Con un annuncio ufficiale del Ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’Informazione, la Cina decreta la fine delle tecnologie di comunicazione considerate obsolete. Una transizione digitale forzata, che il governo di Pechino sta compiendo a suon di imposizioni dall’alto. Una strategia forse discutibile dal punto di vista sociale e ambientale ma, da quello tecnologico, meno a rischio di ritardi. Un approccio più “spietato”, verso ciò che è destinato a scomparire, che lascia aperte alcune questioni. In primis quella del diritto di riparare, in Cina non ufficialmente riconosciuto.
Vietato l’accesso alle tecnologie vetuste
L’ultima decisione di Pechino colpisce più di altre, perché comprende apparecchi a cui molte persone sono quasi affezionate. O che non hanno l’opportunità di cambiare. Il Ministero ha però fermamente annunciato che non rilascerà più permessi di accesso alla rete per telefoni fissi, fax, modem e cercapersone wireless. Si tratta di hardware di uso comune anche in Europa. Oggetti simbolo di un’obsolescenza diffusa anche nel nostro territorio, guardata da molti con affettuosa benevolenza, tollerata dai restanti.
La Cina, con questo, ha dato uno stop deciso e concreto, mettendo fine al regime di “sopportazione” che regnava. Il rischio era anche quello di lasciare indietro una fetta di popolazione, ritrovandosela a fare da zavorra nella corsa all’innovazione.
Nel provvedimento sono inclusi anche tutti i prodotti di telecomunicazione che impiegheranno apparecchiature ISDN (terminali di rete digitale a servizi integrati), frame relay o switch a modalità di trasferimento asincrono. Resterà invece possibile connettersi alle reti cinesi con i kit esistenti, prendendo però atto che il Ministero si disinteresserà presto di tutti i prodotti, anche nuovi, legati a tecnologie di comunicazione tradizionali.
Dal punto di vista dei produttori, la decisione del governo può essere vista come un’opportunità di guadagno. Chi è rimasto nel mercato dei fax e dell’ISDN non dovrà organizzarsi per offrire aggiornamenti adattativi. Potrà continuare a produrre e vendere i propri dispositivi, finché ci sarà chi li vuole usare. Meno roseo il panorama per gli utenti che si trovano imposto il cambiamento.
I più restii, potranno fare scorta di kit, illudendosi di poter continuare a operare come sempre, ancora per qualche anno. Gli altri dovranno migrare al futuro, abbandonando la tecnologia tradizionale, prima che il mercato si riduca ulteriormente.
Per far digerire meglio alla popolazione questa spinta forzata all’innovazione, il governo cinese ha giocato la carta dell’efficienza. Con la cessazione della certificazione della vecchia tecnologia, infatti, ha promesso la semplificazione dei regimi di test e la significativa riduzione dei tempi di certificazione.
In Occidente non si ripara tutto il riparabile
Mentre la Cina mostra il pugno duro a chi usa dispositivi non più all’avanguardia, l’Occidente vuole garantire il diritto di ripararli. In particolare, ha fatto notizia, e potrebbe diventare un discusso precedente, ciò che è avvenuto nello Stato di New York. Negli USA, è stato il primo ad approvare una legge che obbliga i produttori di dispositivi di elettronica digitale ad offrire componenti, strumenti, informazioni e software. Entrerà in vigore da metà 2023 e interesserà sia gli utenti finali, sia la categoria dei riparatori.
La mossa di New York ha suscitato entusiasmi e critiche. Da un lato, questo Stato ha rotto il ghiaccio, mettendo a terra il diritto alla riparazione già sancito dal Fair Repair Act, con la legge più ampia mai vista oltreoceano. Dall’altro lato, però, la proposta originale ha subito delle modifiche che ne smorzano la potenza a livello di economia circolare.
Leggendo bene il testo, infatti, si nota che sono rimasti esclusi i veicoli a motore e tutto l’ampio mercato dei ricambi, elettrodomestici, dei dispositivi medici e delle apparecchiature di comunicazione di pubblica sicurezza come radio della polizia, oltre che delle attrezzature agricole. Sono settori che, in parte, attendevano di poter gestire diversamente i propri device. Secondo molti attivisti ed esperti in sostenibilità, sono anche settori che avrebbero contribuito in modo consistente ad una svolta green nella gestione dell’obsolescenza.