Alla domanda sui suoi interessi, risponde “la vita è così ricca di possibilità che è difficile dire cosa uno preferisca” e me ne dà un esempio: matematico di formazione, ha fatto corsi di sommelier e ha appena preso la patente nautica, ha seguito seminari sulle neuroscienze, una retrospettiva dedicata a Tarkowskij (“insieme ad altre 5 persone in sala!”, scherza), corsi di teatro; suona il pianoforte, è un “modesto” sportivo, praticando running e triathlon ed è presidente di un’associazione sportiva dilettantistica. Sposato, 3 figli ancora piccoli, Stefano Brandinali, Group CIO e Chief Digital Officer di Prysmian e una lunga esperienza internazionale in ruoli apicali dell’IT di realtà come Kraft, Bolton, Ferrero e WBA, ha un sorriso aperto e la sua risposta dice molto di una persona che approccia la vita con positività, ottimismo e curiosità, al punto da dichiarare: “Amo il pensiero divergente”.
Altrettanto esplicativa è la descrizione della sua “giornata tipo” (che non c’è): “Amo essere trascinato dagli eventi e ho la capacità di farmi entusiasmare come un bambino dalle cose che ci circondano. Del resto, in famiglia e per gli amici, io sono quello del piano B: se una cosa per un qualche motivo non si può fare, propongo subito un’alternativa. Del resto, ritengo di essere molto fortunato, viviamo nella parte ricca del mondo, in una regione democratica, da 80 anni non subiamo guerre …”.
Una positività che si rispecchia anche nel modo di vivere un ruolo particolarmente delicato come il suo: “La mia giornata quindi è fatta di sorprese nella maggior parte dei casi positive. Ho la fortuna di guidare un team di validi professionisti con il quale siamo riusciti a costruire un’architettura dei sistemi informativi che eroga un servizio di elevata qualità e non mi sveglio mai con il pensiero che possa esserci qualche problema”.
Infrastruttura solida e innovazione: il matrimonio vincente
ZeroUno: Una serenità professionale che non è facile trovare in manager che ricoprono il suo ruolo in realtà delle dimensioni di Prysmian…
Stefano Brandinali: È possibile anche perché l’azienda ha creduto nella visione strategica del ruolo dell’IT e questo mi ha permesso di costruire un’architettura solida e, nel contempo, di vivere pienamente quella che ritengo debba essere una nostra funzione fondamentale: fa vedere agli altri il mondo che ancora non c’è.
Sono entrato in Prysmian nel novembre 2015 trovandomi in un gruppo di lavoro solido, ma ancora un po’ tradizionale, orientato a una missione classica dell’IT come erogatore di servizi. Dopo avere condiviso con la direzione la mia visione, ho completamente cambiato l’organizzazione dei sistemi informativi; oggi posso dire che ben pochi fanno il lavoro che facevano 4 anni fa, ho cercato di valorizzare da subito il patrimonio umano preesistente offrendo nuove opportunità di sviluppo e di carriera.
ZeroUno: Prima di chiederle quali sono i pilastri di questa visione, mi interessa capire quali sono stati gli elementi principali di questo cambiamento organizzativo….
Stefano Brandinali: In primo luogo abbiamo adottato il modello bimodale di Gartner dove convivono all’interno dei sistemi informativi una parte di IT “tradizionale” che governa lo sviluppo e la gestione dell’infrastruttura tecnologica e una parte “innovativa” che interpreta quel ruolo di motore del cambiamento che ritengo indispensabile.
ZeroUno: Ma questo non rischia di avere due velocità all’interno della stessa azienda? O di avere disallineamenti tra chi porta avanti l’una o l’altra modalità?
Stefano Brandinali: No se la bimodalità è all’interno della stessa struttura con un’unica direzione e infatti io ho due “biglietti da visita”: sono Group CIO e Chief Digital Officer, per la prima funzione riporto al Chief Financial Officer, per la seconda al CEO. Ritengo che questo modello organizzativo sia il migliore: avere sotto la stessa direzione l’IT tradizionale e l’IT innovativo permette a chi lavora nel secondo di fare salti in avanti, ma con il senso della realtà e a chi opera nel primo di non affossarsi su posizioni statiche. Non dico che altri modelli non abbiano i loro vantaggi ma questo consente di guardare al futuro con il senso della realtà.
Siamo organizzati con una linea di relazione diretta con il business, ho creato infatti una rete di 7 business partner che lavorano in matrice debole con il gruppo di delivery; questo vuol dire che queste persone, pur avendo un ruolo apicale (sono i miei riporti diretti), non gestiscono persone e non gestiscono budget. La capacità di sviluppare sistemi e soluzioni per una certa funzione di business è legata alla loro capacità di negoziare, collaborare con il business. Quando abbiamo creato questo ruolo, abbiamo lavorato molto sulla sua descrizione e abbiamo identificato 4 aree di intervento: la prima è il classico demand management; la seconda è che i business partner partecipano a tutto il ciclo di vita della soluzione, dalle fasi di progettazione a quella di delivery, sono quindi co-autori di quanto viene rilasciato; il terzo punto, ed è quello che fa la differenza, è che sono responsabili del livello di servizio che viene erogato dalle piattaforme di loro competenza; il quarto punto è che devono essere promotori di innovazione.
ZeroUno: Punto molto delicato quest’ultimo, soprattutto in un’azienda che ha un business apparentemente molto tradizionale [Prysmian è uno dei più importanti gruppi industriali italiani con un fatturato intorno ai 12 miliardi di euro, con alle spalle 140 anni di storia dato che l’azienda nasce nel 2005 dall’acquisizione delle attività Cavi e Sistemi Energia e Cavi e Sistemi Telematici di Pirelli ndr]. Può farci un esempio concreto?
Stefano Brandinali: La business partner delle operation ha proposto di utilizzare la RPA (Robotic Process Automation) al mondo degli acquisti raccontando loro che la RPA si sta sviluppando con un certo successo nelle aree amministrative per l’automazione dei processi ripetitivi, ma che si poteva provare a pensare come potesse essere invece applicata a processi più critici come l’acquisto dei metalli. Come ho già avuto modo di raccontare a ZeroUno, l’acquisto del rame e dell’alluminio, materie prime che sono utilizzate come conduttori nei cavi, è un’attività che si basa su anni di esperienza, ma anche sul fiuto e sull’intuizione. Automatizzarla non era un’attività banale, anche per le inevitabili resistenze che avrebbero potuto sollevare i buyer specializzati, invece l’abilità della business partner responsabile del progetto è stata proprio quella di rendere evidente che questa soluzione avrebbe consentito alle persone del procurement di concentrarsi su aspetti più critici e complessi del processo.
Una visione strategica dell’IT come motore di cambiamento
ZeroUno: E adesso torniamo alla visione strategica dell’IT. Quali sono i punti fermi che la contraddistinguono?
Stefano Brandinali: Intanto devo specificare che la strategia per me è il perimetro del campo da gioco, l’area oltre la quale non ha senso andare: più che indicarti cosa devi fare, la strategia definisce cosa non devi fare. In questi primi 4 anni, perché adesso siamo in fase di revisione, si è appoggiata su quattro pilastri che abbiamo chiamato il nostro abbecedario: One, B C D
“One” sta per “one principle”, ossia il principio unificatore: siamo un’azienda globale e quindi dobbiamo pensare in modo globale e non per somma di localismi; quindi lavoriamo su sistemi globali e le infrastrutture sono uniche che si operi a Milano o a Singapore. A dirlo sembra una banalità, ma questo principio nasconde una enorme lavoro di organizzazione e di standardizzazione e richiede una grande competenza tecnologica. Una competenza che vuol anche dire sapersi raccontare: questa parte è il classico lavoro dell’IT, ma non dobbiamo enfatizzarlo troppo perché a nessuno interessa cosa sta dietro questa complessità, l’importante è che tutto funzioni. Se raccontiamo queste cose con un linguaggio tecnico diventiamo subito l’IT incomprensibile dei “bit & byte”, dobbiamo invece utilizzare sempre il linguaggio dei vantaggi che una determinata attività porta. Su questo punto non c’è stata discussione con la direzione, è in pratica quello che l’IT ha sempre fatto, è cambiato solo il modo di raccontarlo.
“B” sta per business proximity, ed è quello che abbiamo concretizzato con la rete di business partner. Un punto della strategia IT che è stato fortemente condiviso dal top management che, quando mi ha chiamato a ricoprire la carica di Global CIO, pur essendo soddisfatto dei sistemi informativi esistenti, sentiva che c’era bisogno di qualcosa di diverso.
“C” sta per cloud first e questo è un punto che è stato più difficile da far digerire. Ho quindi iniziato a indagare i motivi sui quali si basava l’avversione verso un approccio di questo tipo ed essendomi reso conto che erano motivi, come quello della sicurezza o della privacy, facilmente confutabili ho iniziato a fare coaching utilizzando una logica molto stringente di rapporto costi benefici, approccio che in una società di ingegneri dà sempre ottimi risultarti.
“D” sta per digital e qui c’è voluto un po’ più di tempo, ma ho lavorato su un’altra “debolezza” degli ingegneri: toccare con mano. E allora ho fatto vedere loro quello che si poteva fare con il digitale portando droni in magazzino. In realtà non era un vero e proprio progetto e infatti non è poi stato messo in produzione per problemi di autonomia dei droni, ma per me l’importante era stimolare una curiosità, mostrare, con casi concreti, quello che con il digitale si poteva fare.
ZeroUno: Ha quindi adattato il suo modo di procedere al punto di vista degli altri…
Stefano Brandinali: È fondamentale. Sono attratto dalle differenze e il tema dell’inclusività per me significa essere sempre nella posizione del dubbio: se non ci si capisce, penso sempre di essere io a non avere capito o di non essere in grado di farmi capire e quindi cerco di mettermi sulla lunghezza d’onda del mio interlocutore. Sono così nella vita e sono così nello svolgimento della mia professione.
L’innovazione è una massa viva
ZeroUno: Ma qual è la sua idea di innovazione?
Stefano Brandinali: Per rispondere faccio ancora un caso concreto relativo a Prysmian. Il primo passo per avvicinarci all’innovazione digitale fu fatto nel 2017 quando creai un Innovation Lab e lo feci partendo dalla tecnologia perché quel momento storico lo richiedeva: essendo un’azienda focalizzata principalmente sull’innovazione di prodotto, il modo per generare curiosità era proprio quello di esplorare le nuove tecnologie, magari anche fuori dal loro tradizionale contesto, e utilizzarle come grimaldello per stimolare la curiosità. Da qui è nato il progetto dei droni e poi quello delle bacheche per vedere le sezioni dei cavi con ologrammi invece con i tradizionali sistemi CAD.
Oggi l’innovazione digitale in Prysmian ha cambiato volto ed è una funzione che si occupa di andare a presidiare un’area grigia, quella dello sviluppo del software in un’azienda che fa cavi. È tutta un’area da esplorare dove il software, e quindi il servizio, può affiancare il prodotto fisico. Questa è la digital transformation e l’innovazione in Prysmian, ma non è detto che sarà sempre così e soprattutto non è una ricetta uguale per tutte le aziende.
L’innovazione è una massa viva che cambia a seconda delle aziende e del contesto: non si può dare una definizione oggettiva e assoluta di innovazione.
L’IT è una strategia, la digital transformation è un’ambizione, il cui obiettivo è: capire oggi come costruire la Prysmian del 2030.
ZeroUno: I suoi collaboratori la seguono in questa impostazione?
Stefano Brandinali: Direi di sì. Abbiamo fatto un workshop per capire quali devono essere le nostre fondamenta e il primo punto che ha esplicitato il mio team è stato che dobbiamo prima di tutto essere agente di cambiamento.
Riflessioni su etica e nuove tecnologie
ZeroUno: Oggi, parlando di innovazione e di nuove tecnologie, soprattutto quelle connesse all’intelligenza artificiale, emergono sempre più spesso tematiche legate all’etica e alla responsabilità. Cosa ne pensa?
Stefano Brandinali: Sono un appassionato di intelligenza artificiale, anche per motivi storici perché quando mi sono laureato in matematica (nel 1991) era un momento aureo per l’intelligenza artificiale, si parlava dei sistemi esperti ecc. e oggi mi affascina nuovamente perché c’è veramente una grande possibilità di applicazione. Essendone affasciato ne colgo tutti gli aspetti positivi perché intelligenza artificiale significa predizione, conoscere oggi quello che potrebbe accadere domani e questo è un grande aiuto per la società. Ciò nonostante ritengo ci si debbano porre questioni etiche anche se una risposta etica assoluta, in realtà, non c’è come dimostra la cosiddetta carrellologia [quesito classico della filosofia morale degli ultimi 50 anni: un vagone senza guida sta per investire 5 persone legate ai binari, ma un passante potrebbe azionare uno scambio deviando il vagone che, in questo modo, ucciderebbe 1 persona. Che fare? Apparentemente la risposta è “facile”, ma se le 5 persone fossero delinquenti efferati? Oppure, dal libro di David Edmonds Uccideresti l’uomo grasso?, se il quesito fosse posto in modo da enfatizzare il fatto che la persona sola è un uomo grasso? E via via con innumerevoli variabili… ndr]. Il tema è la classica contrapposizione tra utilitarismo (scelgo il male minore…sebbene sia molto difficile definirlo) e kantismo (l’imperativo categorico, l’etica deontologica), ma la tecnologia oggi è molto poco kantiana.
Quindi, per rispondere alla sua domanda…non ho una risposta, ma ritengo ci debba essere un percorso di riflessione che ci guidi nelle decisioni. È un tema che dovrebbe entrare, come in effetti sta entrando, nelle agende di tutti i governi e degli istituti sovranazionali. Per quel che mi riguarda, per formazione, per natura, per pensiero ho una forte spinta verso l’innovazione e, pur riconoscendo che nell’intelligenza artificiale ci sia un enorme problema di bias relativo ai dati che vengono dati “in pasto” agli algoritmi, penso ci sia comunque un grande vantaggio nel suo utilizzo.
Grazie alle tecnologie digitali, l’informatica sta tornando scrivere codice differenziante e quindi tornano a essere importanti problemi etici o la riflessione su altri temi che riguardano, per esempio, anche lo stesso concetto di best practice. Noi abbiamo accettato che i grandi player ci dicessero quali erano le best practice sulla base di un principio che era: abbiamo visto tanti progetti, li abbiamo ottimizzati e questa è la pratica migliore per fare quel processo. E sono riusciti a convincerci che effettivamente era così, è la logica che ha guidato la diffusione degli ERP: guarda cosa fanno milioni di persone e adeguati, cambia i tuoi processi. In tutto questo ci siamo però dimenticati che la competitività si basa anche sulla capacità di portare cose nuove. Per questo io sto cercando di complementare il concetto di best practice con quello di next practice, cioè essere il motore che costruisce le nuove pratiche.
A un giovane direi…
ZeroUno: Vorrei concludere questa intervista chiedendole cosa consiglierebbe a un giovane che si affaccia al mondo del lavoro o che deve scegliere il suo percorso scolastico.
Stefano Brandinali: A un giovane che finisce il liceo e deve scegliere cosa studiare, direi di non decidere in base al lavoro che vorrà fare perché non lo sa che lavori ci saranno quando avrà terminato i suoi studi. Gli direi: sviluppa la tua mente, fai qualcosa che ti piace e che sia faticoso per la tua mente, che ti faccia esplorare le parti di te che ancora non conosci. Poi c’è il mondo del lavoro che ti aspetta e li scoprirai quello che farai.
Non ho una predilezione esclusiva per le materie STEM, condivido la critica che in Italia dovremmo sviluppare maggiormente la cultura scientifica, ma non consiglierei a una persona che ama Lettere Antiche di studiare Fisica solo perché ritiene che sia più facile trovare lavoro. Io, per esempio, sto ingaggiando in stage anche diverse persone che non provengono da studi STEM, sono necessari anche skill di altro tipo.
A un giovane che entra nel mondo del lavoro chiedo di essere giovane, di non fingersi vecchio. Sono affascinato dai giovani, dalle loro curiosità, anche dalle loro ingenuità. E poi gli direi: fai più esperienze possibili, vai all’estero, sperimenta.