Così come avvenuto per Africa e India quando abbiamo analizzato l’impatto della digitalizzazione sui modelli di sviluppo di questi paesi, anche per il Sudafrica incominciamo da una rapida disamina economica, sociale e politica per inquadrare il momento storico e il contesto. La premessa è che per il “paziente Sudafrica”, la prognosi resta riservata.
Perché se è vero che nel 2010 per il raggruppamento delle economie mondiali emergenti, Bric (Brasile, Russia, India e Cina) si è deciso di aggiungere la “S” di Sudafrica, le aspettative sono state a tutt’oggi disattese.
Intanto il resto del gruppo va veloce: forte del peso economico delle proprie nazioni, in prospettiva sempre maggiore, lavora da tempo per un ridisegno dello scacchiere geopolitico mondiale che, attraverso a
ccordi strategici, determini un nuovo ribilanciamento economico, commerciale e finanziario dei mercati, meno basato sul modello dollaro-centrico occidentale-americano.
Alla ricerca di nuovi equilibri
Dietro alle sinistre parole di Putin quando, all’indomani della guerra in Ucraina indicava la necessità della costruzione di un “nuovo ordine mondiale”, c’è anche questa esigenza di una nuova architettura finanziaria globale più distribuita, meno sbilanciata a favore degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Ed è nove anni fa, proprio in risposta alle mancate azioni del Fondo Monetario Internazionale rispetto a nuovi ribilanciamenti richiesti dai paesi Brics, che questo gruppo ha dato vita a una propria struttura finanziaria, la New Development Bank (NDB).
Oggi questa istituzione continua ad arricchirsi di finanziamenti a seguito dei nuovi ingressi nel gruppo Brics. Proprio al recente XV vertice Brics, tenutosi lo scorso agosto in Sudafrica a Johannesburg, si è lavorato per un’estensione del gruppo originario a paesi quali Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Indonesia, Libano, Venezuela, Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Repubblica islamica dell’Iran. Ma i paesi invitati erano ben 69 (tra questi tutti quelli africani) e circa 40 sarebbero quelli interessati ad aderire, con 23 che hanno già presentato domanda.
L’aumento della base di capitali va a sostanziare l’obiettivo strategico iniziale, cioè supportare i paesi aderenti nella loro azione espansiva sullo scacchiere mondiale. Entro il 2030, secondo alcuni analisti finanziari, la NDB, che ha sede a Shangai, potrebbe raggiungere un capitale di prestiti di circa 350 miliardi di dollari, che supera il totale dei finanziamenti erogati dalla Banca Mondiale nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Già oggi, comunque, i cinque paesi Brics rappresentano un quarto dell’economia mondiale e il 42% della popolazione del pianeta. È inevitabile che ci sia all’ordine del giorno il tema del ribilanciamento economico-finanziario.
Sudafrica, paziente “in osservazione”
E il Sudafrica? Dall’analisi di una serie di studi ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) emerge che il paese africano è da tempo frenato da problemi che non riesce a risolvere. Lo sviluppo non ha preso quel passo che altre realtà africane sono invece riuscite a tenere: dal 2010 registra un modesto tasso di crescita annuo dell’1,4% e per quest’anno le previsioni sono di stagnazione (+0,1%).
Anche per il periodo 2024-28 viene confermato lo stesso tasso fin qui sostenuto. Le ragioni sono molteplici e si sommano tensioni sociali non semplici da risolvere: il tasso di disoccupazione, ad esempio, è attorno al 35% con una popolazione in espansione (il 62,1% è al di sotto dei 35 anni) che già oggi è di circa 60,1 milioni di abitanti (in Italia siamo 58,8 milioni), con il 68,6% che vive nei centri urbani e il 31,4% nelle aree rurali (dati al gennaio 2023).
Una condensazione che ha esasperato due fenomeni critici: da un lato il sogno di Nelson Mandela che diede il via negli Anni ’90 alla fine dell’apartheid e all’idea di una convivenza pacifica e di uguaglianza tra bianchi e neri ha lasciato spazio alla crescita di diseguaglianze socio-economiche marcate non solo tra le due etnie, ma anche tra le zone più ricche e quelle più povere del Sudafrica (con stipendi che nell’una sono in media più del doppio dell’altra), con differenze sostanziali nell’accesso al lavoro, nel reddito, nella crescita imprenditoriale, ecc. Dall’altro lato, questo disagio con la marginalizzazione di sempre più ampie fasce sociali si è tradotto in una escalation di violenza, peggiorata nell’ultimo decennio, con alcune città, tra cui Città del Capo, diventate tra le più pericolose al mondo per quantità di omicidi.
Non dimenticando, cosa endemica per i paesi africani, la diffusa piaga della corruzione che ha invaso la gestione della cosa pubblica con evidenti ripercussioni sull’efficienza dei servizi alla popolazione e al supporto nello sviluppo del business, tipo la grave crisi dell’azienda energetica di Stato Eskom. Proprio a causa dell’incapacità di gestione (collegata a un sistema diffuso di corruzione che arriva fino agli alti livelli governativi), questa estate l’azienda ha annunciato un inverno difficile, con pesanti interruzioni previste all’erogazione di elettricità, fino a 16 ore al giorno, oltre a importanti riduzioni di carico sulla rete.
E intanto cresce, nei sondaggi, l’insoddisfazione nei confronti della democrazia. Sapranno le elezioni, fissate per il prossimo anno, invertire alcune tendenze? Guardiamo intanto, in relazione a questo contesto, quali carte restano in mano alle aziende e alle persone attraverso un’innovazione tecnologica che pur tra mille difficoltà sta comunque diffondendosi in Sudafrica.
Startup e Technopark
Intanto alcuni dati per una prima fotografia: secondo Datareportal, all’inizio di quest’anno si contavano in Sudafrica 43,4 milioni di utenti Internet con una diffusione stabile al 72,3%; i social media sono usati da circa 25,8 milioni di utenti (il 42,9% della popolazione, con LinkedIn che conta ben 11 milioni di partecipanti) mentre secondo GSMA Intelligence sono 112,7 milioni le connessioni mobile attive (+3,7% tra il 2022 e il 2023). Un terreno digitale fertile, quindi, su cui crescono numerose startup e aziende hi-tech: solo attorno a Città del Capo, ad esempio, vi sono oltre 500 aziende tecnologiche che occupano quasi 60 mila persone. La ricerca di nuove competenze IT è in aumento soprattutto nell’ambito del coding, non più per uno sviluppo codice in outsourcing per conto di realtà occidentali quanto applicato a progetti di digital transformation di alto livello.
A una cinquantina di chilometri da Cape Town si trova Stellenbosch, una delle principali università sudafricane e dove sorge un Technopark tra i più importanti dell’intera Africa. Massiccia è l’attività di finanziamento alle aziende hi-tech da parte di alcuni paesi europei, Usa e Cina. Questo rappresenta, da un lato, un’apertura all’espansione internazionale del business per le realtà sudafricane, ma dall’altro evidenzia anche una difficoltà dell’imprenditoria locale di poter disporre di investimenti adeguati negli stadi iniziali di sviluppo delle startup. Una criticità, tuttavia, che viene attenuata dalla nascita, soprattutto dopo la fase Covid, di acceleratori, network di angel investor e importanti imprenditori che fanno da mentor alle startup create da giovani.
In tutta l’Africa esistono almeno quattro grandi sistemi di innovazione (con acceleratori, incubatori, laboratori di ricerca presso università a supporto di startup, spazi di coworking): Cairo/Egitto, Lagos/Nigeria, Nairobi/Kenya e Città del Capo/Sudafrica; nel 2021 c’erano nell’intero continente oltre 650 hub tecnologici e più della metà risiede in questi quattro ecosistemi.
I settori di specializzazione sono numerosissimi: dalla bioingegneria, all’Intelligenza artificiale applicata; dalla robotica e dalle biotecnologie per l’agricoltura al climate change. I rapporti con le realtà innovative italiane sono numerosi. Solo come esempio, nel maggio di quest’anno è stato firmato il Programma 2023-2025 dell’Italy-South Africa joint Research Programme (ISARP) nell’ambito dell’accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra i due paesi promosso dal nostro Ministero degli Affari Esteri e dal Dipartimento Science and Technology del Sudafrica insieme al National Research Foundation, l’agenzia intermediaria governativa tra le politiche del governo sudafricano e gli istituti di ricerca del paese. Un’iniziativa strutturale alla quale, ad esempio in Lombardia, attraverso il cluster regionale di Scienze della Vita, decine di imprese, istituti clinici pubblici e privati, enti di ricerca, associazioni e startup condividono una potenziale loro partecipazione a progetti tecnologici innovativi, in questo caso nel segmento medicina/medicale, con realtà sudafricane.
Ma l’obiettivo del nuovo pprogramma intergovernativo si estende a numerosi ambiti: salute; biotecnologie in agricoltura; tecnologie ambientali per le risorse idriche e la gestione integrata dei rifiuti; intelligenza artificiale e calcolo ad alte prestazioni (HCP); energie rinnovabili e comunità energetiche; astrofisica e radioastronomia, tutti ad alto tasso di digitalizzazione.
Smart city: il legacy culturale dell’Apartheid si fonde con l’impostazione cinese?
Le collaborazioni Sudafricane, però, riguardano tutto il mondo. Di certo la Cina è un interlocutore privilegiato e di lunga data: proprio prima dell’incontro Brics di agosto, infatti, i due presidenti, Ramaphosa e Xi, si sono incontrati per celebrare 25 anni di relazioni diplomatiche, ma in realtà i legami storici hanno radici fin nei primi Anni ’50. Dopo l’incontro, il Sudafrica ha sottoscritto un memorandum d’intesa con la Cina per uno sviluppo della cooperazione in ambito scientifico, tecnologico e di innovazione (STI), con programmi di ricerca e progetti congiunti finanziati ogni anno e con scambio di ricercatori e competenze tra istituti, università e imprese. Questo tipo di cooperazione di lunga data non poteva, nel digitale, non risentire di alcune impostazioni culturali. Come, ad esempio, nel grande sviluppo tecnologico previsto in area Smart City.
Se da un lato gli obiettivi di miglioramento qualitativo di vita attraverso l’erogazione di servizi digitali prevedono, ad esempio, la riduzione della dipendenza da energie non rinnovabili, la mobilità urbana intelligente e la continua diffusione di fibra ottica nelle città per digitalizzare ogni tipo di servizio, dall’altro lato l’imponente raccolta dati che richiede lo sviluppo di progetti di smart city consente un potenziale controllo sociale finalizzato non solo a combattere criminalità e a garantire maggiore sicurezza, ma anche a intervenire nella vita quotidiana dei cittadini.
Parliamo di tecnologie di videosorveglianza, di analisi dei dati biometrici per una profilazione di massa che sia a prevenzione dei conflitti sociali, ma che inevitabilmente porta con sé una potenziale limitazione e ingerenza nelle libertà individuali.
Il terreno è fertile, perché oltre a essere questa “governance sociale invasiva” diffusa un po’ in tutti i paesi africani, si sposa appieno con due impianti culturali affermati: in Sudafrica l’Apartheid ha infatti sviluppato negli anni bui il proprio sistema di potere repressivo proprio attraverso la sorveglianza di cittadini sospetti o peggio ancora invisi al potere. In Cina, come noto, la mancanza di leggi e regole a garanzia delle libertà individuali ha consentito lo sviluppo di reti tecnologiche di controllo sociale molto invasive rispetto alla persona, alla sua libertà e ai diritti civili.
Questi retaggi culturali determinano oggi in Sudafrica quello che è stato definito essere una sorta di “Apartheid digitale”, con progetti di città sicure che vedono tecnologie cinesi di sorveglianza biometrica realizzati grazie soprattutto a finanziamenti concessi ai governi locali da banche cinesi. Software di localizzazione, analisi continua dei dati da Webcam e microfoni installati sui vari dispositivi distribuiti in ogni parte della città, analisi biometriche nell’utilizzo di device pubblici installati fino allo studio delle sequenze di utilizzo dei tasti, tutto può essere finalizzato a maggiore sicurezza e sviluppo di servizi ma anche, inevitabilmente, a indicizzare movimenti definiti “insoliti” su persone con atteggiamenti e caratteristiche fisiche e comportamentali “sospette”. Quei profili “sospetti” che solo algoritmi di AI sviluppati secondo criteri di controllo sociale e di cittadini “ideali” riconoscono come tali. Fino ad arrivare a una serie di divieti per quei soggetti che la tecnologia ha schedato come “critici”.
Esiste, in ogni caso, anche il versante “buono” della tecnologia: questa fame di digitalizzazione del Sudafrica sta creando infatti una forte domanda di competenze verso le giovani generazioni. Mancano responsabili IT e CIO, analisti e sviluppatori, data scientist, ingegneri per la formazione di sistemi di AI da implementare trasversalmente a numerosi settori. Per un paese, il Sudafrica, che ha bisogno di diventare finalmente il riferimento economico e culturale di una transizione digitale che sta faticosamente diffondendosi in tutta l’Africa.