Tecnologie e sviluppo: PROGRAMMI PER L’ITALIA

Quali sono le valutazioni e i programmi degli schieramenti politici, delle associazioni d’impresa e dei sindacati dei lavoratori sui temi quali  innovazione, competitività di impresa e tecnologie Ict? Le risposte della Casa delle Libertà, dell’Unione, di Confindustria e di Cisl

Pubblicato il 06 Mar 2006

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È possibile, come qualche mese fa aveva proposto Pierfilippo Roggero, presidente di Aitech-Assinform, l’associazione più rappresentativa delle aziende del settore Ict, realizzare nel nostro Paese “un progetto politico, con una governance centrale, capace di mettere l’innovazione al centro del sistema economico e politico italiano”? La situazione di partenza della capacità di innovazione globale del Paese non è incoraggiante, considerando i risultati del Rapporto EIS (European Innovation Scoreboard) 2004 (figura 1),

Fig. 1- Indice di innovazione nei paesi europei
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Fonte: elaborazione Federcomin su fonte Rapporto Eis 2004

che colloca le performance dell’Italia al di sotto della media europea. Stesso ragionamento per l’andamento dell’investimento It se confrontato con quello degli altri paesi industrializzati (figura 2).

Fig. 2 – Crescita del mercato IT e TLC in Italia, in Europa e nel mondo – D % su anno precedente
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Fonte: Assinform/NetConsulting

Certo non mancano segnali positivi di diffusione di “stili innovativi” sul versante della domanda, strettamente collegati alla disponibilità di un’offerta adeguata, come nel caso della larga banda. I collegamenti, secondo stime Federcomin, hanno raggiunto i 6,6 milioni a fine 2005, di cui 1,6 milioni di tipo business e circa 5 milioni di tipo consumer. A giugno 2005 quasi il 70% delle aziende (dai liberi professionisti alle grandi imprese) con accesso a Internet aveva un collegamento a banda larga, dato che pone il nostro Paese in un ruolo europeo di primo piano (ci supera solo la Germania).
L’Italia ha però al suo interno una situazione disomogenea dal punto di vista territoriale, non solo per la diffusione della larga banda, che ancora non raggiunge vaste zone del Paese, ma soprattutto per gli investimenti It che vedono il 75% della spesa concentrata in sei regioni del centronord, circa il 27% nella sola Lombardia (figura 3).

Fig. 3 – Italia: distribuzione spesa It per regione
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Fonte: Federcomin

Inoltre la spesa It è concentrata nelle imprese medio-grandi (quelle con più di 250 dipendenti contribuiscono per ben oltre il 50%), mentre le piccole (con meno di 50 dipendenti), pur essendo molto numerose, generano soltanto il 18% della spesa (dati Assinform). Confrontando infine il posizionamento del nostro Paese in termini di competitività e diffusione dell’It, emerge molto chiaramente come l’Italia soffra attualmente di un doppio ritardo di crescita, come ha sottolineato Giancarlo Capitani in un recente articolo pubblicato su ZeroUno, la cui evidenza è aumentata significativamente nell’ultimo biennio, con un ulteriore peggioramento nel 2004 (figura 4).

Fig. 4 – Un doppio ritardo da recuperare
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Fonte: Assinform/NetConsulting

È ormai sempre più evidente che la capacità imprenditoriale, la creatività e l’inventiva tipicamente italiane sono in grado di generare, con grande fatica, solo alcune eccellenze isolate. Non sono tuttavia sufficienti per tradursi in aumento di competitività generalizzata in assenza di misure coordinate che riguardino il contesto economico, la cultura, la formazione… Il tutto in una strategia di lungo respiro, accompagnata dalla capacità di fare squadra.
Per queste ragioni, anche in vista del prossimo confronto elettorale di primavera, abbiamo coinvolto interlocutori non consueti per ZeroUno, come i politici (Casa delle Libertà e Unione) e il mondo del lavoro (Confindustria e sindacati-Cisl) ai quali abbiamo rivolto tre macrodomande (vedi riquadro nella pagina successiva) per sondare la loro strategia in termini di evoluzione di un contesto favorevole all’innovazione, gli “strumenti” da adottare, le politiche di sviluppo per un’industria avanzata nel paese. Le risposte sono per un certo verso incoraggianti. Infatti, nonostante le diverse focalizzazioni che derivano da differenti sensibilità, nonché opposte valutazioni sull’ultimo quinquennio da parte di chi era al governo e chi all’opposizione, emerge la consapevolezza dei punti su cui agire.
Ne elenchiamo alcuni come: l la necessità di azioni per aumentare la disponibilità diffusa di infrastrutture e sistemi digitali; l la necessità di maggior integrazione fra ricerca e innovazione nelle imprese; l la centralità della formazione e del mantenimento del know-how; l la necessità di una strategia di lungo periodo che si richiami all’agenda di Lisbona; l strumenti di governo dell’innovazione a cui concorrano i diversi attori; l strumenti fiscali e premianti per favorire l’innovazione; l azioni e incentivi per favorire l’aggregazione e la cooperazione delle Pmi, anche nel settore Ict; l un ruolo importante della Pubblica Amministrazione, per migliorare il contesto economico, ma anche come volano per l’innovazione e la diffusione di paradigmi come l’open source; l la focalizzazione degli investimenti in alcuni, pochi, programmi qualificanti.
Restano certo non poche divergenze. Ad esempio se serva davvero un ministero dedicato, come è attualmente, o se il tema dell’innovazione debba essere pervasivo.
Ci sembra però, che a parte alcune proposte molto operative di Confindustria (che indubbiamente meritano attenzione), si stenti ancora a definire un progetto, articolabile in provvedimenti, a partire da una visione di come dovrà essere il paese, non solo nell’immediato, ma anche fra 10-15 anni. Riteniamo dunque indispensabile che chiunque vinca le elezioni presenti prima possibile un’agenda sull’innovazione e individui la platea di interlocutori da coinvolgere per definire un piano strategico e operativo.

DOMANDA 1
Quali vincoli vanno rimossi, quali iniziative vanno prese per favorire l’innovazione?

ANTONIO PALMIERI:
Sono convinto che i cinque anni di governo appena trascorsi siano stati

“fondamentali”, nel senso che hanno finalmente posto le fondamenta perché il nostro Paese si mettesse a correre lungo le vie dell’innovazione. La prima, felice innovazione, è stata quella di inserire nel governo Berlusconi un ministro ad hoc proprio per l’innovazione: il segnale più concreto che questo Governo considerava (e considera) l’innovazione come un punto cardine per lo sviluppo del Paese.
Porre le fondamenta significa lavorare per il presente ma soprattutto per il futuro prossimo, cercando di favorire la rimonta dell’Italia rispetto agli altri Paesi più sviluppati e di mettere in atto scelte strategiche che rimediassero alle carenze strutturali del sistema italiano. Questo percorso ha seguito tre grandi linee d’azione: scuotere la pubblica amministrazione e metterla in grado di fornire nuovi servizi ai cittadini; incentivare la domanda di innovazione delle imprese; portare la “I” di informatica al maggior numero di italiani.
Alcuni esempi per dare conto del grande lavoro svolto sul versante della pubblica amministrazione: dai grandi progetti infrastrutturali che connettono la pubblica amministrazione centrale e periferica, ai 134 progetti di e-government per gli enti locali, alla rete per collegare tra loro le ambasciate italiane, al codice dell’amministrazione digitale, all’incentivazione e alla formazione, all’uso delle tecnologie del personale (oggi l’80% usa l’e-mail, era il 32% nel 2001) delle amministrazioni e del mondo della scuola. Abbiamo il record mondiale per il fisco on line, siamo primi in Europa per firme digitali distribuite (oltre 2 milioni di dispositivi), abbiamo lanciato la posta elettronica certificata.
Il 60% dei navigatori italiani frequenta i siti della pubblica amministrazione e l’Italia è passata dal dodicesimo all’ottavo posto in Europa per qualità dell’e-government.
Questa azione innovativa è andata di pari passo con la diffusione dell’informatica e dell’uso del pc tra la popolazione. In questa direzione va la riforma della scuola, a partire dall’introduzione di inglese e internet obbligatorio per tutti, dalla prima classe per finire con l’alternanza scuola-lavoro e con il doppio canale dei licei e della istruzione e formazione professionale nelle scuole superiori.
Si è poi cercato di stimolare la diffusione del pc attraverso una serie di bonus economici e formativi che vanno dal pc ai sedicenni a quello per gli studenti universitari e ai dipendenti della scuola e della pubblica amministrazione, senza dimenticare il bonus per le famiglie con meno di 15.000 di euro di reddito annuo e la legge Stanca sull’accessibilità per le persone con disabilità.
In definitiva, si è cominciato un percorso che è ben lontano dall’essere concluso ma, anzi, è solo all’inizio, perché grande era il distacco da colmare e perché l’innovazione è un cammino che non conosce soste. Si poteva fare di meglio e di più? Sicuramente sì, questa è la condizione di ogni umana avventura e l’innovazione non fa eccezione: ma credo proprio che la strada intrapresa sia quella giusta e si debba continuare in questa direzione. Occorre continuare a promuovere un contesto culturale che continui a sostenere la diffusione e l’uso delle tecnologie nella società e mettere l’amministrazione pubblica al passo con le necessità dei tempi: ciò significa portare a compimento le iniziative avviate, monitorare gli effetti dei bonus economici diretti ai singoli cittadini, aumentare il numero dei servizi disponibili on line, superare la fase di sperimentazione del t-government, usando appieno anche il canale della tv digitale come strumento di rapporto diretto tra imprese, cittadini e pubblica amministrazione.

FIORELLO CORTIANA:
L’innovazione deve essere un asset strategico e non tattico affinché l’Italia e

l’Europa siano in grado di cogliere la sfida digitale e della rete come opportunità e non come minaccia da ridurre. L’Agenda di Lisbona ha una visione e dei propositi che, fino ad ora, non hanno trovato riscontri adeguati da parte del nostro Governo.
Proprio la natura pervasiva della dimensione digitale all’interno della vita quotidiana e lo sviluppo delle diverse modalità di comunicazione interattiva a/in rete richiedono tanto alla sfera
economico-imprenditoriale, quanto a quella sociale-sussidiaria, quanto a quella politico-amministrativa, la condivisione di un retroterra comune.
La creazione di un ambiente favorevole all’innovazione chiede, quindi, definizioni normative e scelte di politica pubblica efficaci. In particolare, la rete e la sua modalità operativa si propongono come una impresa cognitiva collettiva e proprio la modalità multistakeholders consente la migliore messa a punto tanto delle norme legislative, quanto delle politiche pubbliche amministrative.
L’innovazione nella società della conoscenza non riguarda un settore tecnologico, deve, invece, costituire un’orizzonte per la ridefinizione di un Patto Sociale per il paese. Costituirebbe una miopia imperdonabile considerare l’Italia in franchising per ciò che riguarda l’ICT, un mero utilizzatore e distributore di servizi. Proprio le esperienze più recenti di creazione di software e servizi in rete e per la rete (da Google all’I-Pod) con la loro diffusione ed il loro successo commerciale e azionario, costituiscono la dimostrazione che nel campo digitale e della conoscenza nulla è perduto per sempre. Il problema non è il costo del lavoro da tagliare o i dazi da mettere, bensì l’innovazione di prodotto da sviluppare.
La politica dell’innovazione di un buon Governo deve, innanzitutto, non precludere futuro per l’evoluzione cognitiva/tecnologica, occorrono perciò le condizioni per il pluralismo informatico e per l’accessibilità diffusa alle reti digitali.
Gli alfabeti e le grammatiche digitali costituiscono, in questo senso, un bene comune non brevettabile; anche la rete e le sue possibilità di accesso e di uso vanno considerate un bene comune. A seguito della particolare liberalizzazione nelle telecomunicazioni e delle sue modalità, metà dell’Italia è tagliata fuori dalla rivoluzione informatica, perché l’adeguamento delle centrali è antieconomico per l’operatore privato monopolista e quindi non è possibile avere la larga banda in buona parte del Paese. Soprattutto per il Sud questa scelta costerà per decenni nello sviluppo del Paese. Sono passati più di dieci anni da quando, negli Stati Uniti con Al Gore, si cominciava a parlare di autostrade digitali, mentre nel nostro Paese ancora non arriva l’Adsl in tante case, imprese, uffici. Lo Stato si deve riappropriare di una leva fondamentale per le politiche
del nuovo secolo, come sono state nel secolo scorso le ferrovie: è tempo che si apra una discussione sulla rinazionalizzazione delle infrastrutture telefoniche, principale mezzo di comunicazione nella società dell’informazione. La stessa Gran Bretagna si è posta il problema separando la dimensione rete da quella servizi per BT e creando un apposito organismo deputato al controllo. In ogni caso occorre una valutazione pubblica dei processi di privatizzazione di imprese strategiche laddove risorsa ICT. Ad esempio nel nostro paese il sistema delle imprese municipalizzate dei servizi energetici, grazie alle soluzioni tecnologiche oggi in campo, può divenire un ulteriore soggetto per l’accesso alla rete e per la diffusione Wi-Fi.
Affinché il pluralismo informatico sia la condizione ambientale per imprese e società occorrono regole coerenti, ad iniziare dalla definizione di standard aperti non proprietari per garantire l’interoperabilità, di formati aperti per i documenti della PA, di condivisione e riuso di software nella PA.

Formazione e accesso al sapere
Per ciò che riguarda il sistema formativo occorre favorire l’utilizzo dell’informatica e della rete come estensione coadiuvante dei processi cognitivi con la valorizzazione delle pratiche di collaborazione collettiva. Aggiungere l’”ora” di informatica ad una programmazione nell’orario scolastico ed extrascolastico convenzionali ha poco senso.
Nella Società dell’informazione il passaggio tra precarietà e flessibilità è labile: sono le competenze, di base e lungo il corso della vita, che garantiscono che la flessibilità sia una scelta di libertà e non una costrizione alla precarietà; il primo passaggio è finalmente garantire l’obbligo scolastico a 18 anni. Istruzione e formazione non possono essere considerati un costo da contenere e da ridurre di Finanziaria in Finanziaria; esse devono divenire investimenti strategici.

Per un “welfare cognitivo”
Cambia il processo di produzione, cambia il sistemadei rapporti di lavoro, cambia il prodotto, cambiano e si aggiungono nuovi diritti da tutelare e nuove opportunità da agevolare. Ma questo richiede che si modifichi il sistema delle garanzie e dei diritti: servono nuovi strumenti, tra cui innanzitutto il tema del Reddito di Formazione.
Sarebbe sbagliato introdurre una politica di carattere assistenzialistico; altro è l’idea che il tempo per crescere, formarsi, aggiornarsi, in un mercato del lavoro flessibile, è un diritto. Per questo è necessario immaginare strumenti nuovi che consentano ai lavoratori flessibili, soprattutto nelle filiere della produzione immateriale, da un lato un reddito legato all’aggiornamento e alla ricollocazione sul Mercato del Lavoro, dall’altro un uso diverso del tempo anche durante i periodi di occupazione, permettendo davvero fasi di aggiornamento e crescita culturale e professionale, con la consapevolezza che i tentativi di riprodurre meccanismi consolidati (si pensi alle 150 ore) si infrangono contro le mutate condizioni del sistema produttivo.
L’accesso e la riduzione della frattura digitale rimangono il primo gradino per la costruzione di una società dell’informazione non discriminante. Ci sono esperienze efficaci e consolidate in Europa: in Francia, che sperimenta gli Espaces Publics Noumeériques, o in Spagna, che ha avviato i Telecentros. Riteniamo pertanto essenziale: l’apertura di punti pubblici d’accesso, ossia strutture che offrano sia la connessione alla rete (pc e linea internet), sia l’alfabetizzazione di base (iniziazione all’informatica e alla navigazione). L’obiettivo è costruire una rete nazionale di punti d’accesso, rafforzando da un lato quelli esistenti, che usufruiscono di una pubblica sovvenzione (biblioteche, informagiovani, URP, scuole ecc…), e creandone di nuovi.

CENTRO STUDI:
Nel 2004 abbiamo lanciato la parola d’ordine dell’Innovazione a 360°. Lo abbiamo fatto per sottolineare che l’innovazione riguarda tutti gli aspetti dell’attività dell’impresa: dai processi operativi dell’azienda, alla sua organizzazione, dal suo modo di porsi rispetto ai mercati, alla sfida del miglioramento continuo.
E mentre la Ricerca, intesa nella sua accezione più ampia, si applica ai 180° dell’innovazione di prodotto e dei processi produttivi, i 180° rimanenti si riferiscono ad un profondo cambiamento culturale a cui le sfide della competitività globale chiamano, pur con urgenze ed intensità diverse, tutte le imprese.
Nella nostra idea l’innovazione a 360° si fonda su quattro pilastri: informatizzazione (digitalizzazione); total quality management; sostenibilità ambientale e risparmio energetico; internazionalizzazione. In particolare sul primo punto, l’informatizzazione dei nostri sistemi produttivi, occorre sottolineare quanto sia diventato pervasivo e trasversale – negli ultimi anni – il tema della digitalizzazione, sia per quanto riguarda l’innovazione e la qualità dei prodotti che per l’efficienza dei processi organizzativi e produttivi.
In tema di digitalizzazione occorre distinguere due trend: la crescita nel campo delle reti di TLC (negli ultimi due anni il tasso di diffusione dei collegamenti a banda larga ha mostrato una crescita superiore al 135%, sia per effetto degli incentivi pubblici che degli investimenti degli operatori); il ritardo che investe il nostro sistema produttivo in materia di investimenti in informatizzazione.
Mentre la spesa italiana in TLC non si discosta dalla media di spesa europea (3,18 % del PIL), la spesa in IT è in ritardo di oltre un punto percentuale di PIL. Per recuperare questo gap si tratta di passare dagli attuali 24,5 miliardi di euro di spesa fino ad un livello di 39 miliardi.
Contribuiscono a questo ritardo – oltre ai vincoli di spesa della finanza pubblica sui progetti di informatizzazione delle pubbliche amministrazioni – le microimprese.
Secondo elaborazioni effettuate sui dati Istat 2004 resterebbero ancora da informatizzare non meno di 400mila aziende sotto i 10 dipendenti nel solo settore industriale.
Questo fenomeno si può spiegare con il fatto che, per essere efficaci, le politiche per l’innovazione richiedono adeguate risorse sia dal punto di vista “quantitativo” che da quello “qualitativo”.
Gli strumenti di agevolazione sono infatti necessari ma non sufficienti a far scattare, soprattutto nelle microimprese, la molla della crescita e dell’innovazione aziendale.
Le imprese – specie quelle di dimensioni più piccole – trovano diversi ostacoli nel loro cammino verso l’innovazione, tra cui sono stati individuati: la difficoltà a valutare il ruolo che l’innovazione tecnologica può svolgere per il miglioramento dei processi interni e nei confronti degli stakeholders esterni; l’insufficiente disponibilità e conoscenza degli strumenti agevolativi; l’assenza di una fase di monitoraggio e valutazione degli investimenti nella fase di “cantiere” e nella fase di “gestione”; la bassa capacità di reperimento degli skill necessari; la scarsa propensione alla ricerca e sviluppo; la bassa disponibilità e propensione alla collaborazione con altre imprese, con il mondo accademico e con i centri di competenza.
Dalle analisi effettuate per esempio dall’Osservatorio semestrale della società dell’informazione, a cura della nostra associata Federcomin e del Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie, emerge chiaramente come lo sviluppo della società dell’informazione si basa su due fenomeni di fondo che hanno manifestato in questi anni una forte accelerazione:

1 – la disponibilità di infrastrutture digitali adeguate;

2 – lo sviluppo di “digital lifestyles” che utilizzino tali infrastrutture per godere di applicazioni e contenuti innovativi; sotto entrambi questi aspetti il mercato italiano presenta indicatori positivi.

Ad esempio, dal lato delle infrastrutture, l’Italia dopo 4 anni di investimenti può contare su: un aumento della diffusione della larga banda (con 6,8 milioni di contratti, business e consumer, a fronte dei 400.000 nel 2001; 8,7 milioni di abbonamenti Umts (business e consumer), nel 2003 erano appena 350mila; DTT: 3,85 milioni di decoder (dato Anie-Gfk per DGTVi) a novembre 2004 erano appena 1 milione; partita la IPTV di Telecom Italia (accanto a quella di Fastweb); partite le offerte di Mobile TV su Umts (streaming).
Se si guarda all’evoluzione verso stili di vita digitali, in Italia si può notare: un aumento del parco PC installati (dai 10 milioni del 2001 ai 15 milioni del 2005); alti tassi di crescita della banda larga; la connessione ad internet del 90% delle imprese con almeno 10 addetti (ed il 90% in banda larga). Anche la penetrazione dell’uso di Internet tra gli individui è cresciuta dai 18 milioni del 2001 ai 29 milioni del 2005 (di cui 10 milioni in banda larga). In generale la percentuale dei navigatori che si collega ad internet tutti i giorni è aumentata nell’ultimo anno dal 26,6 al 35,3% e cresce l’utilizzo delle tecnologie nelle scuole e la percentuale di utenti internet che ha effettuato acquisti on-line.
Per sostenere questo trend è necessario sviluppare nuovi contenuti e applicazioni digitali, sia di tipo “entertainment” ma soprattutto di tipo “B2B” (eCommerce, t-Commerce, t-Government, t-Banking, eLearning ecc.).

SAVINO PEZZOTTA:
In linea di massima un obiettivo da perseguire, nel medio e lungo

periodo, è creare, a partire dalle strutture territoriali esistenti (poli urbani, distretti, filiere produttive) alcune aree di sviluppo fortemente attrattive per investimenti ad elevato contenuto di ricerca e tecnologia. Tuttavia raggiungere la linea d’orizzonte presuppone di dotarsi di un metodo e di strumenti efficaci, oltre che attuare scelte coerenti. Infatti, i percorsi d’avvicinamento all’obiettivo non sono lineari e non scaturiscono dalla somma di singole decisioni. Risultati stabili di cambiamento derivano piuttosto dagli effetti cumulativi nel tempo di una serie di decisioni coerenti che producono risultati sinergici. L’innovazione efficace si produce da un’azione consapevole di sistema, che non coincide necessariamente con l’innovazione spontanea d’alcuni punti del sistema stesso. Si tratta di un tema di gran rilevanza in Italia ed Europa (applicazione dell’Agenda di Lisbona 2000), in cui si sta verificando il grado di difficoltà a innovare rapidamente processi, prodotti e modelli organizzativi con effetti durevoli sui livelli di competitività di territorio ed azienda.
L’Italia e le Regioni mancano di sistemi governabili dell’innovazione, in cui la pluralità d’attori e risorse potenziali esprimono un disegno comune ed azioni sinergiche.
Dal punto di vista dell’analisi microterritoriale, l’incrocio tra potenziale innovativo e modelli di sviluppo locale conferma l’esistenza in Italia di due tendenze critiche:

– Alcune aree investono ingenti risorse finanziarie nella creazione d’infrastrutture fisiche di ricerca, che, pur rappresentando luoghi d’eccellenza sul piano teorico, non riescono a tradursi in motore di sviluppo, né ad essere funzionali rispetto alle esigenze delle imprese locali;
-La scarsa dotazione d’infrastrutture di base delle aree distrettuali, che hanno potuto svilupparsi o sopravvivere grazie ad una rete di conoscenze implicite e ad un tessuto innovativo non formalizzato, necessita oggi di un ripensamento complessivo, anche alla luce dei nuovi strumenti richiesti dalle sfide competitive internazionali e globali.

All’interno di un simile contesto, le innovazioni introdotte nei sistemi produttivi sono cresciute attraverso processi aziendali incrementali di ricerca-innovazione sulla base dell’esistente (adattamento di customerizzazione delle soluzioni, oltre che design) e consolidamenti delle eccellenze di nicchia di prodotti italiani a forte caratterizzazione.
Il limite di questi processi è che il tipo d’innovazione che matura all’interno delle aziende (incrementale) è in gran parte scollegato con le fonti istituzionali di generazione e registrazione della conoscenza (Università, Centri pubblici e privati di ricerca) e che, solo con molti tentativi e sforzi, si riflette poi in una coerente politica degli strumenti di sostegno alla competitività.
Per queste ragioni si assiste oggi allo sviluppo d’approcci metodologici volti ad esplorare l’“oggetto innovazione”, destinati a trovare collocazione nello studio dei sistemi distrettuali e regionali.
È importante quindi affrontare con chiarezza temi e priorità, su cui costruire una convergenza ed alleanza degli attori locali, pubblici e privati. La valorizzazione dei processi di creazione e mantenimento del know how rappresenta una scelta strategica e un’opportunità per ridisegnare il sistema competitivo territoriale.
Provando a condurre una rapida osservazione dei sistemi territoriale di produzione e mantenimento delle conoscenze (know-how) si rilevano tre passaggi essenziali:

Ripercorrere le principali caratteristiche e peculiarità del sistema di formazione e conservazione del know-how;
-Analizzare i processi e le tendenze rilevanti in una logica d’aggiornamento congiunturale e strutturale (competenze distintive);
-Dare una lettura per aree geografico-territoriali dell’innovazione e della formazione del capitale umano dei sistemi produttivi locali in cui si articola il territorio.

Trasversalmente a questi tre passaggi, è possibile individuare alcuni vincoli che occorre affrontare e rimuovere:

-La razionalizzazione della spesa degli apparati amministrativi;
-Il maggiore raccordo tra sistema nazionale dell’innovazione e sistema produttivo locale, tanto per quanto riguarda il trasferimento di tecnologie, quanto per la mobilità incrociata del personale qualificato;
-Lo sfruttamento delle sinergie territoriali che derivano dal mutuo riconoscimento e ri-orientamento delle attività formative, innovative produttive e di ricerca.

Dobbiamo anche essere consapevoli che la forte diffusione delle conoscenze strategiche e delle nuove tecnologie che chiediamo, comporta per il sindacato l’assumere e gestire le conseguenze dei processi d’innovazione sul lavoro e l’occupazione. In una qualche misura la possibilità di creazione ed accesso a nuove conoscenze costituisce, per le imprese ed i lavoratori, una discontinuità rispetto l’esperienza acquisita ed i modelli culturali consolidati.
Occorre quindi adeguare strutture organizzative e competenze, per gestire un impatto sul lavoro che tende a penalizzare le professionalità più deboli ed i lavoratori meno giovani. L’Italia è in ritardo, non solo sul fronte della valorizzazione delle conoscenze come leva per competere, ma anche nella valorizzazione delle risorse umane. Ha quindi necessità di una forte politica delle risorse umane, centrata sulla scuola, la formazione continua ed una gestione attiva del mercato del lavoro. Affrontare in concreto una vasta diffusione di nuove tecnologie impegna le parti sociali e le istituzioni a promuovere circuiti virtuosi concertati nel territorio, a contrattare in azienda.

DOMANDA 2
Quali strumenti servono per incentivare l’innovazione delle imprese?

ANTONIO PALMIERI:
Il terzo filone di azione strategica (“fondamentale” nel senso prima descritto) scelto dal Governo, dal Ministro per l’innovazione e dal Comitato dei ministri per la società dell’informazione, si è rivolto proprio a incentivare l’innovazione delle imprese e a superare il digital divide interno tra Nord e Sud. La creazione di portali di servizio come www.impresa.gov.it, www.borsalavoro.it (in attuazione della legge Biagi) e il nascente portale del turismo sono il segno più immediatamente visibile di un’azione volta a incentivare l’innovazione nelle imprese.
Questa azione ha visto l’uso di vari strumenti di incentivazione. Ne cito alcuni a titolo di esempio: il Fondo Rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in Ricerca (630 milioni di euro) a sostegno dell’innovazione digitale nelle imprese per la realizzazione di poli tecnologici e per l’innovazione dei processi aziendali; il Fondo di Garanzia per l’innovazione digitale, che facilita l’accesso al credito bancario e attiverà investimenti per circa tre miliardi di euro da parte di oltre 15.000 imprese del commercio, del turismo, dei servizi; i Bandi e-commerce avviati dal 2004, che hanno messo a disposizione 225 milioni di euro per la diffusione del commercio elettronico; una serie di interventi per il Sud come i 150 milioni per lo sviluppo della banda larga, i Distretti digitali in Campania, Puglia e Sicilia, l’avvio della creazione di 11 “Territori di eccellenza” nel Mezzogiorno, unendo ricerca e innovazione.
Anche in questo caso, credo sia necessario che il prossimo governo (che ovviamente mi auguro sia lo stesso di oggi), continui nella direzione intrapresa, monitorando gli effetti delle azioni avviate, correggendo e cambiando ciò che avesse dimostrato di non funzionare. Oltre a ciò, credo sia decisivo e fondamentale continuare a livello generale l’azione di semplificazione delle norme e delle procedure che regolano la vita delle imprese, alla quale il Governo si è dedicato in questi anni. È evidente che ciò che favorisce la vita di tutte le imprese come ovvia conseguenza produce benefici anche per le aziende del settore ICT. In particolare ritengo si debba continuare a favorire sia dal punto vista fiscale che normativo l’aggregazione e la crescita delle imprese. Su questa strada il Governo si è mosso a partire dal pacchetto di iniziative dei primi cento giorni e ha continuato ad agire negli anni successivi. Per stare solo alle iniziative assunte nel corso dell’ultimo anno, ricordo le norme che premiano le aggregazioni tra piccole imprese contenute nel decreto sulla competitività del marzo 2005, le norme sul silenzio-assenso della pubblica amministrazione per avviare un’ impresa, i provvedimenti a favore dei distretti contenuti nella legge finanziaria per il 2006, approvata a dicembre. Anche in questo caso non siamo già arrivati al traguardo finale, ma abbiamo iniziato a camminare nella direzione giusta. E rispetto all’immobilismo di prima, credo sia un buon risultato: e chi ben comincia…

FIORELLO CORTIANA:
Quello dell’innovazione deve diventare un orizzonte strategico per il paese, un orizzonte rispetto al quale si devono ridefinire politiche pubbliche, procedure negoziali e modelli settoriali. Occorrono perciò scelte coerenti capaci di produrre un processo non dipendente dagli aspetti contingenti: la preoccupazione deve piuttosto essere quella di accompagnare il sistema industriale e sociale italiano verso l’innovazione dell’era digitale connessa ed interattiva. Proprio una partecipazione consapevole degli attori e delle associazioni di rappresentanza delle varie categorie costituisce una delle condizioni di successo. La modalità multistakeholders diventa una condizione costitutiva per la partecipazione dei vari attori, pubblici e privati, affinché il sistema-paese sia protagonista del proprio cambiamento e per questo sia capace di reggere la competizione. La modalità di partecipazione multistakeholders consente/costringe la politica pubblica ad assumere impegni precisi con una agenda coerente e riduce i rischi e le disarmonie che si producono nelle relazioni bilaterali, separate e parallele. Ci debbono essere dei provvedimenti normativi e di politica fiscale capaci di rivolgersi a tutti gli attori esistenti e potenziali dell’innovazione; al contempo occorrono scelte indirizzate e premianti. Occorre favorire la fusione tra società nonché modalità consortili, al fine di accompagnare la necessaria flessibilità e agilità ad una solidità affidabile. Occorre costruire una relazione costante, a doppio senso, tra imprese-ricerca-pubblica amministrazione, al fine di raccogliere gli imput necessari per la definizione dei progetti di ricerca e altresì per favorirne poi la trasferibilità sul mercato. Non occorrono nuove strutture nelle quali convogliare le eccellenze o nelle quali produrle (vedi Genova), occorre, invece, un lavoro di connessione tra le esperienze già esistenti e una capacità di valutazione e di selezione dei progetti cui conferire risorse e condizioni particolari. L’Italia ospita già una serie di esperienze eccellenti nell’ambito della ricerca e dell’accademia: esperienze interne a reti e a relazioni internazionali; sono queste le esperienze da connettere e sulle quali investire. L’Italia conosce anche una modalità di organizzazione territoriale delle filiere produttive quale quella dei distretti, occorre creare osservatori/agenzie negli enti amministrativi di area vasta, quali sono le Provincie, al fine di rilevare le domande realative ai processi di innovazione per farle incontrare con le risposte che le imprese e le politiche pubbliche, europee, nazionali e regionali, mettono in campo. È altresì chiara la nuova condizione che la globalizzazione richiede e permette, cioè la capacità di definire distretti non circoscrivibili territorialmente; in questo senso è proprio l’azione nazionale di governo che deve intervenire per accompagnare e favorire le relazioni internazionali. Allo stesso tempo si rende necessaria la presenza di un sistema territoriale qualitativo, come retroterra per le imprese affinché esse siano in grado di affrontare le nuove sfide, cogliendone le opportunità. Qualità dei servizi, qualità amministrativa, qualità sociale e qualità ambientale, costituiscono le condizioni per un sistema capace di relazioni internazionali così come di attrazione di energie e di risorse.
L’impresa va responsabilizzata nella sua funzione sociale ma, proprio per questo, dal welfare alla Ricerca, dalle politiche del credito a quelle fiscali, occorre consentirgli di uscire da logiche protezioniste o di mera delocalizzazione. La concertazione sindacale diventa quindi una modalità necessaria capace, insieme alla modalità multistakeholders, di affrontare l’orizzonte dell’innovazione come opportunità da cogliere e non come minaccia da ridurre.

CENTRO STUDI:
Per rilanciare lo sviluppo basato sulla Ricerca e l’innovazione, Confindustria ha presentato, nel settembre del 2004, un Piano per la Ricerca e l’innovazione, semplice e sintetico. Tre criteri, sei misure, una stima di costo. I criteri sono: un lungo orizzonte temporale; una maggiore utilizzazione di strumenti di incentivazione automatici; l’ampliamento delle forme di collaborazione fra strutture pubbliche e aziende private. Questi criteri sono stati articolati in 6 misure:

-l’introduzione di un credito di imposta generalizzato pari al 10% delle spese totali di ricerca per un periodo di almeno dieci anni;
-la selezione di un massimo di 10 programmi strategici per il paese – ma da eseguire su scala multinazionale o continentale – finanziati con contributi pubblici variabili tra il 35% e il 50% in funzione della complessità e i rischi connessi ai programmi stessi;
-il miglioramento dell’efficienza del sistema pubblico di ricerca;
-un credito di imposta pari al 50% delle commesse di ricerca private a università e istituti pubblici di ricerca;
-l’esenzione dagli oneri sociali per tutto il personale delle start-up innovative per tre anni e per otto anni per tutti gli addetti alla ricerca;
-abolizione dell’Irap per i ricercatori delle imprese.

Di queste proposte sono state accolte, accanto all’avvio della riforma del sistema pubblico, l’abolizione dell’Irap per i ricercatori delle imprese e sono stati istituiti 12 programmi strategici, il cui finanziamento è demandato al Fondo di Rotazione per l’innovazione, che fornisce un credito agevolato allo 0,5%. Tenendo conto dei costi delle garanzie fideiussorie richieste per accedere a questi finanziamenti e degli attuali tassi di mercato, l’agevolazione effettiva si riduce a non più del 15%.
Nella Finanziaria 2006-2008, non vi è traccia delle nostre proposte. Non si registra, infatti, alcuna nuova allocazione sul Fondo per le agevolazioni alla ricerca nelle aree non sottoutilizzate. D’altro canto la norma sulla deducibilità delle erogazioni liberali alle università non risponde in alcun modo alla richiesta di una agevolazione aggiuntiva sulle commesse private rispetto all’ordinaria deduzione dal reddito delle spese sostenute per attività di Ricerca ed Innovazione, già prevista dal nostro ordinamento. Positiva, ma di scarso impatto sulle imprese, l’introduzione della possibilità di destinare il 5 per mille a progetti di ricerca.
Tutto l’intervento per il rilancio della Ricerca e dell’innovazione delle imprese è in realtà demandato al Piano per l’innovazione, la Crescita e l’Occupazione, che il nostro Governo ha presentato alla Commissione Europea per la realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Tuttavia, neanche il Piano include gli interventi che riteniamo essenziali e soprattutto non dispone di finanziamenti reali in quanto il Fondo per l’innovazione istituito presso la Presidenza del Consiglio, non dispone di risorse.
Non possiamo quindi che rinnovare le richieste già presentate e ancora in massima parte non attuate. Siamo convinti che l’Italia abbia tutte le carte in regola per rilanciare la competitività delle proprie imprese attraverso un grande programma di sviluppo tecnologico e di innovazione. Ma occorre farlo subito e farlo con grande determinazione, evitando, per l’ennesima volta, di lanciare grandi proclami senza poi dar luogo ai fatti.

SAVINO PEZZOTTA:
Promuovere l’innovazione rimanda alla diffusione e trasmissione della conoscenza, dall’applicazione dei risultati della ricerca a quella di nuove tecnologie disponibili sul mercato. Un tratto dominante della fase attuale è la velocità di produzione di nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche ed allo stesso tempo la difficoltà sociale di acquisirle ed utilizzarle. Tuttavia, a livello economico, la conoscenza è un fattore di competizione sempre più strategico. Invocare solo incentivi all’innovazione per fronteggiare il ritardo, rischia di essere una parola d’ordine generica.
È necessario in ogni caso dotare di risorse finanziarie adeguate il circuito nazionale e territoriale di Ricerca-Innovazione.
Date le caratteristiche della crisi industriale, il tema delle PMI e dei distretti industriali va posto al centro dell’attenzione. I circa 200 distretti industriali si confermano come aree con tassi di crescita degli occupati e delle esportazioni più alti della media del Paese. I distretti, composti in prevalenza da imprese piccole e medie nei settori del made in Italy, soffrono in forma crescente la pressione competitiva del Sud Est asiatico e dell’Europa dell’Est.
Nei prossimi 10-15 anni sarà necessaria una forte applicazione di tecnologie avanzate nei settori in cui operano i distretti. Occorre un progetto, la costituzione di agenzie diffuse sul territorio, l’impegno coordinato di Stato e Regioni.
È quindi importante pensare ad una politica diffusa dell’innovazione, basata non solo su incentivi pubblici più o meno automatici. È necessario pensare ad un circuito nazionale che alimenti circuiti territoriali organizzati, ad un impegno culturale e delle parti sociali nelle aziende e nei distretti.

DOMANDA 3
Quali politiche adottare per favorire lo sviluppo di un’industria Ict avanzata?

ANTONIO PALMIERI:
L’Italia si è messa in moto nella direzione giusta e si tratta di continuare il cammino intrapreso, correggere errori e omissioni e cogliere le nuove opportunità che il contesto nazionale e globale offrono. Tutto ciò sapendo che la politica deve in primo luogo non essere un ostacolo al libero evolversi della tecnologia e delle opportunità che essa offre. In secondo luogo, credo occorra fare in modo che tutto il mondo della politica, ad ogni livello, acquisisca la consapevolezza che l’innovazione e l’Ict non sono semplicemente un “settore” della nostra industria, ma costituiscono “l’ambiente” all’interno del quale si devono muovere tutte le iniziative del sistema industriale italiano.
Ciò premesso, che fare? Propongo alcune linee di azione, senza la pretesa di esaurire in poche righe il raggio d’azione dei possibili interventi. Il primo ambito di intervento deve essere quello culturale. Si tratta di lavorare per diffondere la cultura tecnologica nel tessuto delle piccole e medie imprese italiane, dove ancora c’è una risposta contraddittoria rispetto agli stimoli che vengono dal sistema dell’innovazione. Al riguardo, il Governo e il Ministro Stanca hanno avviato e realizzato workshop e seminari d’intesa con Confindustria e con le associazioni di categoria ma si deve fare, con pazienza, molto, molto di più. In secondo luogo credo che la pubblica amministrazione possa alimentare la domanda e fungere da volano per l’evoluzione del sistema imprenditoriale privato e per il mercato, promovendo così la crescita qualitativa del settore oltre che dei servizi. I 134 progetti di e-government per gli enti locali avviati e portati a termine quasi interamente nel corso della legislatura sono da questo punto di vista un bell’esempio: essi si uniscono alla direttiva sull’open source del 2003, che ha messo in campo un approccio non ideologico in un settore che può senza dubbio contribuire a sviluppare le eccellenze italiane ma anche le tante piccole aziende nel settore del software che producono soluzioni “su misura”. Un altro ambito sul quale sempre più nei prossimi anni si deve continuare a lavorare e che può fungere da volano per l’intero settore dell’Ict è quello della sicurezza informatica. Senza sicurezza non c’è sviluppo, non c’è diffusione nelle aziende e nella società della tecnologia o, peggio, essa rischia di essere mutilata nelle sua potenzialità. Infine è evidente che se negli anni scorsi nell’economia digitale erano centrali prima l’hardware e, poi, le infrastrutture, negli anni a venire centrali saranno i contenuti e la convergenza tecnologica, che sta dando vita non solo a nuovi comparti industriali, ma anche a nuovi modelli di business e a nuove questioni, in primis quello della sua regolamentazione armonizzata a livello internazionale e della tutela dei diritti della proprietà intellettuale. In definitiva, le sfide sono tante e grandi. Ma la voglia di affrontarle e vincerle lo è altrettanto.

FIORELLO CORTIANA:
In Italia ci sono circa 87.000 imprese nel settore ICT, con più di un milione di occupati. Solo 20 di queste hanno oltre 1.000 dipendenti, le prime 10 hanno il 50% del mercato e le prime 50 arrivano al 90%. Abbiamo, quindi, grande concentrazione e grande frammentazione ad un tempo.
Occorrono politiche che favoriscano i processi di aggregazione, sia attraverso fusioni e acquisizioni, sia attraverso modelli consortili a progetto capaci di valorizzare i distretti anche definiti dalla rete e non soltanto dal territorio. Soprattutto occorrono politiche capaci di
supportare l’incontro tra domanda e offerta, la qualità della ricerca e la sua trasferibilità al mercato, le politiche europee e le risorse europee interfacciate da progetti coerenti. Occorre che il prodotto pubblico nell’accademia e nella ricerca, così come nel sistema radiotelevisivo, sia accessibile come pubblico dominio. Sul piano locale, enti di coordinamento di area vasta, come le amministrazioni provinciali, potrebbero dare vita ad Agenzie/Osservatori capaci di accompagnare l’evoluzione innovativa delle imprese in relazione tanto alle politiche nazionali ed europee, quanto a quelle regionali e ai distretti territoriali. Occorrono politiche fiscali nazionali, così come agevolazioni nel credito, che favoriscano e incentivino le produzioni di tecnologie e di servizi nell’ICT piuttosto che il sostegno della domanda, come è invece accaduto per il digitale terrestre.
Anche le autonomie locali possono dare vita a fondi di investimento finalizzati all’innovazione sul territorio, garanti verso i risparmiatori tanto della trasparenza quanto della finalizzazione a produzioni di tecnologie e di servizi ICT. L’adozione e lo sviluppo, da parte delle autonomie locali, di software a codice sorgente aperto, con la conseguente valorizzazione professionale e l’utilizzo di licenze GPL per i software custom della PA possono favorire un processo di interlocuzione attiva nella condivisione e nell’accompagnamento del sistema di imprese del territorio nell’innovazione.
Se l’innovazione tecnologica non viene relativizzata in una dimensione settoriale ed in un ministero, se l’Innovazione nel senso più ampio diviene l’orizzonte di riferimento cui adeguare la dimensione legislativa, le politiche pubbliche, i modelli ed il coordinamento amministrativi, allora la domanda pubblica di software per l’e-government, per l’e-democracy (pensiamo alle esperienze di Agenda 21 in rete), per l’e-learning ecc. può costituire il principale volano per il sistema delle imprese.
Un’azione così coordinata e strettamente connessa alla dimensione europea quale quella che ho brevemente tracciato renderà il sistema delle imprese ICT italiano capace di competizione e collaborazione internazionali.
Capace, cioè, di capire ed usare il paradigma di connessione interattiva globale della rete per lo sviluppo della propria capacità creativa.

CENTRO STUDI:
Per quanto riguarda gli strumenti di agevolazione all’innovazione delle imprese sosteniamo da tempo la necessità di creare un fondo rotativo (da rifinanziare annualmente) per agevolare progetti integrati di una certa dimensione su tematiche legate all’applicazione delle innovazioni digitali a tutta la catena produttiva (di prodotto e di processo).
Il Governo è finalmente intervenuto questa estate tramite la destinazione di una quota del “Fondo Rotativo per il sostegno alle imprese” istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti. Sono stati di conseguenza emanati dal Ministero delle Attività Produttive, di concerto con il Dipartimento per le Innovazioni e le Tecnologie, i due bandi che vengono presentati oggi destinati a favorire il finanziamento di progetti integrati di innovazione di prodotto e di processo (attraverso le tecnologie digitali) per un totale di 630 milioni di euro.
La misura dovrà diventare però duratura – e non occasionale – come avvenuto in altri casi citati.
Oltre a questo intervento il Piano per l’innovazione Digitale 2005 prevede la necessità di creare un mix di interventi pluriennali, costituito da agevolazioni di carattere finanziario (per grandi progetti di aggregazione) e di natura fiscale (per piccoli interventi delle singole imprese).
Altri interventi per la competitività delle nostre imprese dovrebbero riguardare ad esempio:

-un credito di imposta generalizzato (per un periodo almeno quinquennale) pari al 10% delle spese in tecnologie informatiche e nelle comunicazioni elettroniche, volte a innovazioni di prodotto, di processo ed organizzative (beni strumentali hardware e software, servizi e consulenze, sia nella fase di progetto che nella fase di realizzazione e di esercizio, formazione e tecnologie per la qualità e la sicurezza);
-l’istituzione di un contributo in conto interessi destinato alle Pmi che ottengano un finanziamento sulla sezione speciale tecnologie digitali istituita presso il Fondo di garanzia del MAP;
-la deducibilità delle spese per la formazione (anche di quelle erogate in modalità e-learning) degli imprenditori e del loro personale dipendente legate all’introduzione dell’e-business in azienda (ad es. Tremonti-bis dedicata all’innovazione digitale);
-un sostegno alla partecipazione delle imprese ad attività internet (portali web) dedicati all’internazionalizzazione (ad es. deducibilità delle spese di promozione).

Per dare impulso agli investimenti in innovazione delle piccole imprese è inoltre necessario prevedere, accanto agli strumenti prettamente agevolativi e finanziari, un “Progetto di accompagnamento” che consenta di realizzare un contesto favorevole alla realizzazione degli investimenti medesimi.
Il Progetto prevede quindi tre linee d’azione: formazione, tutorship, aggregazione
Per quanto riguarda la prima linea d’azione, Confindustria propone la realizzazione nelle proprie associazioni di un progetto complessivo di formazione all’innovazione rivolto ad imprenditori e manager denominato “Imprese x Innovazione = I³”.
Riguardo alla seconda linea d’azione, l’obiettivo è quello di realizzare iniziative di accompagnamento all’innovazione nelle Piccole e Medie Imprese per il tramite di centri di assistenza e network.
Per quanto concerne la terza linea d’azione, l’obiettivo è quello di aiutare a far nascere delle piattaforme elettroniche collaborative tra imprese della stessa filiera produttiva, per aiutarle ad ottenere un risparmio di costi di gestione e di produzione, grazie al raggiungimento di economie di scala e ad una maggiore produttività.
Il “progetto di accompagnamento” ha l’obiettivo di coinvolgere oltre 10mila imprenditori nel quadriennio 2005-2008.
Gli interventi indicati nel PID 2005 permetterebbero di sostenere lo sforzo concreto delle imprese nel progresso dell’innovazione. Le imprese possono farlo, il Paese può farlo.
L’innovazione digitale è uno dei pilastri fondamentali per la crescita della produttività e della competitività. Le imprese lo hanno capito e stanno recuperando terreno su questo fronte.

SAVINO PEZZOTTA:
Le politiche più adatte dovrebbero far leva sullo sviluppo di una domanda qualificata, da parte delle pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali, dei sistemi sanitario e scolastico, delle imprese e delle famiglie. L’Unione Europea, con documenti mirati sulle politiche d’innovazione nella società dell’informazione come eEurope 2005, ha insistito sull’adozione a vasto raggio (imprese, territori, Pubblica Amministrazione) delle tecnologie digitali di informazione e comunicazione, da cui si attende un grande salto di produttività di tutto il sistema Europeo. Senza una politica mirata, accade che l’accesso alle nuove tecnologie sia diseguale, accentuando quel digital divide strutturale tra grandi e piccole imprese, tra territori e cittadini, diffuso in tutto il contesto Europeo, ma accentuato nella realtà italiana.
eEurope 2005 indica una corretta strategia che, da un lato, mira a dotare tutto il territorio europeo di un’infrastruttura a banda larga in gran parte disponibile, per i cittadini come per le imprese, a prezzi accessibili e, dall’altro, mira a sviluppare servizi e contenuti adeguati, mettendo in particolare l’accento sulle amministrazioni pubbliche (governo elettronico o “e-government”), su un ambiente elettronico dinamico per le attività imprenditoriali (e-business), su servizi di telemedicina (e-health) e servizi di apprendimento elettronico (e-learning).
Non è quindi più sufficiente concentrare l’attenzione solo sui temi delle infrastrutture (come la banda larga). Per generare una crescita positiva del settore è necessario che le connessioni nel Web si traducano in attività economiche per stimolare i servizi, le applicazioni e i contenuti in grado di creare nuovi mercati, garantire l’inclusione digitale con la logica multi-piattaforma, ridurre i costi e possibilmente accrescere la produttività di tutti i settori dell’economia.

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