di bilancio delle amministrazioni locali. Installato sui lampioni, SmartEye non si limita a regolare l’illuminazione, con risparmi di energia fino al 60%, ma può fornire servizi di monitoraggio anche diurni su parcheggi, traffico, sicurezza. Grazie ad Enel, l’azienda ha potuto ricevere ulteriori finanziamenti (250mila euro a fondo perduto) e una partecipazione di minoranza (24%) di Enel stessa. E oggi, dopo diverse installazioni in citta italiane, punta all’estero, verso Paesi come UK, Germania, Spagna e Sud America, con il supporto di Enel.
Un’altra startup partecipata da Enel (al 30%), I-Em, nascendo come spin-off di Flyby, può sfruttare la consuetudine della casa madre riguardo a partnership internazionali all’interno di progetti europei co-finanziati, a collaborazioni con medie imprese del settore aerospaziale e grandi aziende come Finmeccanica. “Quando l’innovazione è spinta e prevede un brevetto, l’interlocutore naturale è il leader del settore – sostiene Emilio Simeone, CEO i-EM Srl e aggiunge – Con le grandi imprese il rapporto si configura attraverso l’erogazione di servizi, quando sono maturi, o licenze software”. i-EM sviluppa prodotti dedicati alle energie rinnovabili, tra i quali un sistema per la supervisione remota degli impianti rinnovabili, un sofisticato software di forecasting dedicato al solare e all’eolico, una soluzione per l’efficienza energetica rivolta al settore industriale.
Più legata al territorio ferrarese, dove è nata, è la storia di Scent, startup basata sullo sviluppo di tecnologia in campo medico (riduce i costi e semplifica lo screening per gli adenomi al colon retto) e vincitrice del premio Marzotto, ancora concentrata nella fase di realizzazione di test reali, con rapporti stretti con il mondo universitario e il mondo medico/ospedaliero. Oltre a finanziamenti europei, Scent ha potuto contare soprattutto su finanziamenti da imprenditori e professionisti che hanno creduto nel progetto. Ma anche in questo caso non manca la prospettiva internazionale grazie alla partecipazione a un bando europeo in ambito Horizon2020 in partnership con un’azienda francese, come ricorda Cesare Malugù, Presidente e azionista di maggioranza di Scent.
Startup innovative, esempi di relazioni complicate
“Non abbiamo difficoltà ad avere relazioni dirette con le aziende italiane grazie a fondatori con elevata seniority, e attraverso partner”, spiega Antonio Conati Barbaro, Ceo e fondatore Alleantia, startup innovativa focalizzata su Industry 4.0, che grazie alla partecipazione all’acceleratore di impresa tedesco Techfounders, ha avviato un progetto pilota con Festo, una delle imprese che sostengono l’incubatore insieme a Bmw, Bosch e Siemens. Tuttavia non sempre la relazione è facile. “L’aspetto più problematico è il disallineamento fra i tempi delle grandi organizzazioni aziendali e quelli delle startup che seguono una logica di innovazione per tentativi. Questo modello non è facilmente applicabile quando l’innovazione della tecnologia incide sui processi, come nel caso della nostra soluzione”, sottolinea Conati Barbaro, che lamenta soprattutto le lentezze decisionali: “Ci sono casi di grandi aziende che operano con il proprio team di innovazione attraverso società di consulenza e che dopo oltre un anno devono ancora decidere, mentre i tempi sono importanti per la open innovation”. Vita difficile per le startup che operano secondo un approccio lean!
Sempre nel settore della fabbrica 4.0, Stoorm5, una piattaforma di servizi per l’IoT, nasce con una dimensione internazionale, grazie a finanziamenti europei a fondo perduto e la partecipazione al progetto europeo Fiware, con una fase di incubazione ad Amburgo e Copenhagen. Ma attualmente rivolge particolare attenzione al tessuto produttivo locale dell’Emilia-Romagna, specializzato nel manifatturiero e nel biomedicale, dove ci sono “aziende all’avanguardia sul core business ma non sull’Ict – spiega Carlo Giannelli, fondatore della startup – Non offriamo un prodotto a sé stante ma affianchiamo le imprese per adottare la tecnologia al meglio. In questo contesto il Cio è uno dei referenti, con cui le relazioni sono più facili visto anche il comune linguaggio, ma interviene soprattutto in fase di realizzazione, mentre le decisioni vengono prese da altre funzioni, quelle che dispongono del budget”.
Solo raramente il Cio è il principale interlocutore delle startup, anche secondo le altre testimonianze; ed entra in gioco prevalentemente per aspetti operativi e tecnologici.
L’auspicio e la necessità è che si candidi a diventare un ponte tra i due mondi. Ne avrà la capacità e il coraggio?
Good news dal mondo startupL’Osservatorio Startup Hi-tech, realizzato da Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e da Italia Startup rileva qualche buona notizia. Gli investimenti in startup, pur restando di un ordine di grandezza inferiori a quelli di Francia e UK e metà di quelli della Spagna, sono cresciuti in Italia dell’11% nel 2015 (arrivando a 133 milioni di euro), con un incremento del 32% degli investitori non istituzionali. Le startup del settore Ict restano, come nel 2014, le startup più finanziate e concentrano il 74% dei fondi. Crescono anche il fatturato medio (+26%) e il numero dei dipendenti (25%) delle startup e quello delle startup finanziate dove il valore raggiunge in media i 756mila euro. Niente di più lontano dai cosiddetti unicorni: quelle realtà valutate oltre 1 miliardo di dollari, orientate al pubblico di massa, fondate da imprenditori giovanissimi. Le attività delle italiane sono prevalentemente B2B (oltre 47% dei casi) o B2B2C (quasi il 35%) e i fondatori, come evidenzia l’indagine di Italia startup, non sono giovani geni con intuizioni disruptive, ma persone con età compresa fra 30 e 49 anni, che hanno maturato un’esperienza professionale prima di fondare la nuova impresa e una formazione medio-alta (laurea + master). |