Vita da CEO

Stefano Venturi, Presidente e AD di HPE si racconta: “Il futuro è di chi naviga sui dati complessi, con curiosità e passione”

Si va verso una data-driven society, che richiede nuove professionalità e competenze. Ecco come conciliare creatività e innovazione con i ritmi sempre più serrati del business. E sul ruolo del CIO…

Pubblicato il 03 Giu 2019

Ritratto di Stefano Venturi – Illustrazione di Lorenza Luzzati

Una carriera dipinta fra i big dell’IT: da Olivetti a Hewlett Packard, da SunSoft a Cisco fino al ritorno in Hewlett Packard Enterprise. Non ha girato molte aziende, Stefano Venturi, perché vuole lasciare il segno in quello che fa: 15 anni in Cisco (come AD della filiale italiana e poi vice president con un incarico europeo), da oltre 7 anni in Hpe come Presidente e Amministratore Delegato. E contribuendo ai temi dell’innovazione anche con ruoli più istituzionali, come in Confindustria digitale, Assolombarda o l’American Chamber of Commerce. Si era ritagliato un ruolo tecnico all’inizio della carriera, ma come spesso capita nella vita, situazioni e opportunità da cogliere lo hanno portato verso altri lidi con responsabilità di vendita e poi manageriali.

Stefano Venturi, Presidente e Amministratore Delegato di HPE

ZeroUno: Ti sei da sempre occupato di ICT. Come è cambiato il mercato negli ultimi anni?

Stefano Venturi: Rispetto al passato, noto nelle aziende un fortissimo interesse nell’analisi dei dati complessi non strutturati. Parliamo di Big Data Analytics, di intelligenza artificiale e di infrastrutture di nuova generazione. Perché, senza infrastrutture di nuova generazione, l’equazione dei costi-benefici non torna. Qualche anno fa c’era un generico interesse: adesso in molti casi ci sono progetti, budget, investimenti. E questa è la buona notizia. La cattiva notizia è che il mondo degli “esperti” – un mix di tecnologia e servizi – non è ancora pronto a gestire in larga scala questa ondata. Manca il know-how. Sono ancora pochi gli attori che sanno quali sono le tecnologie a disposizione, come usarle e come allinearsi ai bisogni del cliente. Il vero snodo è qui: come correlare eventi e dati per estrarre informazioni di business in tempo utile?

ZeroUno: Anche nelle fabbriche…

Venturi: Certamente. Negli impianti di produzione, queste tecnologie servono sia a ottimizzare i cicli di produzione (si pensi all’Industria 4.0 o all’IoT), sia per connettere la fabbrica a quello che c’è fuori: alla supply chain in input e in output. C’è un fermento che si tocca con mano. Il problema qual è? L’imprenditore sa che deve andare in quella direzione, ma l’offerta è ancora un po’ scollata. Alcune società di consulenza o system integrator sono avanti, ma la gran parte ha dei gap importanti.

ZeroUno: E qui ritorniamo al tema delle competenze

Venturi: Servono persone che hanno un know-how con capacità di tipo “combinatorio”. E questo apre il grande libro dei job del futuro. La verità è che i job di domani partono dalle competenze specialistiche ma devono aggiungere quel valore in più che è la conoscenza dell’IT. Competenze combinate, per l’appunto. Il professionista del futuro dovrà parlare il linguaggio dei data scientist, perché è dal lavoro congiunto che i dati riescono a trasformarsi in informazioni. Bisogna imparare a porre le domande giuste. E il futuro sarà di chi sa navigare sui dati non strutturati.

ZeroUno: Cosa intendi esattamente?

Venturi: L’informatica fino a oggi è stata organizzata sui dati strutturati. Ci vuole una rivoluzione copernicana nell’IT. Le aziende spesso si fossilizzano su quest’ultima tipologia di dati, ma il mondo del futuro apparterrà a chi è in grado di correlare dati non strutturati, che provengono da fonti diverse, senza standard.

ZeroUno: Sembra banale, ma in realtà è un compito complesso. Bisogna aprire la mente verso altri tipi di skill

Venturi: Io credo che la curiosità sarà il carburante, sarà l’energia di chi andrà a dominare i Big Data e l’intelligenza artificiale. La curiosità ti porta a pensare, a trovare nuovi modi di correlare i fenomeni e – come si diceva prima – a porre le domande giuste. Siamo di fronte a un salto tecnologico che va ad abilitare nuovi modelli di business. E se prima se ne parlava fra pochi illuminati innovatori, adesso è un fenomeno molto più diffuso. Non a caso, le aziende stanno sempre più capendo il ruolo dell’open innovation per accelerare questi processi di “apprendimento”. Anche se la strada è ancora lunga.

Stefano Venturi, Presidente e Amministratore Delegato di HPE

ZeroUno: A proposito di competenze, com’è cambiata l’organizzazione e il team di persone che guidi?

Venturi: Diciamo che lavoro in un posto privilegiato. David Packard ha scritto un libro “The HP Way” che è stato un po’ il precursore di tutte le scienze sociali applicate in azienda per ottimizzare il rapporto fra dipendenti, fra dipendenti e manager e fra l’azienda e i clienti. Quando sono venuto qui nel 1984, Hewlett Packard era già l’unica azienda in Italia dove non si timbrava il cartellino e non vi era neanche la firma di presenza. C’è una cultura di “open trust” che permea l’azienda: le persone lavorano per obiettivi, non c’è un controllo su orari o presenze. Nessun manager, me compreso, ha un suo ufficio chiuso. Chiunque può saltare le gerarchie e parlare con qualsiasi altro manager. E chiunque si può proporre per altri ruoli in azienda senza dover avvertire il proprio responsabile.

ZeroUno: Come avviene il processo di evaluation?

Venturi: Stiamo passando dalla performance evaluation tradizionale, che prevedeva la definizione degli obiettivi a inizio anno, una valutazione intermedia a metà anno e poi quella finale, al concetto di “continuos feedback”. Prima avevamo degli appuntamenti prefissati e formali dove la valutazione sfociava in un punteggio, ora stiamo andando nella direzione del feedback continuo: da manager a dipendente e viceversa e fra “peers”, fra pari. Stimoliamo tutte le persone a farlo: sia per iscritto che verbalmente. La nostra visione è quella di creare un’azienda dove le persone possono dirsi chiaramente, ma senza tensione, cosa non va e cosa va corretto. Ovviamente ci si arriva attraverso un percorso di apprendimento: dare (e ricevere) feedback è molto difficile, perché è sovente visto come giudizio sulla persona. Ma una volta che questi concetti entrano nel DNA dell’organizzazione, diventiamo molto più forti perché il valore è il modo di lavorare, è la cultura stessa dell’azienda.

ZeroUno: Quali valori cerchi nei tuoi collaboratori? Quali sono le soft skill che fanno la differenza?

Venturi: Personalmente, guardo innanzi tutto alla curiosità delle persone, alla passione per quello che fanno. Cerco gente appassionata e curiosa. In più come attitudine personale, mi piacciono quelle persone che non dicono “sì, ma…”, punto su persone che ci provano comunque e che usano la propria energia non per denigrare le idee del gruppo, ma per contribuire a crearne di nuove. Ho bisogno di gente che sa dire “proviamoci”. Perché alla fine, è sempre la curiosità che ti fa provare cose sulle quali non sei d’accordo.

ZeroUno: Com’è una tua giornata tipo?

Venturi: La mia giornata tipo è anzitutto seguire la mia agenda, per lo più prefissata da tempo, ma con continue e grandi variazioni. Il punto fondamentale è una gestione del tempo molto severa, con una grande programmazione di base e facendo leva sul supporto di una segreteria di professionisti che ti aiutano nella gestione degli appuntamenti. Non solo, cerco sempre di tenermi il pranzo come momento di confronto e di brainstorming sia con i collaboratori che con clienti e partner. Il pranzo è il mio momento creativo, è il mio ossigeno per l’innovazione.

ZeroUno: Come conciliare creatività e innovazione con i ritmi sempre più serrati imposti dal business?

Venturi: Questo è un punto nevralgico. Il rischio, per manager con le agende come la mia, è quello di perdere di vista l’innovazione, di venire fagocitati dalle urgenze. Quello che chiedo sempre a tutti i miei collaboratori è invece di liberarsi degli spazi per fare innovazione. Anche quando le cose vanno bene, bisogna sempre imparare a fare saving, sia esso un risparmio di risorse, di soldi o di tempo. Diciamo un 5-10% di saving ogni anno che va dedicato a progetti innovativi. Il business continuativo va avanti con il 90% delle risorse, il restante 10% lo investiamo per fare progetti nuovi, coinvolgendo e valorizzando le persone migliori del team. Tutto questo si traduce alla fine in un migliore servizio per i nostri clienti perché riusciamo ad andare da loro con idee più innovative. Un esempio è l’accordo strategico che abbiamo siglato con MSC Crociere che ha permesso alla filiale italiana di Hewlett Packard Enterprise di diventare un centro di competenza mondiale per la crocieristica.

stefano venturi hpe
Ritratto di Stefano Venturi – Illustrazione di Lorenza Luzzati

ZeroUno: Come vedi il ruolo del CIO oggi?

Venturi: Ti dico il tipo di CIO che vorrei al mio fianco: vorrei una persona che più di altre ragiona come un “CEO moderno”. Ovvero un top manager che collega il più possibile il business alle tecnologie e che, dialogando con il CEO, capisce il business e lo connette alle tecnologie. E qui c’è il primo distinguo: se il CIO non risponde direttamente al CEO, abbiamo un problema. La strategia nasce già zoppa. Se invece il CIO riesce a interpretare il proprio ruolo come un “CEO dell’IT” è in grado di relazionarsi con i suoi peers – il direttore vendite, il direttore della produzione, il direttore risorse umane, eccetera – aiutandoli nelle loro attività strategiche. In altre parole, il CIO di domani è il CEO dell’IT, deve essere il partner dell’amministratore delegato dell’azienda.

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Vincenzo Zaglio
Vincenzo Zaglio

Giornalista e ingegnere, ho iniziato a seguire i temi dell’ICT dal 1991, occupandomi sia degli aspetti tecnologici che di business. Sempre in bilico fra creatività e razionalità, attualmente sono Direttore di ZeroUno e Head of Content di Digital360

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