Una carriera dipinta fra i big dell’IT: da Olivetti a Hewlett Packard, da SunSoft a Cisco fino al ritorno in Hewlett Packard Enterprise. Non ha girato molte aziende, Stefano Venturi, perché vuole lasciare il segno in quello che fa: 15 anni in Cisco (come AD della filiale italiana e poi vice president con un incarico europeo), da oltre 7 anni in Hpe come Presidente e Amministratore Delegato. E contribuendo ai temi dell’innovazione anche con ruoli più istituzionali, come in Confindustria digitale, Assolombarda o l’American Chamber of Commerce. Si era ritagliato un ruolo tecnico all’inizio della carriera, ma come spesso capita nella vita, situazioni e opportunità da cogliere lo hanno portato verso altri lidi con responsabilità di vendita e poi manageriali.
ZeroUno: Ti sei da sempre occupato di ICT. Come è cambiato il mercato negli ultimi anni?
Stefano Venturi: Rispetto al passato, noto nelle aziende un fortissimo interesse nell’analisi dei dati complessi non strutturati. Parliamo di Big Data Analytics, di intelligenza artificiale e di infrastrutture di nuova generazione. Perché, senza infrastrutture di nuova generazione, l’equazione dei costi-benefici non torna. Qualche anno fa c’era un generico interesse: adesso in molti casi ci sono progetti, budget, investimenti. E questa è la buona notizia. La cattiva notizia è che il mondo degli “esperti” – un mix di tecnologia e servizi – non è ancora pronto a gestire in larga scala questa ondata. Manca il know-how. Sono ancora pochi gli attori che sanno quali sono le tecnologie a disposizione, come usarle e come allinearsi ai bisogni del cliente. Il vero snodo è qui: come correlare eventi e dati per estrarre informazioni di business in tempo utile?
ZeroUno: Anche nelle fabbriche…
Venturi: Certamente. Negli impianti di produzione, queste tecnologie servono sia a ottimizzare i cicli di produzione (si pensi all’Industria 4.0 o all’IoT), sia per connettere la fabbrica a quello che c’è fuori: alla supply chain in input e in output. C’è un fermento che si tocca con mano. Il problema qual è? L’imprenditore sa che deve andare in quella direzione, ma l’offerta è ancora un po’ scollata. Alcune società di consulenza o system integrator sono avanti, ma la gran parte ha dei gap importanti.
ZeroUno: E qui ritorniamo al tema delle competenze
Venturi: Servono persone che hanno un know-how con capacità di tipo “combinatorio”. E questo apre il grande libro dei job del futuro. La verità è che i job di domani partono dalle competenze specialistiche ma devono aggiungere quel valore in più che è la conoscenza dell’IT. Competenze combinate, per l’appunto. Il professionista del futuro dovrà parlare il linguaggio dei data scientist, perché è dal lavoro congiunto che i dati riescono a trasformarsi in informazioni. Bisogna imparare a porre le domande giuste. E il futuro sarà di chi sa navigare sui dati non strutturati.
ZeroUno: Cosa intendi esattamente?
Venturi: L’informatica fino a oggi è stata organizzata sui dati strutturati. Ci vuole una rivoluzione copernicana nell’IT. Le aziende spesso si fossilizzano su quest’ultima tipologia di dati, ma il mondo del futuro apparterrà a chi è in grado di correlare dati non strutturati, che provengono da fonti diverse, senza standard.
ZeroUno: Sembra banale, ma in realtà è un compito complesso. Bisogna aprire la mente verso altri tipi di skill
Venturi: Io credo che la curiosità sarà il carburante, sarà l’energia di chi andrà a dominare i Big Data e l’intelligenza artificiale. La curiosità ti porta a pensare, a trovare nuovi modi di correlare i fenomeni e – come si diceva prima – a porre le domande giuste. Siamo di fronte a un salto tecnologico che va ad abilitare nuovi modelli di business. E se prima se ne parlava fra pochi illuminati innovatori, adesso è un fenomeno molto più diffuso. Non a caso, le aziende stanno sempre più capendo il ruolo dell’open innovation per accelerare questi processi di “apprendimento”. Anche se la strada è ancora lunga.
ZeroUno: A proposito di competenze, com’è cambiata l’organizzazione e il team di persone che guidi?
Venturi: Diciamo che lavoro in un posto privilegiato. David Packard ha scritto un libro “The HP Way” che è stato un po’ il precursore di tutte le scienze sociali applicate in azienda per ottimizzare il rapporto fra dipendenti, fra dipendenti e manager e fra l’azienda e i clienti. Quando sono venuto qui nel 1984, Hewlett Packard era già l’unica azienda in Italia dove non si timbrava il cartellino e non vi era neanche la firma di presenza. C’è una cultura di “open trust” che permea l’azienda: le persone lavorano per obiettivi, non c’è un controllo su orari o presenze. Nessun manager, me compreso, ha un suo ufficio chiuso. Chiunque può saltare le gerarchie e parlare con qualsiasi altro manager. E chiunque si può proporre per altri ruoli in azienda senza dover avvertire il proprio responsabile.
ZeroUno: Come avviene il processo di evaluation?
Venturi: Stiamo passando dalla performance evaluation tradizionale, che prevedeva la definizione degli obiettivi a inizio anno, una valutazione intermedia a metà anno e poi quella finale, al concetto di “continuos feedback”. Prima avevamo degli appuntamenti prefissati e formali dove la valutazione sfociava in un punteggio, ora stiamo andando nella direzione del feedback continuo: da manager a dipendente e viceversa e fra “peers”, fra pari. Stimoliamo tutte le persone a farlo: sia per iscritto che verbalmente. La nostra visione è quella di creare un’azienda dove le persone possono dirsi chiaramente, ma senza tensione, cosa non va e cosa va corretto. Ovviamente ci si arriva attraverso un percorso di apprendimento: dare (e ricevere) feedback è molto difficile, perché è sovente visto come giudizio sulla persona. Ma una volta che questi concetti entrano nel DNA dell’organizzazione, diventiamo molto più forti perché il valore è il modo di lavorare, è la cultura stessa dell’azienda.
ZeroUno: Quali valori cerchi nei tuoi collaboratori? Quali sono le soft skill che fanno la differenza?
Venturi: Personalmente, guardo innanzi tutto alla curiosità delle persone, alla passione per quello che fanno. Cerco gente appassionata e curiosa. In più come attitudine personale, mi piacciono quelle persone che non dicono “sì, ma…”, punto su persone che ci provano comunque e che usano la propria energia non per denigrare le idee del gruppo, ma per contribuire a crearne di nuove. Ho bisogno di gente che sa dire “proviamoci”. Perché alla fine, è sempre la curiosità che ti fa provare cose sulle quali non sei d’accordo.
ZeroUno: Com’è una tua giornata tipo?
Venturi: La mia giornata tipo è anzitutto seguire la mia agenda, per lo più prefissata da tempo, ma con continue e grandi variazioni. Il punto fondamentale è una gestione del tempo molto severa, con una grande programmazione di base e facendo leva sul supporto di una segreteria di professionisti che ti aiutano nella gestione degli appuntamenti. Non solo, cerco sempre di tenermi il pranzo come momento di confronto e di brainstorming sia con i collaboratori che con clienti e partner. Il pranzo è il mio momento creativo, è il mio ossigeno per l’innovazione.
ZeroUno: Come conciliare creatività e innovazione con i ritmi sempre più serrati imposti dal business?
Venturi: Questo è un punto nevralgico. Il rischio, per manager con le agende come la mia, è quello di perdere di vista l’innovazione, di venire fagocitati dalle urgenze. Quello che chiedo sempre a tutti i miei collaboratori è invece di liberarsi degli spazi per fare innovazione. Anche quando le cose vanno bene, bisogna sempre imparare a fare saving, sia esso un risparmio di risorse, di soldi o di tempo. Diciamo un 5-10% di saving ogni anno che va dedicato a progetti innovativi. Il business continuativo va avanti con il 90% delle risorse, il restante 10% lo investiamo per fare progetti nuovi, coinvolgendo e valorizzando le persone migliori del team. Tutto questo si traduce alla fine in un migliore servizio per i nostri clienti perché riusciamo ad andare da loro con idee più innovative. Un esempio è l’accordo strategico che abbiamo siglato con MSC Crociere che ha permesso alla filiale italiana di Hewlett Packard Enterprise di diventare un centro di competenza mondiale per la crocieristica.
ZeroUno: Come vedi il ruolo del CIO oggi?
Venturi: Ti dico il tipo di CIO che vorrei al mio fianco: vorrei una persona che più di altre ragiona come un “CEO moderno”. Ovvero un top manager che collega il più possibile il business alle tecnologie e che, dialogando con il CEO, capisce il business e lo connette alle tecnologie. E qui c’è il primo distinguo: se il CIO non risponde direttamente al CEO, abbiamo un problema. La strategia nasce già zoppa. Se invece il CIO riesce a interpretare il proprio ruolo come un “CEO dell’IT” è in grado di relazionarsi con i suoi peers – il direttore vendite, il direttore della produzione, il direttore risorse umane, eccetera – aiutandoli nelle loro attività strategiche. In altre parole, il CIO di domani è il CEO dell’IT, deve essere il partner dell’amministratore delegato dell’azienda.